MATEMATICA, TORMENTO ITALIANO
Data: Venerd́, 03 agosto 2007 ore 00:05:00 CEST
Argomento: Associazioni


Matematica, tormento italiano

Michele Emmer

 Un famoso matematico raccontava che quando in treno voleva chiacchierare con i vicini, alla domanda «Che mestiere fa?» rispondeva «l'avvocato». Quando non ne aveva voglia rispondeva «il matematico». Sconcerto, stupore del vicino di viaggio. Che cosa si può chiedere ad un matematico?
 I matematici sono diventati di moda negli ultimi tempi. Si vedono attori che impersonano matematici nei film, negli spettacoli teatrali. Matematici scrivono libri di successo e non matematici scrivono libri che parlano di matematica e di matematici. Si organizzano incontri, festival sulla matematica. Insomma la matematica è di moda.
 È di ieri la notizia dell'allarme per le conoscenze matematiche nel nostro paese. Gli studenti dei vari livelli di scuola hanno debiti formativi in matematica, quasi il 50% per cento di loro. E sono anni che nella classifica dei paesi del mondo in base alle conoscenze matematiche degli studenti l'Italia è in basso alla classifica, in mezzo a paesi che certo non hanno avuto le nostre stesse opportunità.
 Gli studenti non studiano la matematica, non amano la matematica. Quando capita di parlare con qualcuno, anche una persona colta e piena di interessi, alla affermazione «sono un matematico» di solito si risponde «ah io a scuola non ne capivo nulla». Con una punta di malcelato orgoglio.
 Certo ci sono alcune cose da chiarire. Non tutti devono diventare matematici, non servirebbe nemmeno averne troppi. Ma si misura la ricchezza di un paese anche dalla diffusione delle conoscenze scientifiche e matematiche di base. Si risponde: «Ma sono balle! A che cosa mi serve risolvere un’equazione di secondo grado o imparare le tabelline?» A parte che saper fare a mente due conti, capire se il nostro resto deve essere dell'ordine di un euro o cento euro può essere utile, una cosa, ed è la più importante di tutte, senza la matematica non la si impara.
 Cosa è la matematica? La domanda è complessa ma una risposta che si può dare è: «La scienza delle dimostrazioni». Obiezione: «E allora a noi che importa?». Che cosa è una dimostrazione? Il primo passo consiste nel chiarire quale è l'argomento di cui si parla, quale è la proprietà che si vuole descrivere. Fare matematica nella scuola significa imparare un linguaggio preciso e chiaro con cui si enunciano le nostre idee. Tutte e sole le parole che sono necessarie. Sembra facile ma non lo è affatto. Ancora più delicato è la dimostrazione. Dalle ipotesi formulate si devono dedurre in modo chiaro ed inoppugnabile delle conseguenze chiare. Quindi fare matematica a livello scolastico significa prima di tutto saper enunciare con chiarezza le proprie idee e tirare le conclusioni logiche e conseguenti delle idee enunciate. Se cancellate la parola matematica potete fare la stessa cosa con le regole della lingua e della grammatica latina o greca. Imparate a enunciare le idee e le loro conseguenze e state facendo matematica. Certo dovete conoscere il teorema di Pitagora e la sua dimostrazione. Ma non perchè è importante per voi e vi aiuterà nella vita. Perchè avrete imparato che dalle ipotesi siete in grado di tirare le corrette conseguenze. E vi emozionerà.
 Questo dovrebbe insegnare la matematica a scuola. A parlare e ragionare. Solo che il modello di comportamento che abbiamo intorno, dalla televisione ai giornali è il contrario di un comportamento «logico». È un evento rarissimo che qualcuno enunci con chiarezza le proprie idee ed ancora più raro che ne tragga le logiche conclusioni. La matematica è una scuola di vita, è una questione di etica. Parola provocatoria di questi tempi.
 Ho naturalmente semplificato. La matematica non è certo solo linguaggio, è molto di più. Con il linguaggio non avrebbe potuto la barca «Alinghi» rivincere la coppa America ma con l'aiuto di un gruppo di matematici italiani che ne simula il comportamento in gara sì. E certo ci vuole fatica, altro messaggio impopolare. La matematica, come le cose serie di questo mondo richiede fatica.
 Ci avevano provato a semplificare lo «studio» anni fa in una famosa accademia, inventando un metodo molto raffinato.
 È Gulliver che racconta, in visita alla Accademia di Lagado: «Andai infine alla scuola di matematica, dove il maestro seguiva un metodo d'insegnamento che in Europa si stenterebbe ad immaginare. Problema e dimostrazione erano bellamente scritti su un'ostia con inchiostro composto di una essenza encefalica, e lo studente doveva ingoiarla a stomaco digiuno restando poi tre gironi senza mangiar altro che pane ed acqua. A mano a mano che l'ostia veniva digerita, la tintura saliva al cervello e si portava la dimostrazione con sé».
Solo un difetto aveva il metodo. Non funzionava, purtroppo.






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