Se
ne vanno i migliori e diventiamo
sempre più poveri. Se quest’assioma
non fosse dimostrabile,
il mio intervento al
dibattito aperto dal «nostro»
giornale, non lo avrei ritenuto
dovuto.
Le esperienze di insegnamento
fatte al Nord Italia e in Sicilia
mi portano a contraddire
da subito chi afferma che i nostri
giovani siano meno preparati
dei giovani del Nord. E’
vero che molti studiano e si
formano al Nord o al Centro
Italia, ma questa emigrazione
temporanea per motivi di studio
è stata una costante per
alcuni nostri giovani. Il fatto
che i nostri ragazzi affrontano
con successo corsi di studi in
università di altre regioni o superano
la selezione di ammissione
nei masters post laurea
più prestigiosi (con laurea di
base conseguita in Università
siciliane), significa che la scuola
e l’Università in Sicilia sono
in mano a docenti preparati.
Quel che preoccupa è il fatto
che una volta i nostri giovani,
tornavano in Sicilia ad investire
le loro potenzialità, mentre
al presente la scelta di restare
lontano è motivata da altri
elementi non strettamente
legati al lavoro. Forse una forma
di disaffezione per una
Terra in cui è difficile restare
liberi senza accettare compromessi,
soprattutto con il mondo
della politica I giovani più
evoluti, di questo mi rammarico,
seguono con distacco e diffidenza
gli avvenimenti della
politica e nutrono profonda
disistima verso la classe politica
in genere e in particolare
verso quella siciliana.
Quale padre di un figlio laureato
a Catania, masterizzato a
Roma, che lavora in Trentino,
sarei contento che alcune argomentazioni
proposte dagli
esperti nel dibattito aperto su
«La Sicilia» si rivelassero idonee
a risolvere il sottosviluppo
endemico della nostra terra.
Si parla tanto di fiscalità di
vantaggio e la si invoca quale
panacea di tutti i mali. A tal
proposito, credo che le similitudini
fatte tra Irlanda e Sicilia,
non tengano conto di realtà
già sperimentate in Sicilia. L’esenzione
totale decennale da
tutte le imposte dirette, la circolazione
di azioni al portatore
che scontavano la cedolare
secca sul reddito sono stati
esempi di fiscalità di vantaggio,
di gran lunga più rilevanti
della tassa societaria del
12,5% vigente in Irlanda. La Sicilia
dagli anni cinquanta fino
alla fine degli anni novanta,
ha fruito di tutta una serie di
agevolazioni da fare ricchi tutti
i siciliani. Quanto meno non
avrebbe dovuto esserci disoccupazione
in Sicilia, con le
continue defiscalizzazioni degli
oneri sociali (contributi
previdenziali a carico delle
aziende) e il credito d’imposta
sugli investimenti autoliquidabile.
Quest’ultimo che sottraeva
le aziende al ricatto del
controllo politico, nel luglio
2002 fu cancellato, riconvenzionato
e ridotto alle imprese
del meridione per riversarlo,
tra altri, agli italiani poveri
della provincia di Mantova.
L’altro accostamento tra la Sicilia
regione a statuto speciale
e la Catalogna, regione ad autonomia
speciale della Spagna,
non è sostenibile perché si
confrontano due realtà non
omogenee.
La realtà istituzionale che si
vorrebbe mutuare, da parte
dei «nuovi» autonomisti siciliani
è quella autonomia particolare
di cui la Catalogna gode
nella costituzione spagnola,
venendo giuridicamente a costituire
una vera e propria nazione
catalana, con lingua e
polizia propria. Mal sopportata
in Spagna, ritengo inattuabile
in Italia, senza rischiare
veri e propri secessionismi.
Bastasse parlare il siciliano e
riscuotere le imposte maturate
in Sicilia per evitare ai nostri
figli di emigrare, io diverrei insegnante
volontario di lingua
siciliana. Bastasse così poco
per cancellare una classe politica
che nel 2004, quando a
Palermo e Roma governavano
con larghe maggioranze, forze
politiche omogenee, ha lasciato
andare via dalla Sicilia ventottomilaseicento
giovani ritornando
ai livelli degli anni
sessanta. Allora, emigravano i
meno qualificati mentre oggi
circa la metà ha un titolo di
studio medio alto.
Nemmeno l’attuale maggioranza
di governo nazionale,
con grave torto (cercando di
recuperare il voto perso al
Nord non si cura di conquistare
quello mai avuto al Sud),
mostra la giusta attenzione ai
problemi della Sicilia e ai suoi
giovani. Il mezzogiorno viene
considerato una risorsa per il
Paese.
Al momento rappresenta solo
una grande opportunità per i
politici corrotti e per la delinquenza
organizzata, che attingono
al ricco serbatoio dei disoccupati
voti e manovalanza.
Fino a quando i politici non
capiranno che bisogna dare
priorità alle politiche sociali,
non a quelle identitarie, e che
è loro compito proporre leggi
che facciano da volano ad attività
economiche sane ed innovative
l’esodo dei nostri ragazzi
continuerà.
Al presente i nostri ragazzi volano
lontano, in alto, liberi e sicuri.
Resta il rammarico che
una volta assaporata la sensazione
di libertà e legalità diffusa
respirata in altre regioni d’Italia
o in altre nazioni della
vecchia Europa, in molti non
ritorneranno più. La loro sicilianità
farà più ricchi chi li avrà
vicino. A noi padri inermi e
senza padrini, non resta che
nutrire di antica nostalgia il
nostro tempo.
GIOVANNI DI BELLA
dibellagf@libero.it
(da www.lasicilia.it)