Non sparate sui giovani del Mezzogiorno
Data: Lunedì, 30 luglio 2007 ore 20:34:04 CEST
Argomento: Rassegna stampa


Se ne vanno i migliori e diventiamo sempre più poveri. Se quest’assioma non fosse dimostrabile, il mio intervento al dibattito aperto dal «nostro» giornale, non lo avrei ritenuto dovuto.

Le esperienze di insegnamento fatte al Nord Italia e in Sicilia mi portano a contraddire da subito chi afferma che i nostri giovani siano meno preparati dei giovani del Nord. E’ vero che molti studiano e si formano al Nord o al Centro Italia, ma questa emigrazione temporanea per motivi di studio è stata una costante per alcuni nostri giovani. Il fatto che i nostri ragazzi affrontano con successo corsi di studi in università di altre regioni o superano la selezione di ammissione nei masters post laurea più prestigiosi (con laurea di base conseguita in Università siciliane), significa che la scuola e l’Università in Sicilia sono in mano a docenti preparati.

Quel che preoccupa è il fatto che una volta i nostri giovani, tornavano in Sicilia ad investire le loro potenzialità, mentre al presente la scelta di restare lontano è motivata da altri elementi non strettamente legati al lavoro. Forse una forma di disaffezione per una Terra in cui è difficile restare liberi senza accettare compromessi, soprattutto con il mondo della politica I giovani più evoluti, di questo mi rammarico, seguono con distacco e diffidenza gli avvenimenti della politica e nutrono profonda disistima verso la classe politica in genere e in particolare verso quella siciliana.

Quale padre di un figlio laureato a Catania, masterizzato a Roma, che lavora in Trentino, sarei contento che alcune argomentazioni proposte dagli esperti nel dibattito aperto su «La Sicilia» si rivelassero idonee a risolvere il sottosviluppo endemico della nostra terra. Si parla tanto di fiscalità di vantaggio e la si invoca quale panacea di tutti i mali. A tal proposito, credo che le similitudini fatte tra Irlanda e Sicilia, non tengano conto di realtà già sperimentate in Sicilia. L’esenzione totale decennale da tutte le imposte dirette, la circolazione di azioni al portatore che scontavano la cedolare secca sul reddito sono stati esempi di fiscalità di vantaggio, di gran lunga più rilevanti della tassa societaria del 12,5% vigente in Irlanda. La Sicilia dagli anni cinquanta fino alla fine degli anni novanta, ha fruito di tutta una serie di agevolazioni da fare ricchi tutti i siciliani. Quanto meno non avrebbe dovuto esserci disoccupazione in Sicilia, con le continue defiscalizzazioni degli oneri sociali (contributi previdenziali a carico delle aziende) e il credito d’imposta sugli investimenti autoliquidabile.

Quest’ultimo che sottraeva le aziende al ricatto del controllo politico, nel luglio 2002 fu cancellato, riconvenzionato e ridotto alle imprese del meridione per riversarlo, tra altri, agli italiani poveri della provincia di Mantova.

L’altro accostamento tra la Sicilia regione a statuto speciale e la Catalogna, regione ad autonomia speciale della Spagna, non è sostenibile perché si confrontano due realtà non omogenee.

La realtà istituzionale che si vorrebbe mutuare, da parte dei «nuovi» autonomisti siciliani è quella autonomia particolare di cui la Catalogna gode nella costituzione spagnola, venendo giuridicamente a costituire una vera e propria nazione catalana, con lingua e polizia propria. Mal sopportata in Spagna, ritengo inattuabile in Italia, senza rischiare veri e propri secessionismi.

Bastasse parlare il siciliano e riscuotere le imposte maturate in Sicilia per evitare ai nostri figli di emigrare, io diverrei insegnante volontario di lingua siciliana. Bastasse così poco per cancellare una classe politica che nel 2004, quando a Palermo e Roma governavano con larghe maggioranze, forze politiche omogenee, ha lasciato andare via dalla Sicilia ventottomilaseicento giovani ritornando ai livelli degli anni sessanta. Allora, emigravano i meno qualificati mentre oggi circa la metà ha un titolo di studio medio alto.

Nemmeno l’attuale maggioranza di governo nazionale, con grave torto (cercando di recuperare il voto perso al Nord non si cura di conquistare quello mai avuto al Sud), mostra la giusta attenzione ai problemi della Sicilia e ai suoi giovani. Il mezzogiorno viene considerato una risorsa per il Paese.

Al momento rappresenta solo una grande opportunità per i politici corrotti e per la delinquenza organizzata, che attingono al ricco serbatoio dei disoccupati voti e manovalanza. Fino a quando i politici non capiranno che bisogna dare priorità alle politiche sociali, non a quelle identitarie, e che è loro compito proporre leggi che facciano da volano ad attività economiche sane ed innovative l’esodo dei nostri ragazzi continuerà.

Al presente i nostri ragazzi volano lontano, in alto, liberi e sicuri. Resta il rammarico che una volta assaporata la sensazione di libertà e legalità diffusa respirata in altre regioni d’Italia o in altre nazioni della vecchia Europa, in molti non ritorneranno più. La loro sicilianità farà più ricchi chi li avrà vicino. A noi padri inermi e senza padrini, non resta che nutrire di antica nostalgia il nostro tempo.

GIOVANNI DI BELLA

dibellagf@libero.it

(da www.lasicilia.it)







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