Un mio rovello: la scuola d’oggi è adeguata al nostro tempo?
Tanti anni fa ad Acireale, liceo classico "Gulli e Pennisi",
un preside assai zelante ingiunse ad un alunno di venire
a scuola accompagnato dal padre per giustificare una sua
assenza arbitraria. Era accaduto che il capo d’istituto il
giorno prima aveva incontrato il ragazzo a spasso per la
città durante le ore di scuola. Aveva il poveraccio fatto
"calia"! L’alunno discolo alzò, come si dice, l’ingegno e noleggiò
un finto padre, un cocchiere di quelli con basette e
baffi, pregato dietro compenso di fingersi padre e di giustificare
l’alunno davanti al preside. All’ora fissata il vetturino,
bene agghindato, si presentò al preside come padre del
ragazzo punito. Quando il severo dirigente riferì al finto padre
la grave inadempienza dell’alunno, il genitore "noleggiato"
mollò al ragazzo sonori schiaffoni tanti da indurre il
preside ad intercedere benevolmente perché non usasse
più le maniere forti. All’uscita dalla presidenza il ragazzo
reagì duramente al trattamento ricevuto dal finto padre. Il
quale con sbrigativa chiarezza se la cavò bellamente: «Ti ho
dato gli schiaffi che ti avrebbe dato il padre vero. Impara a
non disertare la scuola, che è una cosa seria!». Era quello il
tempo in cui i genitori davano sempre ragione ai presidi e
ai docenti. Apprezzavano le maniere educative severe e ritenevano
la scuola un’agenzia educativa insostituibile. La
scuola - pensavano - prima educa e poi istruisce.
Oggi gli episodi quotidiani ci suggeriscono ben altre
esperienze. Minacciare un allievo di bocciatura è ritenuto
un reato, giudicare con severa giustizia il profitto del "pupillo"
un peccato gravissimo, condividere con il figliuolo le
doglianze a carico dei docenti una normale abitudine, correre
a scuola con occhi sgranati per difendere ad oltranza
le presunte ragioni del figliolo un atteggiamento consueto!
Eppure la scuola d’oggi è oltremodo permissiva, raramente
"boccia", ricorre ai progetti educativi per suggerire comportamenti
civili e aperture utili alla esplorazione del nostro
difficile mondo, ricorre sovente a gite di istruzione, alterna
a qualche momento di lezione frontale dialoghi improntati
al confronto didattico personalizzato, preferisce il
guanto di velluto al pugno di ferro! E i genitori? Partecipano
svogliatamente alle sedute collegiali, aspettano dai docenti
solo lodi per il ragazzo ritenuto ligio ai doveri, storcono
il muso davanti ad evidenti lacune, minacciano ricorsi
e carta bollata in caso di insuccesso finale, accusano i docenti
di parzialità nel giudizio docimologico, confrontano
i compiti del figliolo con quelli degli altri ritenuti meno preparati…
La buona pedagogia ritiene invece che la valutazione
debba essere giudicata siccome momento educativo!
Insomma la invocata collaborazione tra scuola e famiglia
resta una bella pagina letteraria tutta da rimandare ai nostalgici
del libro "Cuore". I dirigenti? "Piaggiano" dantescamente
per mediare tra le spietate critiche dei genitori e le
stupite giustificazioni dei docenti, trascinati come imputati
a rendere conto del loro operato! Se proprio volessero la
pace, evitino la parola "bocciatura" e si adeguino alle maniere
dolci di un deleterio permissivismo! Tra i docenti ci
sono - come negarlo?- quelli che farebbero meglio a starsene
a casa, ma, grazie al Cielo, sono una minoranza, che
evita accortamente gli scontri perché sa di perderli!
Si invocano riforme. L’un governo cancella quelle del precedente,
ma non sono le riforme, pur utili, a salvare la barca.
Ci vuole una salutare svolta perché i protagonisti del
processo educativo occupino dignitosamente il loro ruolo.
Il permissivismo è deleterio. La predicazione di una astratta
legalità lascia il tempo che trova. Rispetto delle regole ci
vuole. Per docenti e discenti. E se i genitori ridiventassero
educatori aiuterebbero i figli a "crescere" per vincere la battaglie
non facili della vita. Che resta "res dura"!
GIROLAMO BARLETTA (da www.lasicilia.it)