E’ un esodo mai registrato a memoria d’uomo, quello dei 55
mila lavoratori della scuola che dal primo settembre di quest’anno,
buon per loro, non metteranno più piede in classe.
Le incertezze provocate sia dalla legge Maroni, con la
conseguente revisione dei coefficienti nel 2008, e sia dal
nuovo titolare del dicastero (che ancora nicchia nonostante
gli impegni presi) non hanno permesso altra alternativa
se non quella di scappare e dire basta. Un basta ancora più
convinto perché il 71% dei pensionamenti è causato da dimissioni
volontarie dovute al raggiungimento del minimo
previsto dalla legge Dini: 57 anni di età e 35 di servizio.
Questo dato dovrebbe far riflettere chi accusa i docenti di fannullonismo, paraculismo, strafottenza perché se fossero
vere queste insinuazioni nessuno si sognerebbe di abbandonare
un lavoro così altamente riposante oltre che remunerativo.
E invece i professori abbandonano la scuola
non appena si apre uno spiraglio a dimostrazione che la docenza
logora e crea ansie da efficienza e da prestazione. Per
questo si sarebbe atteso un intervento pubblico del Ministro
Fioroni, non come ringraziamento per gli anni spesi a
educare, ma per capire i motivi e le origini di tanto massiccio
cedimento lavorativo.
E invece lui disserta sul suo atto di indirizzo per stabilire
le priorità politiche e strategiche in ordine alla programmazione
finanziaria dove spicca l’innalzamento a 16
anni dell’obbligo di istruzione e la costituzione dei poli tecnico-
professionali dove dovrebbero confluire le scuole
professionali e tecnici a livello provinciale. Ma si addentra
pure nei meandri del bullismo strangolabile, lui dice, attraverso
un “Piano nazionale per il benessere dello studente”
dove si piazzano paletti come la cultura della legalità, il
contrasto delle mafie, la cittadinanza attiva; il tutto educando
alla convivenza e alla scienza, assicurando l’orientamento
e la lotta all’evasione, rifondando un nuovo umanesimo
insieme alla incentivazione dell’autonomia scolastica per
incrementare più offerta formativa e più spazio di gestione
alle famiglie e al territorio. Non dimentica nemmeno i
precari, bontà sua, ma si scorda clamorosamente di aggiungere
che per fare tutto questo occorre il busillis che sarebbero
i fondi, i volgarissimi soldi per pagare e gratificare e incentivare
il motore di tutta questa straordinaria operazione
che sono i professori. E dimentica di fissare anche paletti
ancora più importanti che sono le garanzie legali e morali
per preservarli da incidenti di cui continuano a essere
vittima questi educatori che al momento opportuno chiedono
il pensionamento.
Perché alla fine i pugni in testa se li è presi il collega impegnato
negli esami di stato da parte di un padre stizzito
per il voto troppo basso (come l’ha saputo se la commissione
non aveva ancora terminato le operazioni di ratifica?)
dato alla figlia; allo stesso modo la denuncia penale se l’è
beccata la professoressa che ha voluto punire un atto di bullismo. A lei vorremmo chiedere: ne è valsa la pena? La
scuola l’ha aiutata nelle spese legali? E se vale la pena essere
rigorosi e corretti se lo chiedono ogni giorno migliaia
di docenti quando si ritrovano le ruote della macchina forate,
la vernice rigata, le scritte insultanti sui muri, le telefonate
notturne. E se lo chiedono anche quando assistono a
spettacoli indecenti di rissa all’interno del club della Casta
dei politici o all’ostentazione delle loro prebende, delle raccomandazioni,
delle arroganze di varia natura e foggia innaffiate
dal potere. Ma già uscendo dalla scuola si avverte
l’impari lotta per la legalità rappresentato già dal caos cittadino,
dall’abusivismo, dall’assenza di regole e di certezza
della punizione. E se un professore vuole fare rispettare
il Piano per il benessere dello studente significa proprio,
agli occhi del suo alunno, che costui non ha inteso nulla.
PASQUALE ALMIRANTE (da www.lasicilia.it)