LE VOCALI VOGLIONO L'ACCENTO ACUTO O GRAVE?
Data: Domenica, 08 luglio 2007 ore 00:05:00 CEST
Argomento: Rassegna stampa


Nella mia triplice funzione di traduttore, di correttore di bozze e di insegnante di italiano per stranieri (nella fattispecie austriaci) mi trovo spesso a dover rispondere al quesito: l'accento acuto, per le vocali "a", "i" e "u", quando si usa? È indifferente l'uso dell'uno o dell'altro, o, al di fuori del valore fonetico di "ó" ed "é", è da preferire sempre l'accento grave? Lo dico perché, recentemente, leggendo un romanzo edito da Einaudi, ma tradotto dal tedesco, compariva indifferentemente la scrittura "più" e "piú", "così" e "cosí" ecc. Vi prego di rispondermi perché, per me, non si tratta di una curiosità (o curiositá), ma di dovere professionale. Desiderio Fiorenzo

Le norme che riguardano l'accento grafico sono piuttosto stabili in italiano. Vale la pena ricordare che l'ortografia italiana prevede di segnare l'accento in un numero limitato di casi: sui polisillabi tronchi (quassù, sentirà), anche quando risultino composti di monosillabi che, in quanto tali, lo rifiuterebbero (ventitré, nontiscordardimé); su una serie di monosillabi che, se non accentati, potrebbero confondersi con omografi (cioè con voci scritte nello stesso modo ma di significato diverso): per es., ché 'perché' diverso da che (congiunzione, pronome), dà indicativo di dare diverso da da preposizione ecc. Superfluo invece l'accento su su, do (prima persona indicativo presente di dare) e sbagliato su sto (prima persona indicativo presente di stare). Non ha alcuna utilità la regola di non accentare sé quando sia seguìto da stesso o medesimo, poiché in questo caso non potrebbe confondersi con la congiunzione: è meglio non introdurre eccezioni inutili e attestarsi sul tradizionale uso accentato di sé stesso e sé medesimo, anche se - va rilevato - ormai la tendenza a scrivere se stesso e se medesimo è prevalente e già giunge voce di insegnanti di lettere che correggono sé stesso con se stesso nei componimenti dei propri studenti.

All'interno di parola l'accento in italiano è sempre facoltativo e segnarlo può servire a dissipare ambiguità: àmbito / ambìto; dài verbo / dai preposizione articolata; dànno verbo / danno sostantivo; prìncipi / princìpi.

Per quanto concerne la forma dell'accento grafico (acuto "´" o grave "`"), seguendo la grammatica Italiano del Serianni noi ci atteniamo allo schema seguente:

à ì ù é è ó ò

In parole povere: sempre grave nei tre casi in cui non si distingue tra diversi gradi di apertura (à ì ù) e acuto o grave a seconda che si vogliano indicare e e o chiuse o aperte.

In verità, come ha potuto parzialmente acclarare il signor Fiorenzo, esistono, nel campo della produzione libraria, case editrici che preferiscono un sistema accentuativo che prevede l'accento acuto per tutte le vocali chiuse (í é ú ó) e l'accento grave per tutte le aperte (à è ò). Einaudi, per esempio, accoglie tale sistema (anche se refusi o oscillazioni sono umanamente possibili, pur se rischiano di creare dubbi o sconcerto negli specialisti e nei lettori attenti): già nel 1999, rieditando Due di due, romanzo di Andrea De Carlo, la casa editrice torinese si atteneva alle norme per ultimo descritte. Mondadori e Guanda (per fare un paio di esempi), ancora nei recenti Come Dio comanda di Niccolò Ammaniti e Storia naturale dei giganti di Ermanno Cavazzoni (opere pubblicate la prima nel 2006 e la seconda nel 2007), seguono il sistema tradizionale, consigliato da Serianni, da noi accettato e ancora prevalente.

 






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