Assolta la prof denunciata per abuso di correzione. «Era soltanto un mezzo pedagogico disciplinare». Aveva fatto scrivere a un alunno «sono un deficie
Data: Giovedì, 28 giugno 2007 ore 17:08:07 CEST
Argomento: Rassegna stampa


PALERMO. «Assolta perché il fatto non sussiste». Questa la sentenza emessa ieri mattina, con rito abbreviato e dopo avere ascoltato le repliche di accusa e difesa, dal giudice dell’udienza preliminare Piergiorgio Morosini nei confronti dell’insegnante di 56 anni della scuola media «Silvio Boccone» di Palermo denunciata e processata per abuso di mezzi di correzione e lesioni. La professoressa di lettere, il 28 gennaio 2006, aveva punito uno degli allievi facendogli scrivere 100 volte sul quaderno «sono un deficiente » perché, con un atto di bullismo, aveva impedito ad un compagno undicenne di servirsi della toilette degli uomini dicendogli, davanti a tutti: «Non puoi entrare qui, sei gay, sei una femmina».

Una vicenda che sarebbe passata inosservata se il padre del ragazzo punito non avesse denunziato l’insegnante, costituendosi parte civile e chiedendo un risarcimento di 25 mila euro del danno psichico che il figlio avrebbe sofferto in conseguenza della punizione. Tesi condivisa dal pm Ambrogio Cartosio che ha chiesto la condanna dell’imputata a due mesi di reclusione. Per il Gup, invece, la punizione – scrive nella motivazione di 13 pagine letta contestualmente alla sentenza e accolta dagli applausi di alcuni esponenti dall’associazione «Gay» e «Articolo 3» che in mattinata avevano manifestato con bandiere e cartelli la loro solidarietà all’imputata – «è un mezzo pedagogico- disciplinare rispettoso dell’incolumità fisica e morale del minore e indispensabile per il raggiungimento di importanti obiettivi attraverso un’opera di convincimento e persuasione».

Perché – sottolinea il Gup – nell’insegnante c’era «la volontà di realizzare un sostegno solidaristico- protettivo nei confronti del soggetto debole unitamente all’esigenza di non accreditare di fronte a tutta la classe modelli comportamentali negativi di prevaricazione sugli altri che trascurano gli effetti psicologici di certe offese verbali ». Queste ultime, insieme con «i comportamenti prepotenti ed intimidatori» possono portare – spiega più oltre – «a gesti gravi di autolesionismo e anche a tentativi di suicidio, come attestano recenti fatti di cronaca».

«Sono felice – ha detto l’insegnante che è stata difesa dall’avvocato Sergio Visconti – perché il giudice ha capito le mie motivazioni. L’intenzione non era di punire né di umiliare il ragazzo. Volevo semplicemente farlo riflettere su quanto aveva fatto.

Nessun insulto. In più di trent’anni di insegnamento, non ho mai insultato un alunno. Al ragazzo – ha aggiunto – avevo spiegato, discutendo in classe con lui e i suoi compagni, che "deficiente" vuol dire "privo di" e lui era stato privo di sensibilità nei confronti del compagno che aveva offeso.

Volevo che l’episodio fosse spunto di discussione e niente più. Ho sempre insegnato agli allievi a dire quello che pensano ma con educazione, altrimenti che uomini saranno? Anche con il ragazzo punito ho cercato di dialogare e credo che lui abbia compreso le mie intenzioni. In vita mia non sono mai stata contro qualcuno e se sbaglio sono abituata a chiedere scusa, come sono abituata a mettermi, da madre, nei panni dei genitori.

«Sono convinta – ha concluso – che se i familiari avessero avuto una reazione diversa, il ragazzo, che è molto vivace tanto da essere segnalato dai colleghi al preside perché adottasse opportuni provvedimenti, avrebbe accettato senza problemi la punizione».

GIORGIO PETTA (da www.lasicilia.it)







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