LA DOCENTE CHE CREDE ANCORA NELLA SUA UTILITA'
Mettete che una sera, da insegnante insoddisfatta alle scuole medie, vi viene in mente di creare un blog per sfogarvi un po’ e calmare la frustrazione. Poi un bel giorno il vostro blog viene notato dalla Mondadori e vi propongono di fare, delle vostre belle disquisizioni sulla scuola, un libro. E’ nato così, in modo casuale e spontaneo, il racconto della professoressa fiorentina Antonella Landi (La profe, Diario di un’insegnante con gli anfibi, Mondadori, pp.120, €14), resoconto umoristico di un’insegnante del Duemila alle prese con i giovani studenti di oggi.
Qual è, dunque, il segreto per affrontare il difficilissimo mestiere di docente? Basta, ci dice la profe, una buona dose di inossidabile ironia, un perenne buonumore e un’energia travolgente. E soprattutto pensare che i ragazzi non sono così spenti come il mondo intero sembra oggi pensare, il segreto è solo interessarli. Così la profe, unica protagonista del libro, riesce in poche battute a farsi prendere assolutamente sul serio, parlando di tutto intero lo scibile, senza pregiudizievoli esclusioni, dal sesso all’enjambement, dalla verifica di grammatica alle mestruazioni, con la sua immancabile borsa della Pucca a tracolla e gli immancabili anfibi ai piedi.
Perchè lei non è una prof come le altre, non è una docente ‘zìttinicalmìniebbonìni’, è una che sceglie per l’ora di narrativa ‘Il trattamento Ridarelli’ di Roddy Doyle, un libro sulla merda! O per il compito in classe s’inventa una frase di Bono Vox ‘La musica è Dio e il rock non è che uno dei suoi profeti’.
Ogni mattina a scuola, sembra dirci la scrittrice, è come andare in scena: bisogna tenere alta l’attenzione del pubblico, motivare, interessare, coinvolgere, ma anche educare, disciplinare, correggere. E tutto ciò malgrado episodi curiosi e a tratti imbarazzanti come l’ollellé ollallà faccela vede’ faccela tocca’ con cui venne accolta alla prima supplenza.
La scuola comunque, è questo il messaggio che trapela ad ogni passo del divertente libro, è fatta dai ragazzi e dagli insegnanti. I politici, i giornalisti, gli opinionisti che non hanno mai varcato la soglia di un’aula, che non si sono mai trovati davanti a venti ragazzi che ti studiano, ti analizzano e si aspettano da te nozioni, punti di riferimento, controllo ed esempi, dovrebbero tacere e non pontificare.
E la scuola è ancora bellissima quando entra un professore motivato ed entusiasta del lavoro che svolge; e grigia e vuota quando appare quello frustrato, disilluso e stanco, quello che dopo tre mesi di lezione ancora non ha ancora imparato i nomi degli alunni: insomma uno a cui non brillano più gli occhi parlando della sua materia
Il risultato finale è gradevole, a parte forse le poco educative (!) parolacce, e malgrado il trapelare di una forma spiccata di narcisismo, che sfocia nella voglia di essere come i ragazzi. Ma forse, oggi, per un insegnante credere un po’ nella propria utilità è davvero l’unico modo per non soccombere miseramente.
Silvana La Porta