Sud, povero per reddito in coda per l’istruzione
Data: Venerdì, 15 giugno 2007 ore 00:32:54 CEST
Argomento: Rassegna stampa


Due rapporti: un’indagine condotta dal centro studi Unioncamere con l’Istituto Tagliacarne, pubblicata la scorsa settimana, che stila una classifica delle province italiane in base al reddito; e un’indagine condotta da Tuttoscuola sulla qualità del sistema di istruzione italiano. In entrambi i casi si mette in luce il profondo scollamento tra Nord e Sud d’Italia. Con l’ultima in classifica delle province (Crotone) che ha un reddito pro-capite quasi della metà inferiore a quello della prima della classe (Milano).

Con le scuole di Campania, Sicilia e Sardegna fanalino di coda per quanto riguarda la qualità dell’istruzione, sebbene poi le province siciliane riescano a strappare anche posti onorevoli in classifica quando si tratta di "indicatori" particolari (Enna è la prima in Italia per quanto riguarda spese e investimenti degli Enti Locali per l’Istruzione), anche se nel complesso il quadro non è confortante.

Ci può essere un rapporto tra la ricchezza della provincia e la qualità dell’istruzione? "Nel XXI secolo crolleranno i Paesi che non investiranno sulla conoscenza e sulla formazione continua". E il successo e la crescita saranno di casa "in quei Paesi che sapranno investire nei propri cittadini. Perché il capitale umano è sempre più importante: perché non basta possedere petrolio e materie prime per prosperare, perché le persone e non le risorse o le macchina determinano già, ma lo faranno sempre di più, la nostra ricchezza. Questa è la mia visione dell’umanità: le persone sono importanti". Parola di Gary Becker, premio Nobel per l’Economia nel 1982 l’economista più citato al mondo.

Investire sul sistema scolastico significa investire sia sul capitale umano (e un sistema di istruzione migliore sicuramente aiuta lo sviluppo, perché crea le "menti" in grado di muovere l’economia), sia su risorse e macchine. E non a caso gli indicatori dell’indagine di Tuttoscuola riguardano sia la qualità dell’istruzione, sia la qualità delle dotazioni didattiche e informatiche. Si insegna meglio ad usare i computer se - ad esempio - le amministrazioni locali investono sull’acquisto di pc di nuova generazione.

E prime in graduatoria - secondo l’indagine di Tuttoscuola - sono le scuole della provincia di Forlì-Cesena, perché sono quelle che ai migliori risultati scolastici degli studenti e alla qualità dei livelli di istruzione, coniugano una corretta gestione del personale, adeguate dotazioni didattiche e informatiche, interventi e politiche finanziarie virtuose degli enti locali e una buona funzionalità dei servizi e degli edifici scolastici. Poi, a scendere, le scuole migliori sono quelle delle province di Parma, Biella, Piacenza, Savona, Macerata. Bene Milano, al settimo posto. Torino al dodicesimo.

I dati non sempre si incrociano con quelli della ricchezza. Milano è la più ricca d’Italia, e si piazza al settimo posto nella graduatoria delle scuole. Biella è al secondo posto come reddito e al terzo per le scuole. Forlì, prima tra le scuole, sesta per ricchezza. Parma (ai primi posti tra le scuole) non è tra le prime dieci città più ricche, ma Bologna (che è molto più giù in graduatoria) sì, ed addirittura al terzo posto.

Tra l’altro, si trovano agli ultimi posti le scuole della provincia di Lucca, che non è tra le prime dieci province più ricche, ma nemmeno tra le più povere.

Non sempre, insomma, la ricchezza della provincia significa maggior investimento sul sistema scolastico, e quindi sul capitale umano, né sempre significa maggior investimento nel campo delle dotazioni. Un caso illuminante è appunto quello della Sicilia. Tra le ultime tre regioni per quanto riguarda il sistema scolastico, c’è però qualcosa che si sta muovendo: l’organizzazione scolastica va male, mentre va meglio per le condizioni del personale scolastico, dove c’è una leadership di servizi.

Andiamo con ordine: nella classifica di Tuttoscuola, Ragusa, Caltanissetta, Palermo e Catania sono agli ultimi dieci posti; Siracusa e Messina sono sotto la media nazionale; si salvano, ma non di molto, Enna e Trapani. Messina, in particolare, ha il primato negativo di povertà di risorse (dotazioni, beni patrimoniali, finanziamenti agli enti locali).

Eppure Messina non è tra le ultime dieci province italiane per ricchezza. E la Sicilia è anche tra gli ultimi posti per sistema di trasporti e organizzazioni delle mense (Trapani, Palermo e Catania sono agli ultimi posti).

Allo stesso tempo, però, la Sicilia si afferma su tutti: le condizioni del personale scolastico, dove c’è una sostanziale stabilità e continuità del personale docente, con precariato molto basso (la regione ha il più basso tasso di precariato tra i docenti della secondaria di I grado). Se qualcosa si sta muovendo, si sta muovendo proprio nell’investimento per il capitale umano. Un investimento portato avanti nonostante siano quattro (Catania, Agrigento, Siracusa e Caltanissetta) le province siciliane che si situano agli ultimi dieci posti della classifica.

Insomma, la ricchezza della provincia non è un parametro necessario perché si investa - e bene - sul sistema di istruzione.

Il capitale umano, che decide come investire i soldi, resta un motore da non sottovalutare. E investire ancora sulle persone (con meno precariato e docenti di qualità, in grado di portare avanti programmi continuativi) è una scelta sicuramente vincente. Per la Sicilia, i risultati si vedranno nei prossimi anni. Ma, a vedere province di media ricchezza come Macerata e Parma ai primi posti della graduatoria scolastica, probabilmente è una scelta vincente.

ANDREA GAGLIARDUCCI (da www.lasicilia.it)







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