Riforma del sistema di valutazione scolastico
Data: Sabato, 26 maggio 2007 ore 00:29:45 CEST
Argomento: Rassegna stampa


La riforma del sistema di valutazione scolastico è ben avviata. Ma da sola non basta. Occorre rivedere i contenuti. Il problema della scuola negli ultimi decenni – lo ripetono da tempo gli osservatori e gli operatori più accorti e anche sotto questa testata ne abbiamo indicato la gravità – è quello di un formalismo montante, che praticamente ha assorbito gran parte dell'attività di insegnamento. Si precisano parametri valutativi, si stabilisce una sofisticata algebra di accrediti e debiti, si misurano in micron i livelli di acquisizione raggiunti dagli alunni (si voleva fare lo stesso per i docenti, ma si è rinunciato al disegno). La somma dei regolamenti, delle prescrizioni, delle aggiunte correttive, dei formulari è tale che solo uno specialista può orientarsi nella selva selvaggia e vanno affiorando i professionisti di progettistica didattica, docimologia applicata e simili che sarebbero andati bene negli ultimi secoli di Bisanzio. Perché di fronte ai voluminosi incartamenti normativi si è assottigliata l'attenzione per i contenuti. Alcuni docenti (pochi, ma purtroppo il loro numero è in espansione) sono convinti che il loro dovere consista nel compilare in modo ineccepibile verbali, relazioni, memoriali sulle auscultazioni, tenere in ordine immacolato il registro personale e di classe, lasciando a margine tutto il resto, che poi invece è la sostanza. Sono quelli che citano i saggi di Makarenko e Augusto Monti e poi «bocciano» gli alunni a inizio di anno, umiliandoli con aggettivi offensivi o con atteggiamenti di superiorità inarrivabile. Sono quelli che non dialogano con la scolaresca (perché la loro lezione è tutta volta all'itinerario programmatico) e sostituiscono la viva parola con il compito in classe, anche quando non è previsto dai regolamenti, quando, come in certe materie umanistiche, è sconsigliato dalla stessa dinamica del pensiero, copiabile per iscritto, genuino solo nella immediatezza dell'idea e del suo confronto con il pensiero altrui. Ma di questo, dei contenuti, le riforme continuano a tacere. I pedagogisti di Stato non si preoccupano di che cosa ci sia dietro le tabelle numeriche che impongono per la valutazione; non misurano lo scintillio dello sguardo di quell'alunno che ha compreso una verità, della raggiunta maturità di quell'altro che ha formulato una idea e vede che viene approvata dai compagni o dal maestro. E a forza di misurare crediti e debiti, di soppesare difettucci e peccatacci si perde di vista la persona che magari va cercando in direzioni sconsiderate quella umanità che a scuola viene mortificata in forme di ragioneria didattica. Ci vuole la serietà. Il ministro ha ragione: smettiamola con il tutti promossi. Ma non basta: bisogna badare anche al criterio con il quale incoraggiare o rimproverare.

Sergio Sciacca (da www.lasicilia.it)







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