Capita pure che un quotidiano nazionale
punti il dito contro la scuola per la
morte del ragazzino tormentato dai suoi
compagni: «L’istituzione scuola è doppiamente
responsabile. In primo luogo
perché non sa prevenire il bullismo; e in
secondo luogo perché fornisce ai bulli in
erba i chiodi per crocifiggere le loro vittime,
dando del tutto per scontata la
cornice dell’eterosessualità normativa
con i suoi caricaturali cliché di mascolinità
e femminilità». Se possiamo capire,
come docenti, il torto di non sapere prevenire
il bullismo, non capiamo tuttavia
il senso stretto del cliché mascolini e
femminili. Nella scuola pubblica si cercano
di dare i valori condivisi, come il ruolo
della famiglia, e soprattutto l’esempio,
quando si è buoni maestri, sforzandosi di
far conoscere che cosa è conoscere e di
insegnare a navigare nelle incertezze
aiutati da poche certezze.
E una certezza è la Legge e il rispetto
delle regole che però si infrangono all’uscita,
oltre i cancelli nel caos quotidiano
e nella giungla della città, anche se la
scuola è diventata un laboratorio, maldestro
talvolta, di mille attività perché da
essa tutto si pretende e troppe incombenze
affollano gli impegni dei docenti a
cui però poco è riconosciuto. Infatti sono
reclutati alla buona, non vengono aggiornati,
si lasciano precari.
L’unica consolazione, se può considerarsi
tale, sta nel fatto che anche nel resto
d’Europa il bullismo avanza anche se,
bisogna dirlo ai nostalgici, un tempo le
pene corporali erano la prassi e i giornali
di queste cose poco narravano, mentre
in tv un gay o un Jonathan mai sarebbe
apparso, né un senatore della Repubblica
avrebbe fatto le lodi del celhodurismo,
né si sarebbe sollevata una polemica per
l’uso improprio delle toilette parlamentari
delle donne.
Non facciamo l’elogio della frusta, ma
quell’altro della fiducia che c’era nei confronti
del maestro, commesso, per dirla
con Gramsci, della cultura del potere.
Mutato il tempo, occorre pure che la
scuola muti se stessa, rompendo un vero
schema, che non sembra quello tra
mascolinità e femminilità, ma la separazione
esasperata tra i saperi, recuperando
i nessi e le interconnessioni della speculazione
scientifica con la storia del
pensiero. Oscurare siti internet di ordinaria
bacchettoneria serve a poco quando
le periferie sguazzano di modelli pericolosi
e ancor più quando gli investimenti
politici e culturali sono pilotati
verso altro come l’arricchimento esasperato
e come il disprezzo delle regole
soprattutto da parte di chi in prima persona
dovrebbe rispettarle. Chi ricorda i
roghi delle periferie di Parigi? O i negozi
messi a soqquadro dai neri di Los Angeles
dopo l’uccisione a pedate di un
poveraccio da parte della polizia? E’ mutato
dunque qualcosa nella società che il
capitalismo avanzato per certi versi non
ha motivo di cambiare?
Anzi da un lato pretende la pace sociale
ma dall’altro dà sfogo a tutto ciò che è
funzionale al suo spregiudicato potere e
ai suoi affari. Se si tolgono i filmini violenti
scaricati dai telefonini rimane, sia in
Tv sia su Internet, ben altro e forse anche
più pericoloso come certi modelli di esasperato
consumismo e di accanita speculazione
arrivista che macinano tutto,
perfino il dramma del kafkiano scarafaggio-
Samsa. Su questo occorrerebbe fare
una riflessione, assieme al continuo ingrossamento
delle schiere del malaffare
che proprio tra i ragazzi trova sostanza
mentre i capicosca in larghi strati di certe
zone del Paese diventano schemi (eccoli
gli schemi) da seguire. Certamente
l’educazione al rispetto della diversità è
compito della scuola e non a caso ai primi
Anni Ottanta sono state chiuse le cosiddette
scuole differenziate. Ma non bisognerebbe
ancora scordare che su argomenti
come l’omosessualità c’è chiusura
bacchettona e che in questi giorni ha
raggiunto toni esasperati. Diceva un illustre
studioso: «I ragazzi felici non hanno
necessità di fare i bulli, o meditare vendette
contro i loro compagni». E noi chiediamo:
ma chi li deve rendere felici?
PASQUALE ALMIRANTE (da www.lasicilia.it)