- Il bullismo oggi
- NON SOLO CELLULARI……
- «Scuola, lottare e non desistere»
Il bullismo
oggi
Il bullismo vagamente delinquenziale
che imperversa oggi
nelle nostre aule scolastiche, e
nei loro immediati paraggi,
sarà anche un effetto, come è
stato compuntamente osservato,
del crollo del principio di
autorità nella scuola e del congiunto
trionfo di una didattica
fondata su quel pernicioso prodotto
del buonismo pedagogico
che è il culto dei diritti dell’alunno
spinto fino all’abrogazione
di ogni suo elementare
dovere.
Ma da dove proviene questo
pernicioso miraggio? Proviene
dallo spirito del Sessantotto.
Che tentò di convertire un’intera
generazione alla pratica della
contestazione globale, ossia
della sola attività che non richieda,
per poter essere esercitata,
alcuna conoscenza relativa
ai mezzi idonei a conseguire
i suoi obiettivi, che in questo
caso doveva essere la costruzione
di un mondo perfetto.
Dal che sembra ragionevole arguire
che la vastità di quell’ambizione
poté sgorgare soltanto
dal potente desiderio di non
apprendere alcun mestiere.
Salvo quello, naturalmente,
conforme alle attitudini di chi,
non sapendo fare niente, vorrebbe
distruggere tutto.
«Proibito proibire», «l’immaginazione
al potere», «siate realisti:
chiedete l’impossibile»,
«vogliamo tutto»: questi gli
slogan di quella stagione propizia
al trionfo della più vanesia
tracotanza. Quanto ai suoi
principi morali, essi si riducevano
all’idea secondo la quale
nessuno ha mai colpa di niente,
giacché la colpa è sempre di
qualcosa che «sta a monte»:
della famiglia, della società, del
sistema. Bene, gli anni di piombo
hanno rivelato l’essenza insieme
sanguinaria e derisoria
di quei miraggi.
Di queste vecchie storie i poveri
teppisti del bullismo scolastico
di oggi naturalmente non
sanno niente. Ma a dimostrare
che il clima in cui possono
esprimere liberamente la loro
idiozia è figlio delle conquiste
dei loro padri basta questa paginetta
di un famoso apologeta
delle imprese sovversive di
quegli anni: «...a scuola era successo
che dopo che l’avevamo
cacciato il preside Mastino se
n’era andato e i professori si
erano dovuti adattare, il loro
potere era crollato, avevamo
ottenuto le assemblee, avevamo
ottenuto tutto, niente più
interrogazioni, niente più registri
sospensioni giustificazioni
eccetera, la scuola era scoppiata
in breve tempo, era diventata
una scuola aperta, ci veniva
gente di tutti i tipi, amici e studenti
di altre scuole, operai che
non andavano al lavoro, e così
la scuola era diventata una fiera,
un bazar, ci si giocava a
scacchi a carte ci si portava da
bere gli spinelli e i professori
assistevano impotenti senza
osare alzare un dito a tutto
quello sfacelo...». Il passo è
estratto da un romanzetto di
circa trent’anni fa (Gli invisibili,
di Nanni Balestrini). Lo sfacelo
che vi è evocato è dunque
quello nel quale il partito armato
poté pescare i suoi eroi.
Ma è suppergiù lo stesso in cui
il bullismo impunito di oggi
può pescarvi i suoi.
GAETANO BONAVENTURA
(da www.lasicilia.it)
NON SOLO CELLULARI……
I tanti anni passati al servizio della scuola mi spingono ad “esternare” i pensieri che mi frullano in testa in questi giorni, durante i quali, i mass-media, le tante tavole rotonde, i politici e tanti uomini di scuola, hanno cercato di diagnosticare i mali che affliggono la scuola italiana e suggerirne la terapia.
Due espressioni ricorrenti, in particolare, mi hanno fatto pensare:
VALORI: da alcuni, anche tra gli addetti ai lavori, è stato affermato che la scuola non deve trasmettere alcun valore giacché il valore deve essere frutto di una libera scelta personale.
Alcuni, addirittura, giustificano la loro affermazione richiamandosi al concetto di scuola laica.
Ma una scuola laica può essere agnostica?
Una scuola che ha come obiettivo, condiviso da tutti, quello di promuovere l’uomo nella sua integralità non può ripiegarsi in un presunto neutralismo che blocca il potenziale educativo e si riflette negativamente sulla formazione dei ragazzi. Ciò non vuol dire che la scuola “deve imporre” dei valori ma ha l’obbligo di accompagnare ogni alunno sulla più significativa strada dei fini, di occuparsi non solo del « come », ma anche del « perché », di superare il fraintendimento di un’educazione asettica e di ridare al processo educativo quell’unitarietà che mantiene al centro la persona nella sua identità globale.
TESTIMONIANZA: L’esperienza mi fa affermare, con certezza, che la capacità educativa d’ogni istituzione scolastica è proporzionale alla qualità delle persone che ne fanno parte e, in particolare, alla competenza e dedizione dei suoi docenti e non e dei suoi dirigenti, alla coscienza che questi hanno dei propri compiti. Tale coscienza che non è tanto indicata dalla scienza o dalle norme legislative, quanto dall'interno della propria persona posta a confronto con la “vocazione” ricevuta e con la missione affidata, diventa testimonianza.
Ogni processo d’insegnamento-apprendimento ha, come asse fondante, questa testimonianza che potremmo definire "vera, autentica" in quanto espressione di quanto c’è “dentro di noi” e che si traduce in portamento/comportamento/coerenza/impegno.
Vi è, ancora, una forma di testimonianza che chiamerei “formale/legale” poiché si richiama al rispetto delle norme che sostengono un Paese democratico e pluralista. Ed anche di questa testimonianza la scuola non ne può fare a meno.
Ma se è vero, che tante situazioni, seppure enfatizzate dai media, non devono essere sottovalutate, se è altrettanto vero che moltissime scuole sono autentiche comunità educanti, è purtroppo anche vero che la filosofia del “ vivere e fare vivere in pace” ha portato qualche istituzione educativa a tradire il proprio mandato.
A mio avviso, è urgente che le componenti scolastiche ed in particolare i dirigenti scolastici, che ne costituiscono l’elemento di sintesi, aprano una riflessione non solo sui fatti di bullismo denunciati ma anche su alcuni comportamenti discutibili quali, ad esempio, il rispetto dell’orario scolastico da parte di tutti, alunni e personale, i frequenti “mezzi orari” e/o gli ingressi posticipati non sempre supportati da motivazioni oggettive, i tanti “ponti scolastici”, la non partecipazione alle assemblee sindacali nonostante la sospensione delle attività didattiche … su quanto, comunque, possa togliere spazio e tempo al diritto d’educazione, istruzione e formazione degli alunni.
Giuseppe LUCA,
già dirigente scolastico del circolo didattico “don Lorenzo Milani” di Catania.
(da www.lasicilia.it)
«Scuola, lottare e non desistere»
La lettura della lettera pubblicata il 20 marzo a firma
del prof. Antonino Palumbo, ha avuto, giustamente,
vasta eco nell’ambito del liceo Spedalieri di
Catania, la domanda dei lettori è stata praticamente
la stessa da parte degli alunni: ha fatto bene?
In un momento in cui la società è in crisi occorre
lottare o è giusto desistere? Il senso di assoluta
frustrazione, purtroppo, avvilisce pare alla
rassegnazione, alla rinuncia, convince e induce
alla desistenza. Queste riflessioni suonano purtroppo,
veritiere, spietate, e spingono a riflettere
sull’attuale perché di una professione che mira ad
educare i giovani per la società del domani. Viviamo,
infatti, in una società dai ritmi sempre più
convulsi e frenetici che impediscono, spesso, il
dialogo tra adulti e giovani, tra genitori e figli, tra
insegnante e studenti.
Per garantire il pieno successo formativo dei ragazzi,
è necessario una concreta sinergia genitori, figli
e e insegnanti, perché scuola e famiglia insieme,
possano aiutare gli studenti a trovare le proprie
motivazioni e vocazioni, a superare, di difficoltà e
a diventare veri protagonisti del domani. Le parole
dette dagli alunni spingono alle riflessione che
l’insegnante autore dello scritto, che si è impegnato,
al massimo per tanti anni ad educare molti studenti,
non dovrebbe lasciare! Perché tutto va male,
occorre combattere a resistere, Questa considerazione
giusta, efficace appropriata per indicare
agli alunni la strade da percorrere.
Sono in molti, come il prof. Palumbo, a vivere il
dramma in queste condizioni, e infatti, tanti lasciano
il servizio attivo i migliori i più validi, quelli che
hanno creduto di più nella scuola, nei valori, non
devono mollare, non fosse altro per l’esempio negativo
che darebbero ai colleghi e agli alunni. Anzi,
devono malgrado tutto rimanere, finché possano,
per educare i giovani alla scoperta dei valori,
per superare i vuoti formalismi dell’assurda società
in cui si vive. Socrate nel messaggio davanti
ai giudici sosteneva: che Uomini non dei corpi
dovete prendervi cura, né delle ricchezze né di alcun
altra cosa prima e con maggiore impegno che
nell’anima in modo che diventi buona il più possibile,
sostenendo che la virtù non nasce dalle ricchezze
ma che dalla virtù stessa nascono le ricchezze
e tutti gli atri beni per gli uomini, in privato
e in pubblico, «commununis opinio».
Sarà sempre più difficile, non c’è da illudersi,
sempre più dura, ma l’impegno non può svanire,
almeno finché c’è la speranza di una nuova stagione
e fino a quando nella scuola vi saranno educatori
come il prof. Antonino Palumbo.
PAOLO CARBONE,
genitore di un alunno del liceo Spedalieri
(da www.lasicilia.it)