Guerra ai «bulli» anche su internet. Appello ai gestori di siti affinché vietino la diffusione di video violenti girati dai ragazzi
Data: Giovedì, 12 aprile 2007 ore 18:45:47 CEST
Argomento: Rassegna stampa


ROMA. 11.04.2007. Il fenomeno del bullismo non è problema solo italiano e per placarlo serve un’azione unitaria e internazionale. Il ministro dell’Istruzione britannico, Alan Johnson, ha lanciato ieri un appello affinché i gestori di siti internet, come YouTube, comincino a vietare la diffusione di video girati dai ragazzi in cui si mostrano atti di bullismo verso studenti e insegnanti. Proposta subito accolta e rilanciata anche per l’Italia dal ministro Giuseppe Fioroni.

Johnson ha sottolineato come «il fenomeno del cyberbullismo sia crudele e implacabile in quanto segue i ragazzi oltre i cancelli della scuola fino a casa» e «sta spingendo molti insegnanti a lasciare la professione per via della diffamazione e delle umiliazioni che si trovano costretti a sopportare».

Accogliendo con favore la proposta fatta dal suo collega, che solleva un tema «che da novembre viene posto all’attenzione di tutti i soggetti coinvolti anche in Italia», il nostro ministro della Pubblica istruzione è intervenuto chiedendo «collaborazione dei gestori dei siti » nell’educazione dei ragazzi all’uso dei nuovi mezzi. Non ha parlato di censura, anzi, ma di «controlli per individuare e rimuovere contenuti violenti, perché la rete è libertà ma deve esserlo per tutti e deve difendere la libertà di tutti, non solo dei più forti».

E mentre i due ministri chiedono la collaborazione dei gestori dei siti web, proprio ieri nella provincia di Mantova è stato segnalato un nuovo episodio di bullismo: nei giorni scorsi un ragazzino di 13 anni ha aggredito nei bagni della scuola una compagna, strappandole i vestiti e filmando la sua azione col cellulare.

E ieri a Torino sono stati sentiti da un ispettore dell’ufficio scolastico regionale i compagni di classe dell’adolescente di Torino che martedì scorso si è suicidato. Loro, 16 anni come lui, non si sentono responsabili e sostengono che «a scuola prendersi in giro è un abitudine, ma nessuno ci resta male».

Il ragazzo morto ha lasciato ai familiari una lettera in cui c’è traccia di un forte disagio esistenziale, compreso quello causato dal sentirsi isolato dai coetanei. «Mi dispiace tanto - ha affermato all’uscita uno dei ragazzi ascoltati dall’ispettore - ma non mi sento in colpa. Con il nostro compagno scherzavamo, come facciamo sempre, ma non l’avevamo preso di mira», ha voluto precisare. Vestito di jeans, occhi un po’ lucidi ogni volta che il pensiero si è fissato sulla morte del coetaneo, il ragazzo ha spiegato la sua incredulità. «Era timido - ha detto - ma sempre sorridente e ultimamente sembrava volersi inserire un po’ di più come amico in classe, anziché stare da parte, come faceva prima. Non diceva di essere triste, né di avere problemi a casa».

Ha scosso la testa nel sentirsi domandare se qualcuno, in classe o fuori, si rivolgesse al suo compagno dandogli del gay o chiamandolo Jonathan, come uno dei noti personaggi di un’edizione del Grande Fratello. «Ci prendevamo in giro - ha ribattuto quasi un po’ sconsolato - ma nessuno di noi se l’è mai presa. Succede a tutti ed è sempre successo».

Arcigay e le associazioni di studenti hanno, invece, invitato gli studenti e gli insegnanti a scrivere, tra oggi e giovedì, una lettera a Matteo, il sedicenne di Torino che si è tolto la vita, «per ritrovare le parole giuste, dopo che altre parole, di razzismo e omofobia hanno portato alla morte del giovane».

GIANCARLO COLOGGI  (da www.lasicilia.it)







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