ROMA.
11.04.2007. Il fenomeno del bullismo non è
problema solo italiano e per placarlo
serve un’azione unitaria e internazionale.
Il ministro dell’Istruzione britannico,
Alan Johnson, ha lanciato ieri un appello
affinché i gestori di siti internet, come
YouTube, comincino a vietare la diffusione
di video girati dai ragazzi in cui si
mostrano atti di bullismo verso studenti
e insegnanti. Proposta subito accolta e
rilanciata anche per l’Italia dal ministro
Giuseppe Fioroni.
Johnson ha sottolineato come «il fenomeno
del cyberbullismo sia crudele e
implacabile in quanto segue i ragazzi oltre
i cancelli della scuola fino a casa» e
«sta spingendo molti insegnanti a lasciare
la professione per via della diffamazione
e delle umiliazioni che si trovano
costretti a sopportare».
Accogliendo con favore la proposta
fatta dal suo collega, che solleva un tema
«che da novembre viene posto all’attenzione
di tutti i soggetti coinvolti anche
in Italia», il nostro ministro della
Pubblica istruzione è intervenuto chiedendo
«collaborazione dei gestori dei siti
» nell’educazione dei ragazzi all’uso
dei nuovi mezzi. Non ha parlato di censura,
anzi, ma di «controlli per individuare
e rimuovere contenuti violenti,
perché la rete è libertà ma deve esserlo
per tutti e deve difendere la libertà di
tutti, non solo dei più forti».
E mentre i due ministri chiedono la
collaborazione dei gestori dei siti web,
proprio ieri nella provincia di Mantova
è stato segnalato un nuovo episodio di bullismo: nei giorni scorsi un ragazzino
di 13 anni ha aggredito nei bagni della
scuola una compagna, strappandole i
vestiti e filmando la sua azione col cellulare.
E ieri a Torino sono stati sentiti da un
ispettore dell’ufficio scolastico regionale
i compagni di classe dell’adolescente
di Torino che martedì scorso si è suicidato.
Loro, 16 anni come lui, non si sentono
responsabili e sostengono che «a
scuola prendersi in giro è un abitudine,
ma nessuno ci resta male».
Il ragazzo morto ha lasciato ai familiari
una lettera in cui c’è traccia di un
forte disagio esistenziale, compreso
quello causato dal sentirsi isolato dai
coetanei. «Mi dispiace tanto - ha affermato
all’uscita uno dei ragazzi ascoltati
dall’ispettore - ma non mi sento in
colpa. Con il nostro compagno scherzavamo,
come facciamo sempre, ma non
l’avevamo preso di mira», ha voluto precisare.
Vestito di jeans, occhi un po’ lucidi
ogni volta che il pensiero si è fissato
sulla morte del coetaneo, il ragazzo
ha spiegato la sua incredulità. «Era timido
- ha detto - ma sempre sorridente e
ultimamente sembrava volersi inserire
un po’ di più come amico in classe, anziché
stare da parte, come faceva prima.
Non diceva di essere triste, né di avere
problemi a casa».
Ha scosso la testa nel sentirsi domandare
se qualcuno, in classe o fuori, si rivolgesse
al suo compagno dandogli del
gay o chiamandolo Jonathan, come uno dei noti personaggi di un’edizione del
Grande Fratello. «Ci prendevamo in giro - ha ribattuto quasi un po’ sconsolato -
ma nessuno di noi se l’è mai presa. Succede a tutti ed è sempre successo».
Arcigay
e le associazioni di studenti hanno, invece, invitato gli studenti e gli
insegnanti a scrivere, tra oggi e giovedì, una lettera a Matteo, il sedicenne di
Torino che si è tolto la vita, «per ritrovare le parole giuste, dopo che altre
parole, di razzismo e omofobia hanno portato alla morte del giovane».
GIANCARLO COLOGGI
(da www.lasicilia.it)