In cattedra i reality, famiglia assente. I prof ultima risorsa della scuola
Data: Giovedì, 12 aprile 2007 ore 18:34:14 CEST
Argomento: Rassegna stampa


11.04.2007. Ieri all’istituto commerciale «Sommeiller» di Torino sono arrivati gli ispettori della Pubblica Istruzione. Per alcune ore hanno ascoltato i compagni di classe di Matteo, il sedicenne suicidatosi martedì scorso, alla ricerca di un perché di quella morte assurda.

Finora la rabbia degli amici («Faremo sentire dei vermi quelli che ti hanno fatto male»), l’impotenza degli insegnanti («Non ci eravamo accorti di nulla»), le dichiarazioni dei compagni («Ci dispiace tanto, ma non ci sentiamo in colpa») e l’odio ideologico dell’ultrasinistra (che ha strumentalizzato la vicenda per una campagna contro la Chiesa) non hanno aiutato a trovare una posizione umana di fronte a quel tragico evento.

«Cara mamma - ha scritto nella sua lettera di addio lo studente torinese - a scuola mi fanno sentire diverso. Non voglio più andarci, non riesco a integrarmi». E ancora: «Mi chiamano Jonathan (come l’eccentrico vincitore del Grande Fratello 5, ndr), ma io non sono gay». Matteo era un ragazzo sensibile, come ce ne sono tanti, troppo diverso dal branco. Una madre immigrata filippina, un padre italiano ma lontano da casa perché separato dalla moglie, il ragazzo compensava la sua fragilità eccellendo nello studio. Ma negli ultimi tempi anche questa risorsa non lo appagava più. I bei voti non gli davano quella sicurezza che né in famiglia né con gli amici riusciva a trovare.

Viene in mente il personaggio di un fortunato romanzo della insegnante- scrittrice Paola Mastrocola: Gaspare Torrente. Gaspare è un siciliano che frequenta il liceo a Torino, non ha la moto né la playstation, ma ama il latino, ed è l’unico in classe a prendere 10 nelle versioni. Per questo si ritrova fuori dal giro, come «una barca nel bosco». Anche Matteo doveva provare una sensazione simile, accompagnata dal dramma di quegli scherzi quotidiani dei compagni maschi e da quelle frasi dure più dei pugni: «Quanti maschi siamo in classe? Cinque, anzi no: quattro. Perché Matteo è gay».

Quei compagni certo non si alimentano intellettualmente dei discorsi del presidente della Cei Bagnasco, sono piuttosto l’espressione di una generazione formatasi alla scuola del Grande Fratello.

La questione è capire quanto oggi gli educatori - genitori e insegnanti - siano avvertiti del fenomeno. Perché la fragilità dei ragazzi si collega anzitutto alla crisi della famiglia che lascia spesso i figli allo sbando e, poi, alla difficoltà dei professori a instaurare un rapporto educativo (e perciò di reale ascolto e di compagnia agli studenti nel cammino della vita).

L’inchiesta del nostro giornale sui prof in trincea ha documentato ampiamente come gli insegnanti si trovino oggi stretti nella morsa fra studenti sempre più cinici e violenti e genitori ridotti a «sindacalisti dei figli». Così, il compito dei professori è divenuto improbo. E’ quanto mai difficile, infatti, contrastare il ruolo diseducativo dei nuovi media e supplire ai vuoti crescenti della famiglia. E’ comprensibile, perciò, che alcuni docenti di fronte a una responsabilità così gravosa abbiano deciso di gettare la spugna o di limitarsi a seguire i programmi scolastici. Ma ci sono per fortuna ancora molti insegnanti - come abbiamo cercato di documentare - che vivono il lavoro educativo come l’avventura della loro vita e che, proprio per questo, riescono a introdurre i loro studenti a una visione positiva della realtà. Senza il loro impegno - che nessun aumento di stipendio potrà mai adeguatamente ricompensare - e senza una ritrovata assunzione di responsabilità da parte delle famiglie è difficile pensare che casi come quello di Matteo possano rimanere una tragica eccezione.

GIUSEPPE DI FAZIO (da www.lasicilia.it)







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