SIRACUSA. Cita don Milani, pensando a «una
scuola che dà di più a chi ha di meno». Eppure
ogni giorno lotta per ottenere le cose
più elementari. Che qui sono tutt’altro che
scontate. Come le supplenze: «Troppo costose
per il budget della scuola: se manca
qualche docente per poche ore, spesso vado
io a fare lezione in classe. Risparmio e
poi instauro un rapporto diverso con gli
alunni». Minuzie. Come quei pochi euro
per pagare la gita ai bambini che non possono
permettersela. «Ho chiesto aiuto agli
sponsor, alle banche. Per fare uscire i bambini
da qui, perché questo è un ghetto nel
ghetto». Ha insegnato in Africa e adesso la
sua nuova Africa è qui. A Siracusa, nel
quartiere della Mazzarrona, in via Algeri.
In un plesso-casermone di cemento grigio,
incastonato tra palazzine-casermoni di
cemento grigio, Roberta Guzzardi combatte
la sua guerra quotidiana contro quelle
che lei stessa definisce «le barriere invisibili». Siracusana e madre di tre figlie, la
"preside Roberta" (così la chiamano tutti
gli alunni dell’istituto comprensivo "De
Amicis") è ogni giorno in trincea. «Per educare
al meglio questi ragazzi, per assicurare
loro un lavoro. Se diventeranno falegnami
o parrucchiere, ma onesti, sarà un piccolo
successo».
Ma aleggia sempre il fantasma della
chiusura della scuola. Con appena 218
iscritti (tra materna, elementare e media)
il "De Amicis" è uno dei comprensivi più
piccoli d’Italia. Un istituto in formato Davide
con problemi da Golia. A partire dalla
sopravvivenza. «Quest’anno escono due
terze medie e se ne forma una soltanto.
Speriamo bene...».
Ma il "De Amicis" è stato di recente
sbattuto nelle scalette di tutti i tiggì nazionali,
per il caso dell’aggressione di un’insegnante
da parte di una mamma. «Non mi
sono stupita dell’episodio, ma del clamore
che ha suscitato. Non vorrei essere
fraintesa: nessuna giustificazione. Ma chi
vive realtà di frontiera capisce che cose del
genere possono succedere. È tutta questione
di energia. Anche la violenza è prodotta
da quest’energia istintiva. E qui arriva
il ruolo di dirigenti e insegnanti: bisogna
canalizzare questi istinti e trasformarli
in energia positiva. Io mi pongo come
mediatrice di questi conflitti. Il caso s’è
risolto, proprio in questa stanza. La mamma
e l’insegnante si sono incontrate, hanno
parlato. E sono certa che la cosa non si
ripeterà più».
La preside-pacifista combatte con armi
giocattolo la guerra contro un nemico potentissimo:
l’indifferenza. Delle istituzioni
(«Anche se qualcuno ci sta aiutando a
evitare la chiusura») e soprattutto delle famiglie.
Apre la scuola al tempo prolungato
fino alle 16,30; lancia progetti su legalità;
si appoggia a un gruppo di maestre in
pensione per seguire gli alunni più difficili
con le buone vecchie maniere d’una volta.
E poi non è sola. Snocciola un lunghissimo
elenco di "alleati": i lettori di lingua
inglese della Mediterranean University, le
tirocinanti dell’Ateneo di Palermo, gli studenti
del liceo Quintiliano, gli attori della
compagnia "Anime di carta", il volontario
dell’Ente fauna, gli operatori della coop
sociale "Aurora", i cantanti del coro "Gli armonici
di Siracusa", il parroco di S. Corrado
Confalonieri e le catechiste...
Eppure il problema resta sempre il "muro"
tra scuola e famiglie. «Ma in questo
campo stiamo avendo risultati impensabili.
Innanzitutto grazie a una classe di
mamme che di mattina frequentano i corsi
per adulti». Ha provato con "In movimento
con mamma e papà", corsi d’aerobica
per alunni e genitori. E poi con un incontro
periodico. «Si tratta di una cosa
informale, assieme a me, ai docenti e agli
esperti. Al primo incontro c’erano un paio
di mamme, adesso sono più di dieci. E la
prossima volta saranno ancora di più».
La "preside Roberta" ha un curriculum
particolare. Ha insegnato Italiano per due
anni a Manchester, nelle scuole del consolato
italiano. Poi a Lagos, in Nigeria. Per
quattro anni. E dalla sua esperienza africana
c’è un frammento di meravigliosa semplicità:
«Per far capire a un bambino che il
suo comportamento potrebbe danneggiare
gli altri, nelle scuole nigeriane si raccontano
favole tribali. Come quella di un uccello
su un albero che amava cantare così
forte da disturbare gli altri. Una tartaruga
che stava ai piedi dell’albero lo pregava di
smettere. L’uccello rispose: "Perché non
dici all’albero di fermare la sua crescita allora,
io amo cantare e nessuno potrà fermarmi".
Un’ora più tardi un cacciatore
udendo l’uccello, gli sparò. Esso cadde sotto
l’albero così il cacciatore, recatosi a raccoglierlo,
notò la tartaruga e la catturò
per la zuppa, dopodiché tagliò i rami dell’albero
per appiccare il falò».
Eppure tra il mondo delle favole nigeriane
e quello della realtà siracusana c’è un
abisso. Di problemi. Ma anche di speranza.
«Come il sondaggio che i nostri alunni
hanno fatto sulla presenza dei vigili urbani
nel quartiere: i genitori ne vorrebbero
sempre di più sul territorio». C’è il seme
d’un nuovo rapporto con le forze dell’ordine,
anche in un quartiere dove le sirene
della polizia annunciano l’ennesima retata
che "decapita" famiglie intere. Di mariti,
padri, fratelli.
Dalla finestra della "preside Roberta"
non si vede il mare. Eppure è lì. A uno
sguardo di distanza. Un lungo fazzoletto
d’incontaminata costiera aretusea, deturpato
da un ammasso d’anarchia edilizia. «Il
mio sogno? Portare tutti i ragazzi a fare il
bagno qui. Stanno facendo i corsi in piscina
e imparano a nuotare. Hanno un mare
bellissimo, ma nemmeno se ne rendono
conto». Magari anche questa è un’altra favola
nigeriana. Quella in cui la preside sognatrice
regala un tuffo di felicità ai bambini
del ghetto.
MARIO BARRESI (da www.lasicilia.it)