Lettera aperta degli studenti del ''P. Umberto'': «Noi studenti ultras rifiutiamo l’etichetta di assassini»
Data: Giovedì, 22 marzo 2007 ore 03:12:50 CET
Argomento: Rassegna stampa


E’ passato più di un mese dai fatti vergognosi del 2 febbraio nei luoghi adiacenti lo stadio Massimino. E dopo un mese di polemiche e critiche talvolta anche troppo forti ad una città, la nostra, come tante altre, dove la delinquenza rischia di prevalere ormai sul senso civico, anche noi, studenti della succursale del liceo statale Principe Umberto di Savoia vorremmo dire la nostra. Sentiamo il dovere di focalizzare l’attenzione sull’aspetto morale della vicenda, esprimendo una critica costruttiva che serva almeno a far riflettere sull’abiezione in cui è caduta la nostra nazione, non solo la nostra città. Sì, lo affermiamo a testa alta: Catania non è peggiore delle altre, anche se la pesantissima squalifica imposta al nostro stadio ha tutta l’aria di essere una condanna a un’intera cittadinanza. Abbiamo scritto all’inizio che la nostra è una città come tante altre, ma da sempre siamo orgogliosi di essere Catanesi. Amiamo la nostra città che riteniamo sia una delle più belle della Sicilia. Purtroppo non tutti i cittadini sembrano fieri di ciò che hanno e fanno a gara nel dimostrarsi incivili. Certo, come tutte le grandi città, Catania non è solo centro storico, c’è anche la periferia degradata. Ma sarebbe troppo facile affermare che solo da questi quartieri provenivano le migliaia di teppisti travestiti da tifosi che hanno scatenato la guerriglia urbana. Le indagini hanno dimostrato chiaramente che tra quella gente convinta che avere una sciarpa rossazzurra al collo ti autorizzi a fare ciò che vuoi, erano rappresentati tutti i rioni, i ceti sociali e le fasce d’età. Anche tra noi, tranquilli e rispettabili liceali, tanti provengono da quartieri cosiddetti a rischio: basta questo per renderci sospetti? Tanti di noi sono anche tifosi e il 2 febbraio al Massimino c’erano; alcuni possono addirittura definirsi ultras. Infatti bisogna distinguere il teppista dall’ultrà: il primo sappiamo tutti chi è, l’abbiamo visto quel venerdì. L’ultrà invece è quello che sette giorni su sette pensa alla partita; quello che, lavoro permettendo, ama andare in trasferta; è quello che ama la maglia, che è fedele, che sostiene la squadra nei momenti difficili, che non farebbe mai nulla di male che possa recare danno a squadra, società e tifosi come lui. Chi vive il calcio con questa passione aveva riposto tante speranze nella partita Catania - Palermo, quella che i veri tifosi catanesi aspettavano da tre anni per potersi riscattare. La madre di tutte le partite: conti i giorni, le ore, i minuti e i secondi. In città non si parla d’altro. Gli ultras preparano e organizzano coreografie e striscioni. Finalmente arriva il giorno: il tempo non è dei migliori, pioviggina, ma lo senti, lo senti nell’aria. Sì, è il profumo del derby! È tutto troppo bello per essere vero, e infatti tutto viene rovinato da gente che non capisce niente, né di calcio, né della vita e che non è capace di amare niente, né una città così bella, né una squadra che ci ha fatto sognare. Ma questa gente dal cuore così arido che si accende solo di violenza spunta forse dal nulla? Possiamo in coscienza affermare che non immaginavamo che sarebbe finita così? Purtroppo la maggior parte di noi era consapevole di ciò che sarebbe potuto succedere. È sbagliato, ma la violenza è ormai parte integrante dello sport e noi ci siamo abituati. O meglio, il calcio è solo una scusa, un pretesto per celare dietro false maschere un odio profondo e ingiustificabile contro le istituzioni e le forze dell’ordine, tanto che oggi si assiste più a scontri tra "tifosi" e forze dell’ordine che tra tifoserie opposte. Questo fenomeno esiste solo a Catania? A Catania è stato un poliziotto a perdere la vita e ciò ha posto la vicenda al centro dell’attenzione mediatica; ma ricordiamoci che la partita si era aperta con un minuto di silenzio per Ermanno Licurzi, dirigente di una squadra calabrese di dilettanti, ucciso a pugni e calci in un piccolo stadio di provincia. Vorremmo far capire che quanto è successo a Catania sarebbe potuto accadere ovunque. Questo comunque non giustifica l’accaduto, anzi sottolineamo ancora che il problema della violenza è un problema morale più che di ordine pubblico. Nel caso specifico ciò che risalta ancora di più è che a una tale manifestazione di violenza erano presenti moltissimi giovani. Ciò dimostra un evidente fallimento di cui tutta la società deve vergognarsi. Scuola e famiglia non possono non interrogarsi sul perché non esistono più dei valori fondamentali. Nelle famiglie c’è un silenzio preoccupante e magari per un ragazzo trovare un legame in un gruppo di ultras-teppisti può sembrare una valida alternativa per colmare il vuoto che si ha dentro. Gli scontri del 2 febbraio sono il sintomo evidente di una società profondamente degradata, in cui può perfino accadere che la Tv spazzatura mostri in diretta come costruire una bomba carta (tanto per non incitare alla violenza...). Adesso bisogna eliminare la violenza non solo dagli stadi, ma da ogni luogo. Bisogna partire dal basso, dai banchi di scuola, per cambiare mentalità. Per esempio, alcune organizzazioni sportive stanno lottando per trasmettere alla gente il vero valore dello sport, considerandolo come un mezzo per diffondere la fratellanza tra gli sportivi. Quali sono stati invece i provvedimenti adottati dalle autorità? La sospensione di una sola giornata di campionato non è servita a nulla se non ad accelerare i lavori per mettere a norma alcuni stadi. Intanto la squalifica infinita inflitta al campo del Catania sembra dire che, trovato un capro espiatorio, ogni problema è rimosso e tutto può continuare come prima. Ma Catania non ci sta: i Catanesi sani dicono no alla violenza, ma si ribellano anche all’etichetta che li vuole tutti assassini!

GLI STUDENTI DELLA SUCCURSALE DEL LICEO STATALE PRINCIPE UMBERTO DI SAVOIA DI CATANIA

(da www.lasicilia.it)







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