Caso Spedalieri: parla il ministro
Data: Mercoledì, 14 marzo 2007 ore 23:51:28 CET
Argomento: Rassegna stampa


ROMA. Il ministro della Pubblica istruzione Giuseppe Fioroni ha parlato in tv del «Caso Spedalieri». Il ministro, ospite della trasmissione di La 7 «8 e mezzo», condotta da Giuliano Ferrara, ha preso lo spunto per alcune considerazioni da una lettera inviata dagli studenti del liceo catanese, tramite il nostro giornale, ai propri insegnanti subito dopo i gravi fatti di guerriglia urbana in cui fu ucciso l’ispettore capo di polizia Filippo Raciti. Nella lettera - che ha aperto un dibattito sulle colonne del nostro giornale -, gli studenti si dicevano «soffocati dal nulla» e chiedevano aiuto agli insegnanti del loro liceo. Nel suo intervento il ministro ha rimarcato la necessità che scuola e famiglia condividano valori da trasmettere e ha stigmatizzato la tendenza a sostituire «valori che riscaldano il cuore» con «soldi e regali da mettere in tasca». Fioroni ha sottolineato come la famiglia «da sindacalista dei figli dovrebbe ritrovare il suo ruolo di responsabilità». Nel corso della trasmissione si è parlato anche dei fenomeni di bullismo e della pessima abitudine di portare il telefonino, soprattutto se dotato di fotocamera o videocamera, in classe durante le lezioni. Il ministro ha detto che una commissione incaricata di studiare la materia concluderà giovedì i lavori e dopo verranno presi i provvedimenti idonei. Ma Fioroni ha ribadito che già oggi è possibile impedire l’uso dei telefoni cellulari in classe. «Gli insegnanti - ha detto - possono già oggi impedire agli studenti di usare il telefonino in classe. Durante le lezioni non si gioca a carte, non si balla e non si telefona. Si seguono le lezioni. Credo dunque che vietare l’uso del telefonino in classe sia già possibile senza dover inventare altro». «Cosa diversa - ha aggiunto Fioroni - è varare una legge per impedire che i telefonini entrino a scuola. In questo caso c’è una violazione della libertà individuale e dunque è una questione che va esaminata. Ma se il telefonino viene usato in classe bisogna prevedere sanzioni per chi lo fa»

(da www.lasicilia.it)

 

Ma Spedalieri diceva «La scuola dia valori»

Nicola Spedalieri (1740-1795) non aveva figli: era prete e di quelli rigorosamente fedeli al proprio voto. Ma ha centinaia di ragazzi, i ragazzi dello Spedalieri che nel liceo catanese a lui intestato, inconsapevolmente ne proseguono il pensiero, l’azione risoluta, che si fa sentire oltre i confini locali. Il sacerdote illuminista si rese famoso sul panorama europeo per il vasto saggio (in sei libri) «Dei diritti dell’uomo» (1791) in cui, dalla prospettiva di quegli anni agitati dalla Rivoluzione francese e dalle stragi che stava causando, alzò la voce controcorrente, difendendo le ragioni dello spirito, sostenendo che l’estremismo giacobino non portava a nulla di buono, che le finzioni dei giansenisti (finti religiosi a suo dire, sostanzialmente pronti ad abbattere la fede dei padri) minacciavano di distruggere lo stesso aspetto dell’Europa cattolica. Quelle pagine, che due secoli addietro provocarono immenso scalpore (tra i letterati in odore di giansenismo c’era anche don Alessandro Manzoni un po’ troppo bruscamente transitato dalle schiere dei materialisti a quelle dei ferventi religiosi), ma il prete di Bronte aveva visto giusto: i diritti umani di cui tanto parlavano i sanculotti non si possono sostenere senza una interiore forza morale, senza un sicuro riferimento che non sia l’arbitrio di parte o l’interesse momentaneo. Alcune frasi di quell’illuminista con la tonaca (la Sicilia allora era culla di molti filosofi cartesiani) sono significative per sostenere le ragioni degli attuali ragazzi che con la sua stessa fermezza stanno difendendo i valori irrinunciabili dell’uomo, tolti i quali si rimane solo politically correct, cioè privi di personalità, come don Abbondio che per amore di pace dava ragione a tutti e aveva bisogno dei consigli della cameriera. Ecco alcune pillole di saggezza riprese da quel fondamentale libro che fu scritto in italiano (e non in latino che l’autore ugualmente padroneggiava) allo scopo di essere accessibile anche ai meno dotti: «L’educazione sola è più utile di tutti gli altri mezzi uniti assieme... l’uomo opera più per abito che per riflessione... se si sono contratti abiti mali, non si torna più indietro… cessa l’impeto giovanile; ma sottentra in sua vece la simulazione: si era malvagio scoperto e si diventa ribaldo mascherato...» Il che trasferito alle attuali questioni significa che se non si conferisce ai ragazzi il senso di quello che devono fare, se li si lascia nell’incertezza dei fini verso i quali muovere, sarà difficilissimo riprenderli in seguito, avremo sciupato una intera generazione. Parole ancora più aspre il pensatore di Bronte rivolge contro la malintesa estensione dell’agnosticismo: «Tra i mezzi distruttivi della vera religione la tolleranza illimitata di tutte l’eresie è uno dei più efficaci»: a forza di accettare tutte le opinioni anche le più innaturali perderemo anche la conformazione di società: saremo un’insieme di gente che mira all’interesse personale. E’ la questione di fondo: se non si propongono ai giovani modelli positivi avremo arrecato un danno irreparabile a tutta la collettività: «L’esempio buono può poco, ma può moltissimo quello cattivo. Tra dieci ben educati, il cui spirito sia munito di buone massime, il cattivo esempio ne infetterà per lo meno due terzi...» Se nella scuola non si propongono valori e si rimane in abbondiana paura di manifestare il proprio carattere, proni all’obbedienza verso chi minaccia, avremo innescato quella spirale di reazioni che porta all’individualismo sfrenato e da questo al comportamento antisociale di cui si vedono le conseguenze singole o collettive nelle cronache quotidiane. Il messaggio di fine Settecento è ancora adesso netto: quando i ragazzi dello Spedalieri chiedono di confrontarsi su valori alti, chiedono un profilo ideale sicuro dai loro maestri, quando pongono domande non banali alla ricerca di una filosofia per il domani, stanno continuando la polemica iniziata sotto i sinistri bagliori della Parigi sbastigliata. I diritti sono dell’uomo solo quando egli ha una forte carica umana, altrimenti diventano il paravento di un collasso insanabile.

SERGIO SCIACCA (da www.lasicilia.it)







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