ROMA. Il ministro della Pubblica istruzione Giuseppe Fioroni
ha parlato in tv del «Caso Spedalieri».
Il ministro, ospite della trasmissione di La 7 «8 e mezzo»,
condotta da Giuliano Ferrara, ha preso lo spunto per alcune
considerazioni da una lettera inviata
dagli studenti del liceo catanese, tramite
il nostro giornale, ai propri insegnanti subito
dopo i gravi fatti di guerriglia urbana
in cui fu ucciso l’ispettore capo di polizia
Filippo Raciti.
Nella lettera - che ha aperto un dibattito
sulle colonne del nostro giornale -, gli
studenti si dicevano «soffocati dal nulla» e
chiedevano aiuto agli insegnanti del loro
liceo.
Nel suo intervento il ministro ha rimarcato
la necessità che scuola e famiglia
condividano valori da trasmettere e ha
stigmatizzato la tendenza a sostituire «valori che riscaldano
il cuore» con «soldi e regali da mettere in tasca».
Fioroni ha sottolineato come la famiglia «da sindacalista
dei figli dovrebbe ritrovare il suo ruolo di responsabilità».
Nel corso della trasmissione si è parlato anche dei fenomeni
di bullismo e della pessima abitudine di portare il telefonino,
soprattutto se dotato di fotocamera o videocamera,
in classe durante le lezioni.
Il ministro ha detto che una commissione
incaricata di studiare la materia
concluderà giovedì i lavori e dopo verranno
presi i provvedimenti idonei. Ma Fioroni
ha ribadito che già oggi è possibile impedire
l’uso dei telefoni cellulari in classe.
«Gli insegnanti - ha detto - possono già
oggi impedire agli studenti di usare il telefonino
in classe. Durante le lezioni non
si gioca a carte, non si balla e non si telefona.
Si seguono le lezioni. Credo dunque
che vietare l’uso del telefonino in classe
sia già possibile senza dover inventare
altro».
«Cosa diversa - ha aggiunto Fioroni - è varare una legge
per impedire che i telefonini entrino a scuola. In questo caso
c’è una violazione della libertà individuale e dunque è
una questione che va esaminata. Ma se il telefonino viene
usato in classe bisogna prevedere sanzioni per chi lo fa»
(da www.lasicilia.it)
Ma Spedalieri diceva
«La scuola dia valori»
Nicola Spedalieri (1740-1795) non
aveva figli: era prete e di quelli rigorosamente
fedeli al proprio voto. Ma
ha centinaia di ragazzi, i ragazzi dello
Spedalieri che nel liceo catanese a
lui intestato, inconsapevolmente ne
proseguono il pensiero, l’azione risoluta,
che si fa sentire oltre i confini locali.
Il sacerdote illuminista si rese famoso
sul panorama europeo per il
vasto saggio (in sei libri) «Dei diritti
dell’uomo» (1791) in cui, dalla prospettiva
di quegli anni agitati dalla
Rivoluzione francese e dalle stragi
che stava causando, alzò la voce controcorrente,
difendendo le ragioni
dello spirito, sostenendo che l’estremismo
giacobino non portava a nulla
di buono, che le finzioni dei giansenisti
(finti religiosi a
suo dire, sostanzialmente
pronti ad abbattere
la fede dei
padri) minacciavano
di distruggere lo
stesso aspetto dell’Europa
cattolica.
Quelle pagine, che
due secoli addietro
provocarono immenso
scalpore (tra i
letterati in odore di
giansenismo c’era
anche don Alessandro
Manzoni un po’
troppo bruscamente
transitato dalle
schiere dei materialisti
a quelle dei ferventi
religiosi), ma il prete di Bronte
aveva visto giusto: i diritti umani di
cui tanto parlavano i sanculotti non si
possono sostenere senza una interiore
forza morale, senza un sicuro riferimento
che non sia l’arbitrio di
parte o l’interesse momentaneo.
Alcune frasi di quell’illuminista
con la tonaca (la Sicilia allora era culla
di molti filosofi cartesiani) sono
significative per sostenere le ragioni
degli attuali ragazzi che con la sua
stessa fermezza stanno difendendo i
valori irrinunciabili dell’uomo, tolti i
quali si rimane solo politically correct,
cioè privi di personalità, come
don Abbondio che per amore di pace
dava ragione a tutti e aveva bisogno
dei consigli della cameriera.
Ecco alcune pillole di saggezza riprese
da quel fondamentale libro che
fu scritto in italiano (e non in latino
che l’autore ugualmente padroneggiava)
allo scopo di essere accessibile
anche ai meno dotti: «L’educazione
sola è più utile di tutti gli altri
mezzi uniti assieme... l’uomo opera
più per abito che per riflessione... se
si sono contratti abiti mali, non si
torna più indietro… cessa l’impeto
giovanile; ma sottentra in sua vece la
simulazione: si era malvagio scoperto
e si diventa ribaldo mascherato...»
Il che trasferito alle attuali questioni
significa che se non si conferisce ai
ragazzi il senso di quello che devono
fare, se li si lascia nell’incertezza dei
fini verso i quali muovere, sarà difficilissimo
riprenderli in seguito, avremo
sciupato una intera generazione.
Parole ancora più aspre il pensatore
di Bronte rivolge contro la malintesa
estensione dell’agnosticismo: «Tra
i mezzi distruttivi della vera religione
la tolleranza illimitata di tutte l’eresie
è uno dei più efficaci»: a forza di
accettare tutte le opinioni
anche le più innaturali
perderemo
anche la conformazione
di società: saremo
un’insieme di
gente che mira all’interesse
personale.
E’ la questione di
fondo: se non si propongono
ai giovani
modelli positivi avremo
arrecato un danno
irreparabile a tutta
la collettività: «L’esempio
buono può
poco, ma può moltissimo
quello cattivo.
Tra dieci ben educati,
il cui spirito sia munito
di buone massime, il cattivo
esempio ne infetterà per lo meno
due terzi...» Se nella scuola non si
propongono valori e si rimane in abbondiana
paura di manifestare il proprio
carattere, proni all’obbedienza
verso chi minaccia, avremo innescato
quella spirale di reazioni che porta
all’individualismo sfrenato e da
questo al comportamento antisociale
di cui si vedono le conseguenze
singole o collettive nelle cronache
quotidiane. Il messaggio di fine Settecento
è ancora adesso netto: quando
i ragazzi dello Spedalieri chiedono
di confrontarsi su valori alti, chiedono
un profilo ideale sicuro dai loro
maestri, quando pongono domande
non banali alla ricerca di una filosofia
per il domani, stanno continuando
la polemica iniziata sotto i sinistri
bagliori della Parigi sbastigliata. I diritti
sono dell’uomo solo quando egli
ha una forte carica umana, altrimenti
diventano il paravento di un collasso
insanabile.
SERGIO SCIACCA (da www.lasicilia.it)