ROMA. Sessantuno miliardi di messaggi spam al giorno
in giro per l’Europa, quasi il 90% del totale delle e
mail scambiate, con costi che sfiorano i 39 miliardi di
euro l’anno. Il fenomeno della posta indesiderata si allarga
a macchia d’olio, in pratica 2 messaggi su 3 sono
da buttare. Una vera e propria epidemia, tanto che
nel gennaio scorso il tasso di spam, la cui media è del
66%, ha superato il 72%, facendo impennare i costi in
termini di rallentamento della rete e di perdita di produttività,
perché per fare pulizia occorrono almeno 15
minuti al giorno. È questo il risultato di un’indagine
condotta dall’Istituto di informatica e telematica del
Cnr, coordinati da Stefano Ruberti.
Delle 2.846.282 e-mail ricevute, il sistema ne ha
classificate come pulite 970.000 (34%); ben 1.876.511
erano invece spam o virus. Inoltre 732.000 messaggi
sono stati respinti dai sistemi di controllo che
identificano indirizzi noti come mittenti di spamming.
Infine, 25.477 e-mail sono state classificate
come virus. La maggior parte dei messaggi tende a dirottare
gli utenti su pagine web fasulle, che ricordano
quelle di banche o portali per l’acquisto di prodotti
online al fine di carpire password e codici di autenticazione:
il cosiddetto phishing.
I danni ricadono anche sull’efficienza: basti pensare
che il server dell’Istituto ha impiegato oltre 1.315
ore per identificare gli spam. Nel frattempo le tecniche
stanno diventando più raffinate; l’ultimo nato è
l’image spam: i messaggi non contengono testo, ma
immagini digitali, più difficili da analizzare.
Dietro i messaggi spazzatura ci sono circa 200
gruppi con 600 persone, moltissimi giovani, che producono
l’80% del traffico mondiale; per la maggior
parte vivono negli Stati Uniti (come Jeremy Jaynes, 33
anni, arrestato, condannato a 9 anni di carcere dopo
avere accumulato 24 milioni di dollari), ma stanno
avanzando anche nell’Estremo Oriente. «È sufficiente
che pochi destinatari abbocchino, poiché i costi sono
prossimi allo zero - conclude Ruberti - l’obiettivo
è mettere in ginocchio i sistemi di posta e non è
escluso che chi propone a pagamento sistemi antispam,
abbia contribuito alla sua diffusione: un sistema
già sospettato nella prima, massiccia ondata di virus
per computer».
SABINA LICCI (da www.lasicilia.it)