«Petrarca», scuola aperta al quartiere. Il preside: qui i ragazzi imparano a diventare cittadini, i docenti sono educatori che trasmettono cultura e v
Data: Sabato, 10 marzo 2007 ore 00:05:13 CET
Argomento: Rassegna stampa


Catania. Gli allievi dell’istituto comprensivo Petrarca vanno a scuola volentieri. Qui la dispersione è stata sconfitta, eppure è una zona di frontiera, al confine tra due quartieri difficili, Trappeto Nord e San Giovanni Galermo. Qui il disagio sociale c’è sempre stato e la scuola, a differenza di quelle del centro, si è attrezzata a gestirlo e a fronteggiarlo, con mano ferma e con grande disponibilità. I mille allievi, cui si aggiungono i 400 adulti che di pomeriggio frequentano la «Scuola della seconda opportunità», hanno ognuno il proprio armadietto dove lasciano i libri, sono muniti di un pass elettronico per segnare l’ingresso a scuola, e possono indicare, via computer, le proprie intolleranze alimentari o eventuali bisogni. E attraverso il computer, quello di casa o il «totem» della scuola, i genitori possono controllare quotidianamente il rendimento scolastico dei figli. I docenti, infatti, non usano il registro, ma fanno le proprie valutazione per via informatica, proprio perché siano immediatamente accessibili. Qui i ragazzi frequentano fino al pomeriggio e fanno pranzo in una mensa attrezzata di cucina autonoma, una possibilità che la scuola continua a difendere tra mille difficoltà, pur essendo in credito di ben 150.000 euro da parte del Comune. Questa è una scuola aperta al quartiere, dalle 8 del mattino fino alle 22. Qui si fanno lezioni per i ragazzi dalla mattina al pomeriggio, per gli adulti della «Seconda opportunità» da metà pomeriggio e sport per tutti fino a sera, con allievi ed ex allievi. E per questo servizio la scuola non sborsa una lira di straordinario perché i bidelli turnano, e se non lo vogliono fare sono invitati ad andare altrove. «Perché qui - dice il preside Santo Gagliano - il personale docente e non docente è al servizio della scuola, non viceversa. Per questo alla Petrarca non facciamo "progetti", che sono solo un modo per distribuire soldi ai docenti e andrebbero eliminati ovunque. Qui tutte le attività vengono fatte all’interno del normale progetto didattico e, pertanto, non sono pagate a parte». Qui i telefonini non entrano. Chi lo vuole portare a scuola lo lascia al bidello, all’ingresso, e lo riprende all’uscita. Se i ragazzi hanno bisogno di comunicare con casa lo possono fare dalla presidenza, davanti ad un docente. «Perché la scuola è un fatto importante e il rapporto tra la classe e il docente non può essere disturbato da un elemento terzo. Ed è importante che la vita vera non sia sostituita da quella virtuale». «Quella che viviamo oggi - dice il preside Gagliano - non è una situazione di disagio sociale, ma una crisi educativa. Tutte le figure e le agenzie educative sono in crisi: la famiglia, la scuola, la Chiesa. Dire che la scuola non può dare risposte è un fallimento perché la scuola deve dare motivazioni per vivere. Fino a venti anni fa c’era un contesto di valori condiviso e tutte le agenzie educative contribuivano a rafforzarli. Anche i partiti avevano idee diverse, ma valori condivisi, come la legalità e il rispetto delle regole. Oggi non è più così. I ragazzi ci chiedono cos’è la vita, che ci sto a fare, chi mi vuole bene, e la scuola risponde: studia l’italiano, la matematica... Propone contenuti al posto di un percorso educativo, non risponde ai bisogni dei giovani. I ragazzi oggi sono infelici e vivono solo nel presente, nessun interesse per le radici, e dunque per il passato e per la cultura, e nessuna proiezione nel futuro: il successo e l’insuccesso del presente è tutto, felicità o tragedia. In questo contesto è inutile invocare la disciplina. Mi chiede che fare? Penso che più che le cose da fare è importante il modo in cui si fanno. E’ importante, ed è quello che facciamo nella nostra scuola, che gli adulti si prendano cura dei ragazzi, che considerino ognuno di loro unico, insostituibile. Per esempio, la docente di educazione fisica domenica scorsa ha portato i ragazzi ad un gara campestre a Maletto e la prossima li porterà a Selinunte. Lo fa gratis, perché per loro è importante. I ragazzi lo sanno, l’apprezzano e rispettano la disciplina. In questa scuola i giovani si sentono a loro agio e non è un caso che non è stato mai rubato nulla. Ogni cosa che facciamo, lo sport come il catechismo, cerchiamo di trasformarlo in un’esperienza di vita dove si creano amicizia e complicità tra l’adulto e il ragazzo, un patto generazionale dove l’adulto diventa punto di riferimento: è quello che i ragazzi chiedono, quello di cui hanno bisogno. I nostri docenti non si propongono come professionisti della cultura, ma come educatori che trasmettono cultura e valori, che curano il ragazzo affinché cresca. Nelle scuole come le nostre i giovani imparano a diventare cittadini, ad avere un forte senso critico, a rivendicare i propri diritti, per questo danno fastidio e c’è chi cerca pretesti per delegittimarle, come è avvenuto con il preside picchiato a Bari, persona che gestisce bene una scuola di frontiera».

 

LA «RICETTA» DELL’ISTITUTO:Porte sempre aperte e fiducia in sé stessi

Nell’immobile di via Sebastiano Catania 176 le porte sono aperte e gli studenti vanno e vengono, liberamente. Qui non ci sono aule tradizionali con cattedra e banchi, ma spazi spogli con un grande tavolo centrale e delle sedie attorno per accogliere docenti e allievi. Qui la matematica si studia al computer e l’inglese in corridoio, ballando e cantando. Questa è la scuola del progetto «2you», due volte ragazzi, il progetto sperimentale europeo volto a contrastare il disagio giovanile, una sorta di pronto soccorso per adolescenti che qui trovano personale specializzato cui rivolgersi per cercare di capire come affrontare i propri problemi personali, scolastici e familiari. Uno «sportello» cui possono rivolgersi anche i loro genitori. Qui si fa attività di recupero, per le medie e per le superiori. Nel primo caso si tratta di alunni pluriripetenti che sarebbero persi per la scuola e cui si dà un’opportunità per ritornarvi, nel secondo caso, per i ragazzi delle superiori che sono incerti sul percorso intrapreso, si dà la possibilità di capire se la scelta fatta è quella giusta o se è necessario cambiare attrezzandosi, comunque, per il ritorno a scuola o altrove. E poi si fa sport: un torneo di calcio cui sono stati invitati tutti gli studenti delle superiori di Catania, e la cosa innovativa è che i ragazzi devono organizzarsi da soli per i turni, per scegliere gli arbitri e tutto quanto serve. Gli adulti sono solo a loro supporto. Un modo per imparare a gestirsi e ad assumersi le proprie responsabilità. Anche questa - gestita dalla Petrarca - è un’occasione per ritrovare fiducia in se stessi e per aiutare i ragazzi a trovare la propria strada, nella scuola, come nella vita.

PINELLA LEOCATA (da www.lasicilia.it)

 

Lo psicologo Guarnieri: «Noi adulti, cosa proponiamo ai giovani?»

Disagio giovanile, ragazzi violenti, balordi, che trovano nel «branco» la loro realizzazione? In realtà, la domanda da porsi è un’altra: «Noi adulti, cosa proponiamo ai giovani?». Ne è convinto Francesco Guarnieri, psicologo dell’Ufficio servizi sociali per i minorenni di Catania, un ufficio del ministero della Giustizia che garantisce assistenza ai minorenni con denunce penali. I giovani, infatti, secondo il dott. Guarnieri, «ognuno con la propria storia e inseriti in un certo contesto familiare e sociale, cercano di diventare grandi interrogando gli adulti che hanno attorno. Cercano risposte alle urgenze che hanno dentro e, se non le trovano negli adulti perché questi propongono risposte deboli o confuse, si adeguano al "gruppo dei pari", cioè agli altri adolescenti, oppure alle organizzazioni criminali che, paradossalmente, dal punto di vista educativo sono molto abili: hanno una posizione forte dal punto di vista dell’identità, propugnano valori sì sbagliati ma netti, generano un forte senso di appartenenza». In altre parole, manca da parte degli adulti una proposta forte, chiara, univoca. «E’ un problema culturale generale, che nasce anche dalla problematica del padre assente. In psicologia, la madre genera la vita, mentre il padre genera nel rapporto con la realtà. Se viene meno il rapporto tra padre e figlio, viene meno il rapporto tra ragazzo e realtà». Parole difficili? No, se si esemplificano con un esempio: «Il mio lavoro – spiega Guarnieri – consiste nel mettermi totalmente in gioco nel rapporto con il ragazzo nel verificare ciò che lui desidera e fargli vedere che c’è una alternativa. Faccio un esempio: un giovane rapinatore ammise di avere sbagliato, ma riteneva di non avere fatto in fondo nulla grave perché, secondo lui, non aveva fatto male a nessuno: la banca era assicurata e nessuno aveva perso i suoi soldi. Piuttosto che opporre a questo ragionamento una posizione moralistica, gli ho chiesto a chi vengono fatte pagare le spese che la banca deve affrontare per le misure di sicurezza da adottare per difendersi dalla rapine. "Da chi ha il conto in banca", ha ammesso il ragazzo e, quindi, gli ho fatto notare, "anche da tuo padre che ha un conto in banca. Quindi – gli ho detto – è come se tu avessi derubato tuo padre". Il ragazzo è rimasto colpito da questo ragionamento: i giovani, insomma, hanno bisogno di qualcuno che li accompagni nella verifica del rapporto con la realtà. La loro urgenza è paragonarsi con la realtà e così scoprire se stessi: il lavoro degli adulti dovrebbe essere di aiutarli in questo paragone, mettendosi però accanto a loro, condividendo tutta la loro persona, la drammaticità del rapporto con la vita: questo permette uno scatto di crescita, una fiducia, una speranza che è quella che può cambiare le cose». Un compito arduo «per il quale – sottolinea Guarnieri – servono persone, non progetti. Mi chiedo spesso se nel nostro ufficio operiamo bene. Poi penso: in 10 anni avrò seguito circa 200 ragazzi e se a una parte di questi dall’incontro con me, con l’educatrice, con l’assistente sociale, è rimasto qualcosa, significa che è stata guadagnata una persona alla società. Come il ragazzo ex rapinatore che, passato da questo ufficio, ho ritrovato tempo fa a scuola all’istituto San Giuseppe: ha potuto confrontare due proposte e ha fatto una scelta consapevole. O come il ragazzo che, durante la messa alla prova al Banco Alimentare, si è chiesto perché i volontari davano gratuitamente. Quella messa alla prova è andata bene, non tanto perché questo ragazzo ha fatto bene il lavoro al Banco, ma perché ha incontrato delle persone che gli hanno proposto una esperienza interessante, diversa». Il disagio dei giovani nasce allora dalla paura degli adulti di giocarsi tutto nel rapporto con gli adolescenti: «I ragazzi non trovano risposte, allora chiedono insistentemente. Se ancora nessuno risponde, non chiedono più a parole, ma con i fatti: chi ha paura di non ricevere risposte, infatti, pretende». Ma per gli adulti di oggi, in una società in cui siamo i primi nell’accudimento e ai livelli più bassi nell’educazione, mettersi totalmente in discussione è una fatica immane, una sfida impossibile: «Allora gli adulti devono mettersi assieme: uno si mette in gioco con la propria passione, il proprio desiderio, le proprie difficoltà, si guarda attorno e si chiede: con chi posso condividere questa avventura? I genitori, i docenti possono mettersi insieme, partendo dal basso, lavorando in équipe: perché i ragazzi hanno bisogno di adulti che ci stanno, senza censurare le proprie domande, la propria vita. I ragazzi hanno bisogno di adulti pazienti (che hanno, cioè, la capacità di rimanere in un rapporto, completi, senza subirlo)». E allora ecco forse la risposta al fallimento delle agenzie educative: «Oggi c’è una difficoltà, proprio perché a volte abbiamo una posizione debole anche nel metterci assieme. Si assiste a una crisi nel rapporto tra famiglia e scuola, oppure le istituzioni vengono viste come nemiche rispetto al problema educativo. Invece, il problema educativo esige proprio il fatto di mettersi assieme tra famiglie, agenzie educative, perché ognuno può fare qualcosa, ma ciascuno da solo non può riuscire».

MARIA AUSILIA BOEMI (da www.lasicilia.it)







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