Da preside avevo il brutto vezzo quasi ogni mattina di chiamare
al telefono la famiglia degli assenti di una classe, preso
a caso il registro. I ragazzi sapevano della mia detestabile
abitudine e limitavano al massimo le assenze arbitrarie.
Ma c’era però chi si fidava del caso: «Che proprio oggi il
cerbero deve chiamare a casa mia?». Ad una madre comunicai
un certo giorno che il figlio era assente. La poverina
rabbrividì. Mi raccomandò di indagare per bene. Era impossibile
che il suo figliuolo si fosse assentato arbitrariamente.
Dovetti insistere sulla certezza della mia segnalazione che
mi veniva dal registro di classe che avevo sotto gli occhi. La
madre diede in escandescenze: «Lo ammazzo, gliene darò
tante che lui non dimenticherà mai la sua marachella…». Al
che invitai la signora ad evitare la maniere brusche. Infatti,
le botte all’antica pare non rientrino tra le maniere più
fruttuose del processo educativo.
Il mio telefono trillò dopo pochi minuti dal colloquio con
la brava donna. Era lei che rettificava il tiro: «Signor preside,
ci siamo sbagliati. Mio figlio col permesso del padre, a mia
insaputa, è a casa del nonnino ammalato!». Era sopravvenuto
nella mente della signora il timore che la mia chiamata
preludesse, dopo la sua conferma, a dure misure punitive e
aveva inventato la plausibile scusa del nipote che assiste il
nonnino ammalato. Infatti seppi poi che il nonnino del ragazzo
era morto da gran tempo.
Il colloquio con la signora è uno dei tanti ricordi che legano
la mia attività scolastica al rapporto tra scuola e famiglia.
Non v’è tra le due agenzie la sintonia indiscutibilmente necessaria
per il processo educativo, percorso obbligato della
scuola d’ogni tempo. Si deve educare, «educere», trarre il
meglio dalla persona, svolgere il gomitolo con scrupolosa
pazienza senza esagerazioni punitive e senza edulcorato
permissivismo. La scuola fa la sua parte,non sempre bene, (ci
sono anche docenti che tagliano lingue!), ma la famiglia
d’oggi è schierata pregiudizialmente dalla parte degli alunni.
Una frase,la meno dura del docente: «Se continui a non
studiare, potresti essere bocciato» diventa per la famiglia minaccia
intollerabile per il giovinetto traumatizzato. Assenze
ingiustificate? Non ce ne sono perché il ragazzo si assenta
solo per plausibili motivi. I voti negativi? Strumenti impropri
del docente che il ragazzo «ce l’ha sul naso». E quante ingiustizie
denunciate! Il compagno di banco copia la versione
del figlio e ottiene un voto in più, in gita scolastica a non
far dormire i docenti erano gli «altri», meno il figliuolo a letto
di buonora… «Ha fumato uno spinello!» confidai ad un
padre che ritenevo disponibile a collaborare con la scuola.
Me ne disse di tutti i colori perché il suo ragazzo non fumava
nemmeno le sigarette comuni!
Nel mio liceo insegnò per qualche anno l’ottimo don
Francesco Venturino. Da Giarre portò via un buon ricordo.
Una scuola tranquilla, assai diversa da altre comunità di
grande metropoli. Certo un liceo di piccolo centro è diverso
da altri istituti di megacittà. Le eccezioni segnalate in un paese
nella metropoli sono avvenimenti consueti della quotidianità
specie ora che il telefonino consente collegamenti continui
con l’esterno. E vuoi «educare»? Tenta di portare tra i
banchi i genitori. Dalle loro bocche apprenderai come la
pensano e quanto contano a casa le loro buone parole,
quando riescono a pronunciarle! Un preside picchiato a
Bari? Ma chi glielo ha fatto fare di vergare giudizi negativi sul
«piccolo» di casa? E che idea proibire l’uso dei telefonini! Punire
il preside si deve perché ha osato fermare il modernismo
imperante. Allarme sociale? Ma da quanto tempo lo
Stato è mallevadore di un perverso permissivismo?
GIROLAMO BARLETTA (da www.lasicilia.it)