SCUOLA E FAMIGLIA, EDUCATORI DIVERGENTI
Data: Sabato, 10 marzo 2007 ore 00:03:17 CET
Argomento: Rassegna stampa


Da preside avevo il brutto vezzo quasi ogni mattina di chiamare al telefono la famiglia degli assenti di una classe, preso a caso il registro. I ragazzi sapevano della mia detestabile abitudine e limitavano al massimo le assenze arbitrarie. Ma c’era però chi si fidava del caso: «Che proprio oggi il cerbero deve chiamare a casa mia?». Ad una madre comunicai un certo giorno che il figlio era assente. La poverina rabbrividì. Mi raccomandò di indagare per bene. Era impossibile che il suo figliuolo si fosse assentato arbitrariamente. Dovetti insistere sulla certezza della mia segnalazione che mi veniva dal registro di classe che avevo sotto gli occhi. La madre diede in escandescenze: «Lo ammazzo, gliene darò tante che lui non dimenticherà mai la sua marachella…». Al che invitai la signora ad evitare la maniere brusche. Infatti, le botte all’antica pare non rientrino tra le maniere più fruttuose del processo educativo. Il mio telefono trillò dopo pochi minuti dal colloquio con la brava donna. Era lei che rettificava il tiro: «Signor preside, ci siamo sbagliati. Mio figlio col permesso del padre, a mia insaputa, è a casa del nonnino ammalato!». Era sopravvenuto nella mente della signora il timore che la mia chiamata preludesse, dopo la sua conferma, a dure misure punitive e aveva inventato la plausibile scusa del nipote che assiste il nonnino ammalato. Infatti seppi poi che il nonnino del ragazzo era morto da gran tempo. Il colloquio con la signora è uno dei tanti ricordi che legano la mia attività scolastica al rapporto tra scuola e famiglia. Non v’è tra le due agenzie la sintonia indiscutibilmente necessaria per il processo educativo, percorso obbligato della scuola d’ogni tempo. Si deve educare, «educere», trarre il meglio dalla persona, svolgere il gomitolo con scrupolosa pazienza senza esagerazioni punitive e senza edulcorato permissivismo. La scuola fa la sua parte,non sempre bene, (ci sono anche docenti che tagliano lingue!), ma la famiglia d’oggi è schierata pregiudizialmente dalla parte degli alunni. Una frase,la meno dura del docente: «Se continui a non studiare, potresti essere bocciato» diventa per la famiglia minaccia intollerabile per il giovinetto traumatizzato. Assenze ingiustificate? Non ce ne sono perché il ragazzo si assenta solo per plausibili motivi. I voti negativi? Strumenti impropri del docente che il ragazzo «ce l’ha sul naso». E quante ingiustizie denunciate! Il compagno di banco copia la versione del figlio e ottiene un voto in più, in gita scolastica a non far dormire i docenti erano gli «altri», meno il figliuolo a letto di buonora… «Ha fumato uno spinello!» confidai ad un padre che ritenevo disponibile a collaborare con la scuola. Me ne disse di tutti i colori perché il suo ragazzo non fumava nemmeno le sigarette comuni! Nel mio liceo insegnò per qualche anno l’ottimo don Francesco Venturino. Da Giarre portò via un buon ricordo. Una scuola tranquilla, assai diversa da altre comunità di grande metropoli. Certo un liceo di piccolo centro è diverso da altri istituti di megacittà. Le eccezioni segnalate in un paese nella metropoli sono avvenimenti consueti della quotidianità specie ora che il telefonino consente collegamenti continui con l’esterno. E vuoi «educare»? Tenta di portare tra i banchi i genitori. Dalle loro bocche apprenderai come la pensano e quanto contano a casa le loro buone parole, quando riescono a pronunciarle! Un preside picchiato a Bari? Ma chi glielo ha fatto fare di vergare giudizi negativi sul «piccolo» di casa? E che idea proibire l’uso dei telefonini! Punire il preside si deve perché ha osato fermare il modernismo imperante. Allarme sociale? Ma da quanto tempo lo Stato è mallevadore di un perverso permissivismo?

GIROLAMO BARLETTA (da www.lasicilia.it)







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