Le reazioni alla lettera dei docenti del liceo Spedalieri di Catania in risposta all’appello dei loro studenti
Data: Martedì, 06 marzo 2007 ore 21:23:38 CET
Argomento: Rassegna stampa


Pietro Barcellona risponde al preside e ai 28 insegnanti dello Spedalieri che hanno inviato una lettera aperta ai ragazzi sostenendo che la scuola non può proporre verità.

«Cari prof, scuola laica non significa neutrale; chi insegna ha il dovere di esplicitare i propri valori e le proprie verità. La critica è mezzo per raggiungere la verità».

Trovo singolare la risposta risentita al comitato degli studenti che il preside e alcuni professori del liceo Spedalieri hanno pubblicato sulla Sicilia.

Intanto l’idea degli studenti di avvalersi dei media per aprire un dibattito pubblico sui problemi delle nuove generazioni e del significato della Scuola è utile a investire l’intera città di questioni che riguardano il futuro di tutti e a richiamare l’attenzione su un mondo di domande e aspettative che solitamente vengono trattati come lussi adolescenziali.

È assai positivo che l’omicidio del poliziotto e la guerriglia urbana provocati da bande di ragazzi, spesso minorenni, abbia suscitato una reazione morale pubblica di così tanti coetanei che vogliono capire al di là di ogni semplificazione e di ogni strumentalismo politico.

Porre al centro del dibattito il senso della vita, del nascere e del morire mi sembra un fatto di grandissimo rilievo. Come si legge nell’antologia di Spoon River "dare un senso alla vita può condurre a follia, ma una vita senza senso è come una barca che anela al mare aperto e rimane attaccata alla riva". Il senso è l’investimento affettivo, la costituzione del desiderio e delle passioni che permettono di costruire obiettivi e mete ideali. Il senso è sempre una relazione fra l’io e il mondo delle persone e delle cose. La domanda di senso è ciò che spinge fuori da se stessi alla ricerca dell’amicizia e dell’amore, è ciò che ci spinge a conoscere noi e gli altri, ad apprendere a pensare e guardare oltre la superficie degli eventi.

È giusto mettere il problema del senso in rapporto al problema della violenza, se è vero che la violenza è, assai spesso, il segno di una caduta di affettività verso il mondo esterno e, come dice Hillman, una prova del fallimento della parola. Ed è giusto mettere il problema del senso in rapporto con l’educazione, cioè con la capacità di investire affettivamente sulla conoscenza di se stessi e del proprio tempo. La formazione maieutica di Socrate, di cui tutti i docenti traggono vanto, altro non è se non l’interrogazione sul senso della vita, su ciò che fa di un uomo un essere consapevole e riflessivo.

Il senso intrattiene anche uno stretto rapporto con la verità, giacché lo sviluppo della capacità critica e del dubbio metodico non è oggetto di ricerca appassionata, ma mezzo per raggiungere la verità senza la quale ogni discorso e scelta di vita sarebbero solo un calcolo di probabilità.

 Fra il dogmatismo fondamentalista e lo spirito critico che dubita di ciò che afferma la differenza sta appunto nel metodo, ma non nel risultato che è sempre l’affermazione della verità. Problematizzare, rappresentare la complessità del mondo non significa arrestarsi al dubbio, giacché altrimenti si cadrebbe nel nichilismo e nel relativismo, che sono forme di dogmatismo mascherato e non già di apertura e disponibilità all’ascolto.

 Chi insegna ha anzi il dovere di esplicitare i propri valori e le proprie verità, spiegando i percorsi attraverso i quali è pervenuto alla loro conquista, ma deve anche spiegare che la verità non è oggetto della signoria di nessuno e che nessuno può conferire significati assoluti alla propria esperienza e al proprio punto di vista. Se l’orizzonte si modifica a secondo dell’altezza del punto di osservazione, non significa che le pianure e le valli che si scorgono siano prive di realtà, ma solo di prospettive diverse.

Temo che nelle critiche rivolte al documento degli studenti sia implicata una idea della laicità della scuola che tradizionalmente si fa coincidere con la "neutralità", ovvero con l’indifferenza verso i valori di quella che Weber chiamava la "razionalità formale" (ovvero la "procedura" e il metodo per argomentare correttamente che prescindono dai contenuti politici sociali).

Ebbene, è questa nozione della laicità come neutralità e avalutatività che andrebbe in prima istanza messa in discussione, giacché è oramai una conquista del sapere scientifico contemporaneo la convinzione che ogni punto di vista esprime una presa di posizione e un giudizio di valore, che è anzi la premessa di ogni argomentazione. La giusta esigenza dell’onestà intellettuale che i docenti fanno valere implica, perciò, che chiunque parli, dichiari in principio le proprie credenze e sia disponibile a metterle in discussione. È l’apertura all’altro, che garantisce la laicità e non il vecchio paravento della "neutralità".

Alcuni anni or sono Carlo Sini (che fra l’altro è autore di manuali e antologie per i licei) scriveva in un saggio sulla Scuola che il compito dell’insegnamento dovrebbe tendere a produrre negli studenti la capacità di riflettere sui significati delle pratiche sociali in cui siamo immersi: ad esempio che rapporto c’è fra i nostri programmi scolastici e i modi dell’apprendimento e l’organizzazione economica della nostra società secondo il principio del mercato? E già Foucault, commentando lo scritto di Kant sull’illuminismo e la Rivoluzione Francese, sosteneva che il sapere serve anzitutto a fare una diagnosi dell’attualità. Educare alle virtù civiche e alla democrazia è un compito che richiede il coinvolgimento dei docenti nella vita sociale collettiva e la disponibilità a confrontarsi con le domande del proprio tempo. La violenza e il senso della vita sono i temi del nostro presente.

PIETRO BARCELLONA

(da www.lasicilia.it)

 

«Scuola non tenuta a fornire alcuna verità? Non è accettabile»

Ho seguito con grande interesse il dibattito studenti-docenti del Liceo Spedalieri di Catania e in definitiva, dal mio punto di vista di adulto, non mi pare condivisibile la risposta fornita del preside e da alcuni docenti, quanto meno perché mi pare una nonrisposta alle esigenze dei giovanissimi (di tutte le epoche) ad avere dei Maestri come punto di riferimento necessario con cui misurarsi e da mettere in discussione per potersi esercitare concretamente nella formazione di un autonomo e genuino pensiero critico. Sotto questa prospettiva, si dimostra evidente, a mio modesto avviso, l’inadeguatezza denunciata dagli studenti ma non adeguatamente recepita dai docenti deputati alla loro formazione. Perché non mi pare accettabile che Scuola (e Università) non siano tenute a fornire alcuna verità: questa posizione, a ben vedere, non è altro che l’altra faccia dell’integralismo che si vorrebbe fugare, laddove integralismo vale a dire imporre "una verità" o, diametralmente, "nessuna verità". Si cade, per questa via, in una misinterpretazione del pensiero debole che pare condurre all’ossimoro di un relativismo assoluto che, in quanto tale, preclude ogni costruzione di senso sociale; preclusione che, spontaneamente e giustamente, i giovanissimi sentono necessario contestare mediaticamente per estendere il loro allame a tutta la società civile. E difatti, gli studenti non chiedono affatto la rivelazione di "Verità", ma soltanto di essere posti in grado di accedere al senso del vivere comune, del vivere sociale e culturale, per poter essere preparati da Maestri di cui oggi si sentono orfani (o forse traditi) ad essere costruttori di senso e, quindi, costruttori di una società civile che possa dirsi tale. È, non a caso, è la ricerca del senso (sarebbe forse il caso di far studiare autori come Paul Ricoeur o Michail Bachtin nei corsi di letteratura e filosofia), non quella della verità (sulla quale sembrano attestarsi i docenti in questione con l’immancabile citazione di Primo Levi), la peculiare questione culturale e sociale del nuovo secolo.

SALVATORE FIORENTINO

(da www.lasicilia.it)

 

«Proporre delle verità è integralismo?»

Rimango stupito della risposta (pubblicata ne “La Sicilia” del 4/3/07) data dal preside e da 28 professori del Liceo “Spedalieri” di Catania ai propri alunni che chiedevano che “qualcuno li aiutasse a trovare il senso del vivere e del morire”. I professori praticamente rispondono che né possono né vogliono aiutarli a trovare una risposta alle loro domande, ma al massimo possono aiutarli a riflettere perché “proporre delle verità è integralismo e quindi barbarie”. Ma, scusate, dov’è finita la funzione degli educatori, a parte quella di trasmettere delle nozioni che il ragazzo dimenticherà in buona parte dopo qualche mese? Fate riferimento ad una scuola “democratica e laica”, ma laico significa “non religioso”, non senza idee e princìpi! Non esistono forse dei valori condivisibili , che possono e devono essere trasmessi ai giovani quali, ad. esempio, quello del rispetto della vita umana, della famiglia, dell’onestà, sincerità, amicizia, ordine, pudore ecc? E se poi qualcuno dei professori dicesse in quale maniera lui ha trovato il suo senso del vivere e del morire, fosse anche credendo in Dio (perché anche Dio si può trovare con la ragione ), non mi sembra che questo possa essere un apparire integralisti, ma forse, semplicemente, meno “rassegnati e vuoti”.

ALFIO SAMBATARO

(da www.lasicilia.it)







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