In Italia il record dei prof più anziani del mondo.
Data: Sabato, 03 marzo 2007 ore 22:06:36 CET
Argomento: Rassegna stampa


Ma il nodo della questione non sta solo nel ricambio generazionale. I docenti divisi sul compito dell’educazione. Le tesi di Vittorino Andreoli.

La scuola del «programma» e quella che insegna a vivere

La scuola italiana ha il record dei prof più anziani del mondo. Ma il dibattito che sta attraversando il mondo dell’Istruzione non tocca solo il ricambio della classe docente, quanto l’identità stessa della scuola. Non a caso il beste seller del momento è la «Lettera a un insegnante » di Vittorino Andreoli, uno dei più autorevoli studiosi della psiche umana con una ampia bibliografia seguita con interesse da un vastissimo pubblico. Un contributo scritto l’anno scorso e quasi profetico di quel disagio che oggi viene alla luce nella scuola italiana e in cui gli studenti (e i docenti) catanesi stanno assumendo posizioni di rilievo.

Che cosa dice l’epistola che si apre con un elogio dei docenti della tradizione umana che oggi sembra scomparsa? Proprio questo, che "la scuola non è una istituzione per trasmettere informazioni, ma un organismo ben più importante perché insegna a vivere". Il che significa che non ci si deve preoccupare troppo del "programma" da portare a termine se per farlo si disumanizza il rapporto con i giovani; che non ha molto senso sfiancare i ragazzi con una organizzazione pletorica dell’impegno orario (sei ore filate di mattina più supplementi pomeridiani per corsi a varia denominazione) che parcellizzano il sapere in tante nozioni e non lasciano spazio per interrogarsi sul senso di quel che si fa o di quello che gli altri fanno attorno a te.

Per imparare le nozioni, dice Andreoli, esistono strumenti molto più efficienti del dialogo scolastico. Ha ragione: con un’adeguata strumentazione si può imparare la chimica organica o la storia della poesia dugentesca in molto meno tempo e con risultati più concreti di quelli che ordinariamente si ottengono nelle classi.

Ma il corso tecnico standardizzato e strumentato informaticamente sforna tecnici, non persone. Gli anni di scuola sono quelli che preludono alla vita sociale, alle amicizie che contano, lasciano una traccia duratura nella vita delle persone (lo stesso Andreoli si è formato nel dialogo con il prof. di filosofia e con la signorile maestra delle elementari).

I ragazzi non sono individui amorfi da indottrinare, sono allievi da accompagnare nella crescita. E quando sono irrequieti dobbiamo studiarne le motivazioni: sono fragili in questo mondo che sembra offrire tutto, ma non assicura alcuna stabilità.

E dobbiamo analizzare anche la nostra proposta di dialogo: da psicologo sensibile l’Autore fa l’elenco delle personalità docenti: dal prof figo, a quello samaritano; da quello cesso (le definizioni sono di Andreoli) a quello menefreghista in una casistica assai numerosa che è accomunata -anche nei casi più felici- da una notevole tendenza all’isolamento. Molti docenti vivono la scuola in solitudine, si sentono in concorrenza con gli altri, rifrangendo sulla scolaresca le frustrazioni che ne derivano.

In effetti come gli adolescenti hanno bisogno del gruppo per trovare il proprio equilibrio, anche i docenti dovrebbero sentirsi stretti da una collaborazione attiva (e affettiva) in mancanza della quale si esasperano le reazioni caratteriali dei soggetti più incerti. Soluzione della lunga epistola: bisogna ritrovare la gioia di fare scuola. E’ vero. Sono troppi i docenti che contano i giorni che li separano dalla pensione come ergastolani che non vedono l’ora di tornare liberi. E invece la scuola, anche in questo mondo tecnologico, è uno dei pochi luoghi rimasti dove si può contribuire alla serenità della vita.

SERGIO SCIACCA (da www.lasicilia.it)







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