Assemblea degli studenti del liceo Spedalieri di Catania con i docenti e il prof. Pietro Barcellona
Data: Giovedì, 01 marzo 2007 ore 01:49:51 CET
Argomento: Rassegna stampa


Scruti la platea del cinema Odeon, strapiena e parlottante come a una prémiere, ma con un pubblico di soli adolescenti, e ti compiaci nel vedere come in questo pubblico c’è una buona parte della Catania di domani. Una piccola città interessata, coinvolta, sorpresa, indignata, interrogativa, esclamativa. Così diversa e così migliore, rispetto a quella proposta e sbattuta in prima pagina un mese fa: la città violenta e assassina, indolente e festaiola, offesa e parolaia, la stessa città che ha prodotto la tragedia allo stadio e che poi ha fatto finta d’interrogarsi e di correre ai ripari proponendo mille cose e, persino, non uno ma ben due stadi nuovi di zecca e a prova di ultrà. Qui in mezzo, per la legge dei grandi numeri, potrebbe esserci almeno un prefetto o un comandante dei carabinieri, una poetessa o uno scrittore. Magari anche un genio del crimine o un criminale come tanti. Chissà. Forse saranno tutti soltanto catanesi e basta. Oggi, comunque, provano tutti a immaginare un futuro diverso. Sono i ragazzi dello Spedalieri, quei diciottenni o giù di lì che hanno scelto di abbandonare il ruolo del testimone silenzioso, magari arrabbiato ma silenzioso, per urlare, attraverso il nostro giornale, una disperata richiesta di aiuto. Di fronte a loro c’è the man who start it all: Pietro Barcellona, il professore, l’intellettuale, l’uomo che con il suo editoriale - anche questo pubblicato sul nostro giornale - ha smosso in loro il desiderio di cambiare. Suscitando l’approvazione di tanti dei loro stessi insegnanti, le bacchettate di altri professori, i distinguo di alcuni rappresentanti. Ma sono riusciti, i ragazzi dello Spedalieri, a smuovere le acque per creare, ecco il capolavoro e la grande novità, sua maestà il dibattito. E’ proprio questo, salutando quasi emozionato la platea, che ha subito rilevato il prof. Barcellona: «Quando accade qualcosa di importante o clamoroso - ha detto rivolgendosi ai ragazzi - è facile diventare protagonisti. Meno facile non dimenticare e continuare a coltivare e arricchire il movimento d’opinione e d’idee. Non con questi numeri perché siete troppi. Ma dovete continuare, formate dei piccoli gruppi di coscienza. Parlate, discutete, proponete, cercate il contatto e riscoprite l’importanza del gesto, del corpo, e il valore del confronto diretto». Le parole, ecco. Il confronto, la gestualità. Sembra così strano sentirne parlare oggi, che si comunica rapidissimamente con il linguaggio astruso degli sms o via internet, cioè stravolgendo la parola o annullando il contatto fisico... Introdotto da Sergio Sciacca, prof e amico degli studenti, moderatore colto e non pedante, Barcellona racconta del suo approccio all’insegnamento, di una passione coronata da una lunga e brillante carriera, e dell’importanza oggi fin troppo trascurata della parola e del contatto. «La parola è la messa in campo di sé, della propria vita e della propria esperienza, è come un parto, qualcosa che profondamente preme e preme fino a vedere la luce per diventare, appunto, importante. Altrimenti è solo come quelle che siamo abituati a sentire in così grande quantità: chiacchiere. La chiacchiera non corrisponde a nulla e non provoca né smuove nulla nelle nostre coscienze. Le parole sono a volte più importanti dei fatti. Non pensate di vivere in un mondo fatto di persone che sono tutte a nostra disposizione. Io vi metto in guardia dalla demagogia, dalla pubblicità, dalle false verità, dalle formule usate per suggestionare, influenzare e guidare. Dalle parole che a questo scopo vengono usate e che non sono innocenti, non sono la verità. Fidatevi della vostra verità, quella che viene dal vostro cuore». E la scuola, l’università? Barcellona risponde agli interventi di alcuni ragazzi e di altrettanti insegnanti, e lo dice chiaro, che non sempre e non dappertutto le cose funzionano. A partire dall’Università: «Devo purtroppo smentire il mio amico professore Antonio Di Grado a proposito dell’Università, di cui oggi non è affatto chiaro il progetto finale e per il quale vi sono evidentemente precise responsabilità politiche: vi è oggi un numero di figli, amanti, parenti e amici di professori che mai s’era registrato nella storia della Repubblica. E questo non significa criminalizzare i figli o le amanti dei professori saliti in cattedra, ma significa semplicemente che figli parenti o amanti non sono in quanto tali abilitati all’insegnamento». E la violenza? «Non può esserci una visione manichea secondo cui i malvagi sono antropologicamente malvagi. Questo è razzismo. La violenza può anche essere indirizzata, trasformata. Si può tirare fuori dagli stati d’animo che producono rabbia e reazione. Se viene analizzata e incanalata, per esempio, può diventare agonismo. E siccome dobbiamo parlare anche di cose concrete, diciamolo: dove sono oggi le strutture pubbliche a disposizione dei giovani per incanalare, strutturare, trasformare la violenza?»

MICHELE NANIA (da www.lasicilia.it)







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