"PROFESSORI, INSEGNATECI IL VALORE DELLA VITA"
Data: Lunedì, 19 febbraio 2007 ore 00:05:00 CET
Argomento: Opinioni


«Non ci fermiamo alla rabbia insegnateci il valore della vita»


I fatti accaduti allo stadio lo scorso 2 febbraio ci hanno turbato profondamente. Siamo addolorati, perché un uomo, l'ispettore di polizia Filippo Raciti, ha perso la vita, vittima di inaudita violenza. Non ci sentiamo però di fermarci alla rabbia e alla vergogna, né vogliamo unirci al coro di tutti gli "indignati". L'indignazione non serve a capire il motivo di tanta violenza a livello giovanile e soprattutto non ci esonera dal dare un contributo costruttivo.
Questi fatti ci interpellano personalmente, ci pongono diversi interrogativi, ci chiamano in causa e ci invitano a una riflessione, riguardo alla coscienza che abbiamo della realtà, a un'identità vera con la quale ci impegniamo dentro le circostanze della vita e a una speranza fondata con cui possiamo guardare il nostro futuro.
Se il cosiddetto "partito degli onesti" che si vergogna, la società perbene e moralista, dalla quale peraltro provengono tanti dei ragazzi teppisti e violenti, non ci offre se non regole e principi astratti da una parte, e dall'altra il cinismo di chi, avendo ormai rinunciato a cercare la verità e il bene, propone solo l'individualismo sfrenato e l'opportunismo in cerca del successo personale, noi ci sentiamo franare il terreno sotto i piedi e ci sentiamo soffocati dal nulla che è attorno a noi. Siamo intrappolati nella rete del consumismo di una società che si sviluppa all'insegna dei rapporti usa e getta e che promuove shock a livello emotivo nell'immediato e dopo apatia.
E' vero quello che ha scritto il prof. Pietro Barcellona sulle pagine de "La Sicilia" nei giorni scorsi: " Si gioca con la morte quando la vita non vale niente".
Dove dovremmo impararlo noi il valore della vita? Chi ce lo dovrebbe comunicare? Certo in primis la famiglia e la scuola.
E allora non basta la repressione o escogitare nuove regole per la sicurezza negli stadi. Occorre ripartire dall'educazione. Che non sono le buone maniere o i comportamenti civili.
Consideriamo questa come la prima emergenza e la vera via d'uscita da quella che si presenta sempre più come una cultura di morte.
Noi abbiamo bisogno che qualcuno ci aiuti a trovare il senso del vivere e del morire, qualcuno che non censuri la nostra domanda di felicità e verità.
Noi riteniamo che la scuola possa costituire uno spazio adatto per questa ricerca e che liberamente uno possa verificare tutta la positività e il bene che la realtà ci promette. Dentro le cose che studiamo, dentro il tempo scolastico, dentro il rapporto con i professori.
Per questo chiediamo innanzitutto ai prof e alla scuola intera che ci prendano più sul serio, che prendano sul serio le nostre vere esigenze.
Che non debba accadere che un ragazzo finisca male o che comunque perda il gusto del vivere perché a scuola s'è trovato attorno, soprattutto tra gli educatori, gente rassegnata, opportunista e vuota.
Quanto a noi, bisogna smetterla di perseguire come unico ideale della vita il comodo e la facilità, il divertimento balordo a tutti i costi. Ci stiamo giocando la vita degna d'esser vissuta e nostro stesso futuro.
Comitato studentesco
Liceo «Spedalieri», Catania
La lettera
«Cari liceali continuate pure così»


Sergio Sciacca
Se potessi firmerei la vostra lettera, cari liceali: ma correrei il rischio di un giovanilismo dal quale sono escluso anagraficamente. Resto oltre l'insuperabile distanza generazionale e vi lancio un plauso e un incoraggiamento. Continuate così. Avete ragione a preoccuparvi di una società sorda alle esigenze vitali di quella sua parte che affronterà le sfide globali del prossimo ventennio. Avete ragione a distanzarvi da quei burocrati che credono di sostituire con norme oppressive, consegne da caserma e prescrizioni microscopiche la minutaglia dell'esistenza e trascura macroscopicamente il senso della vita. Essi hanno trasformato la scuola in un percorso a ostacoli tra quiz, compiti in classe, corsi propedeutici, dimenticando che l'incontro tra le generazioni, il loro dialogo (che è la sostanza del vivere la scuola nel suo eterno e nobile significato) non si possono sminuzzare in operazioni cancelleresche e nozionismo impersonale.
I grandi maestri, quello che insegnava tra le bancarelle di Atene, quello che dettava le sue epistole nella corte di Nerone, quello che portava tra i boschi della Savoia la carriera di un libertino e il pensiero della libertà, non hanno mai racchiuso la loro dottrina in registri e moduli didattici. Soprattutto non hanno imposto il proprio pensiero. Hanno ascoltato, hanno indicato orizzonti, si sono soffermati con le coscienze. Hanno cercato la verità con i giovani. Non sempre la hanno trovata. Ma hanno dato un significato alla ricerca, non potendo conferire una Fede.
E' qui il punto. Se non si hanno valori certi il dialogo scolastico diventa ripetizione inane di cognizioni destinate a cancellarsi presto. Io non credo che i docenti di oggi siano peggiori di quelli di ieri o del secolo scorso. Se oggi non si dialoga a scuola e con i telefonini si fissano e trasmettono episodi di avvilente volgarità è perché i media danno valore probante a quelli che sono fenomeni eccezionali. Con le vostre nobili parole li avete sconfessati, affermate una forte presenza dove altri credono di vedere solo il vuoto. Continuate a credere nel dialogo, affermate le ragioni della vita e dell'intelligenza. Una cinquantina di anni fa gli scolari di un borgo appenninico scrissero una lettera a una professoressa che segnò una rivoluzione del pensiero e della società italiana. Nelle vostre parole risuona la diana di un riscatto consapevole di una generazione che ha profondi valori e intende difenderli nonostante tutto.






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