La rivolta contro il nemico invisibile: Il dubbio.
Data: Mercoledì, 14 febbraio 2007 ore 01:35:16 CET
Argomento: Rassegna stampa


10.02.2007. «I nostri avversari oggi – chiedono – sono gli ultras o le istituzioni assenti?» Il dibattito avanza, si sviluppa, prende corpo. E rischia di lasciare macerie qua e là. Perché l'onda di dolore per la tragedia travolge tutto e porta a generalizzare e, qualche volta, a confondere. I giovani non ci stanno, almeno loro. A Catania si moltiplicano assemblee nelle scuole, i professori ne parlano in classe, i ragazzi partecipano alle manifestazioni. Ma vorrebbero messa al bando l'ipocrisia degli adulti. Ieri mattina assemblea più agitata del previsto per gli studenti del Liceo Cutelli, per esempio. Che s'interrogano, un po' sorpresi e un po' stupiti, perché loro rappresentano la Catania che sta bene, mica quella delle periferie e delle torri di cemento. E allora? E allora ci si domanda com'è che il malessere arrivi sin sulle strade del salotto catanese, dove c'è intolleranza per i vigili urbani che cercano di rimettere ordine tra centinaia di scooter scaraventati dove capita, tra fuoristrada in seconda e terza fila. Oggi i ragazzi ci riflettono, se lo domandano e capiscono che c'è un filo sottile, ma evidente, che salda certi atteggiamenti estremi contro la polizia e certe intolleranze, che non si possono liquidare come esuberanze giovanili. «Dobbiamo pensaci su - dicono in tanti - perché questa tragedia deve lasciare un segno, non può essere dimenticata, non si può tornare tra qualche giorno alla vita di sempre». Ma gli stadi d'animo dei ragazzi vanno soppesati, come le loro posizioni, come le loro scelte di vita. Se ieri pensavamo che l'Istituto Tecnico Cannizzaro fosse un serbatoio inesauribile per la curva dello stadio, anche il Cutelli non scherza. «E siamo lì tutti - raccontano spalancando gli occhi - in una curva che canta poliziotto primo nemico». Una spiegazione non riescono a darla alla suggestione che prende tutti, ma che conoscano anche loro un certo codice dello stadio, ma quello non violento intendiamo, è evidente. I giovani ne stanno parlando, anche quelli che con lo stadio non hanno nulla a che vedere, niente a che fare, che non ci sono mai stati e, forse, non ci andranno mai. Sembra affiorare il tentativo di una rivolta morale, un sussulto forte, una reazione che passa presto dalla rabbia alla ragione. Lo leggi nei temi in classe dei ragazzi dell'Istituto d'Arte, per esempio, una scuola che per tipologia di studenti è tendenzialmente lontana anni luce dalle curve, dal calcio. Ma anche lì non si sfugge, solo che - scrive una ragazza - «vorremmo sapere davvero contro chi va indirizzata la nostra rivolta. Gli ultras? Oppure le istituzioni, quelle che sono assenti in periferia e accondiscendenti nei quartieri bene? Oppure quel sistema che ha imposto di ricominciare a giocare subito al calcio, perché gli affari non potevano aspettare?». Ogni ragazzo in queste ore mette nel dibattito quel che è e quel che sente, usa i propri mezzi per farsi sentire. Su Msn, la chat più frequentata dai ragazzi, i nickname (soprannomi) di molti ragazzi sono cambiati da venerdì scorso. Antonio scrive: «Il calcio è morto, Ct cm Beirut, vergognatevi bastardi, la Sicilia nn è qst». E' il loro modo di scrivere, parole tranciate ma che si capiscono, linguaggio diretto, senza mezzi termini. Un altro ragazzo, Aldo, usa Msn per annunciare a tutti la manifestazione di piazza Spedini e cercare adesioni e partecipazioni. Non sono poi così distratti, dunque, non sono poi così votati solo al nulla o al peggio. Gabriele Condorelli, rappresentante d'istituto del Cannizzaro, ha gettato giù una lunga accorata lettera, in cui scrive tra l'altro: «Un amico mi ha detto che quei delinquenti sono persone come noi, hanno il nostro stesso desiderio di felicità. Ma come si fa, ho pensato, a compiere gesti così assurdi e avere il coraggio di svegliarsi la mattina e guardare in faccia i propri genitori, i propri amici? Mi rattrista il cuore vedere così tanta ignoranza in questa città». C'è un concetto che emergeva anche dall'intervento di un ragazzo del Cutelli, ieri mattina: «Non intervengo alle assemblee, ma stavolta ho sentito di doverlo fare. Perché, voglio dire, credo che al di là dell'orrore per quel che è accaduto, quei ragazzi che erano allo stadio cercavano tutti la stessa cosa: realizzare qualcosa che li facesse felici. I tifosi sostenendo la squadra, l'ispettore Raciti facendo sino in fondo il suo dovere, al di là del fatto di essere sottopagato per quelle ore di rischioso straordinario. Dobbiamo interrogarci su cosa si è insinuato in quel contesto, su cosa ha fatto saltare e fa saltare certi meccanismi tanto delicati». Poliziotto primo nemico è ciò che i ragazzi non vogliono più sentire, tutti. Ma chiedono quasi implorando di conoscerlo il vero antagonista del loro sviluppo, della loro crescita, dell'evoluzione di questa società. Dire che in questi giorni di emergenza si stia cercando di snidarlo sarebbe un falso in atto pubblico. Pazientiamo, ma prima di dimenticare Filippo Raciti, il pomeriggio di follia e tutto il resto i ragazzi chiedono che si provi a cercare con loro le risposte. Non a dargliele dall'osservatorio parziale e consumato degli adulti, ma a cercarle con loro, stavolta. Senza ipocrisie.

Andrea Lodato (da www.lasicilia.it)







Questo Articolo proviene da AetnaNet
http://www.aetnanet.org

L'URL per questa storia è:
http://www.aetnanet.org/scuola-news-6662.html