Violenza e prevaricazione per dimostrare di «esistere»
Data: Mercoledì, 14 febbraio 2007 ore 01:31:56 CET
Argomento: Rassegna stampa


10.02.2007. Assemblea degli studenti del Cutelli dopo i tragici fatti di venerdì scorso allo stadio.

Il male contamina l’ambiente con facilità, ma anche il bene può essere contagioso. Lo hanno dimostrato ieri gli studenti del liceo classico Cutelli, che avevano previsto un’assemblea d’istituto sul tema dell’eutanasia, e hanno poi deciso d’incentrare la riunione sui fatti che hanno scompigliato quel clima di serenità in cui sono (in cui siamo) abituati a vivere. Parliamo del derby siciliano che si è macchiato di sangue, ovviamente. Inizialmente, a sentirli parlare quei "ragazzi del Bar Europa", sembra che esistano due Catanie, distinte e separate, quella delle vie centrali e quella dei ghetti periferici: «La città-bene, senza escludere il fatto che anche lì ci sono le mele marce - dice uno dei rappresentanti degli studenti, Sebastian Intelisano - invece d’integrare i quartieri periferici, li ha abbandonati a se stessi, lasciandoli all’erosione della criminalità». Ma sono soltanto i figli di San Cristoforo, Librino, Monte Po, gli orfani di questa civiltà? Pian piano, le coscienze si aprono all’esame, all’analisi: il duro discorso della dirigente regionale della comunità di S. Egidio, Alessia Pesaresi, smuove gli animi di chi ha iniziato a distrarsi, parlottando con la vicina di poltrona (ci troviamo infatti al cinema Capitol), di chi è presente in questo giorno di (non)scuola dove l’assenza è anche giustificata: «Io non mi soffermerei su un’analisi sociologica dei quartieri - spiega - perché quello che è successo ha dimostrato che si tratta di una reazione trasversale, non legata alle zone disagiate. Parliamo invece del "perché" di tanta violenza, della facilità con cui siamo abituati ad aggredire gli altri. A Milano, 10 giorni fa, due ragazzi stavano giocando per strada con una mela, uno di loro l’ha scaraventata accidentalmente su un’auto in sosta al semaforo: il trentacinquenne al volante è sceso e ha ucciso di botte uno di quei ragazzi. Ma si può? Riflettiamo. Guardate che non c’è un gran divario tra i grandi conflitti del mondo e l’aggressività quotidiana: la radice è la medesima. Viviamo infatti in un mondo dove la parola-chiave è contrapposizione e ci illudiamo che preservare la propria identità sta nell’essere più forti e prevaricare l’altro. Lì dove l’altro costituisce un pericolo, per il semplice fatto che la diffidenza ha preso il sopravvento. Non si può liquidare la vicenda dicendo che è una questione di pochi, che per quattro zaurdi abbiamo pagato tutti. I ragazzi di S. Egidio - conclude Pesaresi - hanno preso seriamente una frase, detta più di 2000 anni fa: non fare al prossimo ciò che non vorresti fosse fatto a te. Solo così hanno superato questo limite». Ecco il risveglio della platea, ecco che qualcosa si è smosso: anche il più timido si fa avanti per intervenire. E nasce un bel dibattito, acceso dai colori della giovinezza, grazie anche all’intervento dell’inviato de "La Sicilia", Andrea Lodato, sulla società ipocrita, dove nessuno riesce a parlare il linguaggio degli altri, dove per primi sono i comunicatori, coloro non riescono a raggiungere i giovani con il loro messaggio: "Quegli stessi giovani che parlano una lingua più semplice, a volte banale, ma vera". "Io domenica andrò a Messina per parlare di nuovo di una partita di calcio - commenta il giornalista - come potrò scrivere di un rigore mancato, di un fallo subìto, quando ancora, non c’è stato nemmeno il tempo di asciugare le lacrime per le parole di Fabiana (la figlia dell’ispettore ucciso)?". E poi una riflessione generale su questa vita, spinta sempre di più dal vento della maleducazione generalizzata e della prepotenza istituzionalizzata. E l’intervento di un altro rappresentante d’istituto, Antonio Reforgiato: «La persona violenta è un debole: è più facile dare un pugno che porgere l’altra guancia». E simbolicamente, decine di pugni si schiudono per alzare la mano e prender parte al confronto costruttivo. Perché se è vero che il male contamina l’ambiente con facilità, anche il bene può essere contagioso.

ASSIA LA ROSA (da www.lasicilia.it)

 

L’IDENTIKIT DEL «SOCIOPATICO» - «Incapacità d’integrarsi e provare sensi di colpa»

La violenza esaminata in tutti i suoi aspetti, implica anche considerazioni di carattere scientifico. Ecco perché durante l’assemblea dei cutelliani, il prof. Emanuele Antonio Corso, già titolare della cattedra di Neurologia presso l’Università di Catania, ha esaminato il profilo dello psicopatico, ovvero del soggetto che si comporta in modo anormale nei riguardi della società e che nel linguaggio psichiatrico viene definito col sinonimo di personalità abnorme. «La devianza personologica responsabile di sofferenza e di conflittualità sociale - ha spiegato Corso - è considerata una variante dell’indole umana connessa ad esperienze psicologiche negative della prime fasi evolutive: dev’essere quindi distinta dalle personalità che conseguono a lesioni del sistema nervoso e a malattie mentali. Il termine di psicopatico ha assunto un significato negativo in senso etico e sociale e tende oggi ad essere identificato, soprattutto nella letteratura anglosassone con quello di personalità sociopatica. Tuttavia il concetto di personalità psicopatica non equivale a "socialmente inferiore": alcune di esse infatti possono avere un alto grado intellettivo ed essere culturalmente impegnate». Si tratta spesso di soggetti che non sono riusciti ad equilibrare dentro di sé la propria persona e il proprio destino: «Non si tratta infatti di malattia ma di stato abnorme permanente contrassegnato da alcune peculiarità formali del carattere, del temperamento - continua Corso - il disturbo della personalità altera la modalità di reagire ai bisogni interni e alle situazioni ambientali: da ciò discendono la conflittualità soggettiva, la difficoltà di instaurare armoniosi rapporti interumani e i comportamenti socialmente inadeguati ». Le teorie più accreditate valorizzano il ruolo svolto da fattori ambientali, con particolare rilievo alle figure genitoriale: «La privazione di affetto da parte dei genitori, soprattutto nei primi anni di vita (madre incapace o ambivalente nei confronti del proprio ruolo, padre assente o autoritario), si è dimostrato di primaria importanza nel determinare tale stato. La mancanza di un clima affettuoso e rassicurante ed un rapporto di dualità, genitore- bambino, impedisce la interiorizzazione di quelli atteggiamenti e di quelle norme che costituiscono la moralità e lo strutturarsi dell’ideale dell’io e del super-Io. Si edifica così una pseudo identità in antagonismo alle figure genitoriale e alle norme socioculturali di appartenenza». Così, i moti aggressivi hanno facile accesso all’io e si scaricano immediatamente nel mondo circostante. Ma qual è l’identikit del sociopatico? «Queste personalità hanno un comportamento che non evoca né angoscia né sentimenti di colpa: tipico è il loro "non poter tornare indietro", "non potere rinunciare" che condiziona un progetto esistenziale unilaterale. Una delle caratteristiche più rilevanti - conclude il professore - è la mancanza di capacità sulla sfera pulsionale: il comportamento è privo di schematizzazione, come quello del bambino nel quale non sono ancora intervenuti quegli apprendimenti che consentono di armonizzare il soddisfacimento dei desideri con le esigenze della realtà. È incapace di seguire nel tempo il suo comportamento secondo uno schema gerarchizzato di fini da raggiungere, difetta di un programma di vita concreto e realistico, e ha una condotta e discontinua, volubile, dominata da desideri fuggevoli. Ogni avvenimento è vissuto come nuovo, senza confronti con il passato né anticipazioni con il futuro, ogni legame interumano è passeggero, privo di profondità emozionale e di tenerezza. Un contrassegno fondamentale è l’incapacità ad integrarsi: il basso livello di tolleranza alle frustrazioni fa sì che il mancato soddisfacimento delle pulsioni determina la liberazione di scariche aggressive. che si esprimono verso l’esterno con il rifiuto delle leggi e delle norme che regolano il gruppo sociale e il rifiuto di qualunque forma di autorità».

A. L. R. (da www.lasicilia.it)







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