Don Bosco e la scuola del duemila
Data: Lunedì, 12 febbraio 2007 ore 14:48:00 CET
Argomento: Rassegna stampa


Il «Percorso formativo per meccanici» definito esperienza di eccellenza dal progetto internazionale Gulliver. Ogni anno un esercito di 600 ragazzi frequenta i corsi del Cnos-Fap per imparare un mestiere. Vengono dai quartieri più popolari dalla città o da Bronte, da Scordia, da Giardini. Arrivano con un passa-parola e credono di andare solo a imparare un mestiere. E invece nei tre anni di permanenza vanno a scuola, imparano una professione e soprattutto vengono formati per affrontare la vita. La «formula» del Cnos- Fap, l’Ente di formazione dei Salesiani, in fondo è tutta qui. E lo sanno bene i Salesiani di Barriera che dagli Anni ’30 si preoccupano di formare attraverso la «Scuola degli artigiani» prima e la «Scuola di avviamento professionale» poi, generazioni di figure professionali di cui realmente la società, il mercato hanno bisogno. Così, se prima i Salesiani formavano tipografi, sarti, calzolai e falegnami, la «sfida» di questi decenni è Grafica, Elettromeccanica, Elettronica, Informatica e Meccanica. In totale 26-28 corsi annuali tutti «coniugati» con l’industria, più altre attività di secondo livello fatte con corsi brevi di specializzazione. Più l’esperimento di un quarto anno con diploma professionale, più dei programmi "modificati" e buoni accordi con l’Archimede e il Cannizzaro per consentire con altri due anni di scuola, la possibilità di un diploma. Una sfida, una battaglia vinta almeno a giudicare dai risultati del «Percorso formativo per Meccanici» indicato come «esperienza di eccellenza » nell’ambito di un meeting nazionale dei formatori salesiani - «Progetto Gulliver» - che si è svolto in questi giorni proprio a Catania. Il «segreto» del salesiano ing. Mauro Mocciaro, direttore del corso di Meccanica è quello del contesto. Quello di avere cioè sempre pensato, tanto nella stesura del programma formativo quanto nella produzione dei manufatti come nella rete di rapporti extrascolastici, al contesto produttivo in cui la scuola, e i suoi allievi si muovono. Cioè alle industrie siciliane e catanesi in particolare. Ed ecco perché solo pochi allievi, finiti i tre anni, rimangono disoccupati. «I nostri ragazzi - dice - trovano spazio nelle aziende del territorio, che ce li richiedono. Alla Sat - enumera - su 200 i nostri sono 180, alla Brumital sono 15-20 su 40 e così via. E questo perché le aziende sanno come lavoriamo e come facciamo lavorare i ragazzi: capita spesso anzi che ci vengano a chiedere un pezzo particolare o che ci chiedano dei prototipi per una realizzazione specifica, o come il caso dell’Università, che ci chiedano come fare per risolvere un problema tecnico. E noi accettiamo queste richieste perché i ragazzi trovano assai più desiderabile e stimolante lavorare su un oggetto vero e funzionante piuttosto che solo a una esercitazione e anche perché il lavoro stimola i docenti ad adeguare il proprio insegnamento alle esigenze del lavoro industriale e ad organizzare l’officina didattica come una piccola fabbrica. E perché questo ci pone agli occhi esterni come una fucina di operai qualificati. Che tutti vorrebbero avere». Una immagine, un progetto che giustifica i dati statistici che, pedantemente, don Mocciaro ha voluto ricercare spulciando negli annali, chiedendo e verificando. Il diagramma riassuntivo dal 1987 al 2006 vede un tasso di occupazione complessiva degli allievi pari al 74%: il 52% di questi opera nel settore specifico, il 13% lavora in altri settori produttivi e il 9% - ed è un dato significativo e in costante crescita - lavora in proprio, in qualche caso con significative operazioni di autoimprenditorialità «esprimendo - commenta il salesiano - qualità insospettate durante il periodo formativo». Ma non è ancora tutto. Quello che si insegna in quei pesanti tre anni non è solo abilità tecnica, precisione e gioco di squadra. Dopo il buongiorno e la preghiera mattutina, nella fabbrica con l’immagine di Don Bosco si insegna anche altro e cioè che il lavoro fa parte della vita. E come la vita, il lavoro va "rispettato".

COME NASCE LA CASA DEL SACRO CUORE ALLA BARRIERA

La casa salesiana «Sacro Cuore alla Barriera» è sorta all’inizio del secolo scorso per volontà dell’allora cardinale arcivescovo di Catania Francica Nava in quella che era la sua residenza di campagna. Ai Salesiani fu affidata nel 1923 con l’intento di ospitare i ragazzi poveri e bisognosi. Ben presto però più che come «ospizio sacro Cuore», come era sorto, si qualificò come «Scuola per artigiani» e più precisamente per tipografi, sarti, calzolai e falegnami. Una scelta che nasceva da esigenze anche pratiche se è vero che Don Bosco «inventò» la formazione professionale nelle Case salesiane partendo dai bisogni concreti di riparare e scarpe e gli indumenti ai suoi ragazzi o di produrre opuscoli e riviste per la diffusione della buona stampa. Sui banchi imparano che il lavoro va «rispettato», come la vita di cui è parte

ROSSELLA JANNELLO (da www.lasicilia.it)







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