Il
«Percorso formativo per meccanici» definito esperienza di eccellenza dal
progetto internazionale Gulliver. Ogni anno un esercito di 600 ragazzi frequenta i corsi del Cnos-Fap per imparare un mestiere.
Vengono dai quartieri
più popolari dalla città o da Bronte,
da Scordia, da Giardini. Arrivano con
un passa-parola e credono
di andare solo a imparare
un mestiere. E invece nei
tre anni di permanenza
vanno a scuola, imparano
una professione e soprattutto
vengono formati per
affrontare la vita.
La «formula» del Cnos-
Fap, l’Ente di formazione
dei Salesiani, in fondo è tutta
qui. E lo sanno bene i Salesiani
di Barriera che dagli
Anni ’30 si preoccupano di formare
attraverso la «Scuola degli artigiani»
prima e la «Scuola di avviamento
professionale» poi, generazioni di figure
professionali di cui realmente la
società, il mercato hanno bisogno.
Così, se prima i Salesiani formavano
tipografi, sarti, calzolai e falegnami,
la «sfida» di questi decenni è Grafica,
Elettromeccanica, Elettronica,
Informatica e Meccanica. In totale
26-28 corsi annuali tutti
«coniugati» con l’industria,
più altre attività di secondo
livello fatte con corsi brevi
di specializzazione. Più l’esperimento
di un quarto
anno con diploma professionale,
più dei programmi
"modificati" e buoni accordi
con l’Archimede e il
Cannizzaro per consentire
con altri due anni di scuola,
la possibilità di un diploma.
Una sfida, una battaglia vinta almeno
a giudicare dai risultati del
«Percorso formativo per Meccanici»
indicato come «esperienza di eccellenza
» nell’ambito di un meeting nazionale
dei formatori salesiani -
«Progetto Gulliver» - che si è svolto in
questi giorni proprio a Catania.
Il «segreto» del salesiano ing. Mauro
Mocciaro, direttore del corso di
Meccanica è quello del contesto.
Quello di avere cioè sempre pensato,
tanto nella stesura del programma
formativo quanto nella produzione
dei manufatti come nella rete di rapporti
extrascolastici, al contesto produttivo
in cui la scuola, e i suoi allievi
si muovono. Cioè alle industrie siciliane
e catanesi in particolare. Ed
ecco perché solo pochi allievi, finiti i
tre anni, rimangono disoccupati.
«I nostri ragazzi - dice - trovano
spazio nelle aziende del territorio,
che ce li richiedono. Alla Sat - enumera
- su 200 i nostri sono 180, alla
Brumital sono 15-20 su 40 e così via.
E questo perché le aziende sanno
come lavoriamo e come facciamo
lavorare i ragazzi: capita spesso anzi
che ci vengano a chiedere un pezzo
particolare o che ci chiedano dei
prototipi per una realizzazione specifica,
o come il caso dell’Università,
che ci chiedano come fare per risolvere
un problema tecnico. E noi accettiamo
queste richieste perché i
ragazzi trovano assai più desiderabile
e stimolante lavorare su un oggetto
vero e funzionante piuttosto che
solo a una esercitazione e anche perché
il lavoro stimola i docenti ad
adeguare il proprio insegnamento
alle esigenze del lavoro industriale e
ad organizzare l’officina didattica
come una piccola fabbrica. E perché
questo ci pone agli occhi esterni come
una fucina di operai qualificati.
Che tutti vorrebbero avere».
Una immagine, un progetto che
giustifica i dati statistici che, pedantemente,
don Mocciaro ha voluto ricercare
spulciando negli annali, chiedendo
e verificando. Il diagramma
riassuntivo dal 1987 al 2006 vede
un tasso di occupazione complessiva
degli allievi pari al 74%: il 52% di
questi opera nel settore specifico, il
13% lavora in altri settori produttivi e
il 9% - ed è un dato significativo e in
costante crescita - lavora in proprio,
in qualche caso con significative
operazioni di autoimprenditorialità
«esprimendo - commenta il salesiano
- qualità insospettate durante il
periodo formativo».
Ma non è ancora tutto. Quello che
si insegna in quei pesanti tre anni
non è solo abilità tecnica, precisione
e gioco di squadra. Dopo il buongiorno
e la preghiera mattutina, nella
fabbrica con l’immagine di Don
Bosco si insegna anche altro e cioè
che il lavoro fa parte della vita. E come
la vita, il lavoro va "rispettato".
COME NASCE LA CASA DEL SACRO CUORE ALLA BARRIERA
La casa salesiana «Sacro Cuore alla Barriera» è sorta all’inizio del secolo scorso per
volontà dell’allora cardinale arcivescovo di Catania Francica Nava in quella che era la
sua residenza di campagna. Ai Salesiani fu affidata nel 1923 con l’intento di ospitare
i ragazzi poveri e bisognosi. Ben presto però più che come «ospizio sacro Cuore»,
come era sorto, si qualificò come «Scuola per artigiani» e più precisamente per
tipografi, sarti, calzolai e falegnami. Una scelta che nasceva da esigenze anche
pratiche se è vero che Don Bosco «inventò» la formazione professionale nelle Case
salesiane partendo dai bisogni concreti di riparare e scarpe e gli indumenti ai suoi
ragazzi o di produrre opuscoli e riviste per la diffusione della buona stampa.
Sui banchi
imparano
che il lavoro
va
«rispettato»,
come la vita
di cui è parte
ROSSELLA JANNELLO (da www.lasicilia.it)