CATANIA. Ecco l’Istituto tecnico Cannizzaro,
il più grande del Sud Italia per superficie
occupata e con dentro qualcosa come 2200
studenti. Ecco qui il Cannizzaro, che è stretto
tra la zona di corso Indipendenza e San
Leone e via Palermo, tra decine di club rossazzurri
e quartieri per niente facili. Due dei
ragazzi arrestati per gli incidenti di venerdì
scorso sono studenti di questa scuola.
Ma prima di raccontare la scuola, converrà
anche sbattere la pagella di uno dei
due in prima pagina, per capire quanto è
difficile capire. Perché Nino, che avrebbe
lanciato qualche pietra e fatto resistenza alla
polizia, ha 7 in italiano, 7 in inglese, 8 in
chimica. Insomma studente modello, manco
un’insufficienza. E, assicurano professori
e studenti, tutt’altro che un violento. E allora?
Angelo, un suo compagno e amico,
era con lui venerdì scorso: «S’è trovato in
mezzo, come tanti. In quella atmosfera surreale,
pazzesca, di gente che correva, scappava.
Lui che non sta neppure tanto bene di
salute».
Dell’allarme violenza negli stadi, che
adesso ha scatenato l’attenzione del mondo
intero, qui al Cannizzaro era stato dedicato
già un anno fa un corso Por, coordinato
dai professori Lucio
Gurrisi e Lucia
Andreano, cui avevano
partecipato
una trentina di ragazzi
e dieci docenti
e a cui erano stati
invitati esperti,
giornalisti, sportivi,
ma anche i responsabili
del Centro di
prima accoglienza
del Ministero di
Grazia e Giustizia,
proprio per evidenziare
la vastità della
problematica.
Eccoci dunque al Cannizzaro, scuola che
sta a metà tra l’eccellenza e il border line.
Qui ogni anno entrano 450 nuovi studenti
che vengono prevalentemente da Librino,
San Leone, San Giorgio, San Teodoro, San
Cristoforo, Monte Po. Ma il problema non è
la provenienza, è che almeno un centinaio
di questi carusi sono quasi analfabeti. Escono
dalla scuola media e sanno a stento leggicchiare
e scrivere poco e male. L’inserimento
nella scuola superiore è drammatico.
Così, dopo una serie di selezioni, quelli
che proprio non ce la fanno vengono destinati
ai Larsa, classi in cui si cerca da un lato
il problematico recupero e dall’altro, per
dirla tutta, si evita che ragazzi totalmente
disadattati e privi di qualsiasi principio di
scolarizzazione rendano impossibile la vita
e l’attività scolastica di tutti gli altri.
Stamattina nel Larsa ci sono sette ragazzini
e una ragazzina. Una professoressa ha
appena comunicato al preside che di scendere
quaggiù non ha più nessuna intenzione.
La questione è seria, stabilire un rapporto
è un’impresa. C’è la diffidenza prima di
tutto. I ragazzi non danno manco l’indirizzo
esatto di casa. Quando sono qui di studiare
non hanno nessuna voglia.
Il professore Ravidà è grande, grosso, buono e cattivo,
per intenderci. Li governa lui, va pure
casa dei ragazzi per capire che cosa
dietro, che famiglie, che vuoti, che problemi.
«Spesso sono disastri - spiega - non
nessuno che si occupi di loro».
E loro fanno della scuola un posto dove
collocarsi, ma per fare la loro vita. Un ragazzino
che è alto un metro quaranta, piccolo,
gracile, diresti evanescente, è un capetto. Si
porta qua anche gli amici del quartiere,
perché si sta bene, c’è il bar, «ci su macari i
fimmini». Manco a dirlo era allo stadio venerdì.
«Sì e tirai i petri». Ma perché? «Accussì,
tutti tiravano petri». E la polizia com’è?
«A polizia è un poco bona e un poco tinta.
Picchì ogni tanto vene o quartiere, spatti
coppa e sinni va».
Sbirri, insomma. In cui persino lui ci riesce
a vedere la parte buona, ma ha il sopravvento
quella cattiva, punitiva. Potrebbe
essere diversamente? Il Larsa è a piano
terra. Cinque piani più su ci sono aule di
informatica che sono il fiore all’occhiello
della scuola, come la Chimica. In mezzo gli
altri dipartimenti, la Meccanica, l’Elettronica.
I ragazzi che hanno voglia di studiare lo
fanno, quelli che non sono riusciti ad entrare
nel sistema bivaccano, ciondolano per i
corridoi, inseguiti dai professori. Sparano
bummi.
Sì, negli ultimi mesi è proprio il caso di
dire che è esplosa la moda delle bombe-minerva.
Ogni tanto un botto, tipo stadio - aggiungono
i professori. Un sussulto, poi la
rassegnazione. «Niente, la solita bomba», e
si continua la spiegazione. Anche questo ha
una spiegazione, però? Forse sì, la solita.
Per sentire davvero propria la scuola i ragazzi
andrebbero recuperati completamente
e solo un’azione integrata scuola-famiglia
potrebbe riuscire. Ma la famiglia
non sempre c’è «e - dice il vice preside
Francesco Ficicchia - spesso i genitori evitano
di mettersi contro i loro figli, per non
perdere l’ultimo aggancio che hanno con
loro, un residuo di rapporto».
Così dovrebbe fare tutto la scuola. Intendiamoci,
qui non è il Bronx, anche se c’è un
sistema di videosorveglianza, c’è il custode
per i motorini, c’è il custode notturno. Ma
non è il Bronx. Però sarebbe una pretesa
chiedere a questi ragazzi di venire qui a rispettare
le regole che non hanno fuori. La
scuola finisce col fare quel che può e, spesso,
non basta nemmeno l’argomento forte
che è la possibilità offerta di trovare un lavoro
alla fine degli studi. Perché su 2200
troppi non ci credono più, prima di cominciare.
Perché hanno brutte storie alle spalle
e poche prospettive davanti. Un calcio alla
porta della classe, a questo punto, che delitto
è, se i muri dei palazzoni dei loro quartieri
su tutti n’puttusu?
Se vai in giro per le classi spunta sui muri
qualche Acab qua e là, tanti forza Catania,
qualche Laura ti amo e alcuni lasciate ogni
speranza voi che entrate. Anche se molti all’ultimo
anno finiscono col capire che a lasciare
ogni speranza sono quelli che escono
persino da questa rottura di scuola. Il
che è tutto dire.
ANDREA LODATO
(da www.lasicilia.it)
IL PRESIDE SALVATORE INDELICATO
«Costretti a fare anche
la parte delle famiglie»
Professore Indelicato, lei presiede
l’associazione di tutti i presidi catanesi.
Che cosa succede al sistema scolastico
e ai giovani che ci stanno dentro?
C’è che diventa sempre più difficile
gestire migliaia di ragazzi che arrivano
qui senza avere regole. E
alla scuola si chiede di essere
non soltanto quel che
cioè il luogo dove i ragazzi
devono studiare, ma uno
sforzo educativo e formativo.
Dobbiamo, spesso, sostituirci
anche al ruolo delle
famiglie, insomma».
La sua scuola sta in una
zona della città difficile
ospita molti ragazzi complicati.
Come vivete questa
realtà?
La viviamo impegnandoci
fondo, cercando di garantire
a chi ha già un minimo
scolarizzazione la nostra
didattica, i servizi d’eccellenza
che la scuola offre.
Nei casi più difficili si prova
recupero. Ma, spesso, ci
troviamo al primo anno ragazzi che
sanno a stento leggere e scrivere».
Due dei ragazzi arrestati per gli incidenti
del derby frequentano proprio
il Cannizzaro. E di ultras rossazzurri
ne avete tanti. Si vede dalle felpe e
dalle scritte sui muri.
Purtroppo anche dai petardi esplosi
negli ultimi mesi e che ci hanno costretto
a prendere provvedimenti disciplinari
per far smettere il fenomeno.
Molti di questi ragazzini sono tranquilli,
altri, invece, un po’ invasati ed
hanno scambiato la scuola per lo stadio.
Invece devo dire che i ragazzi arrestati
sono bravi studenti. Guardi la
pagella di uno dei due: tutti sei, sette
e otto. Evidentemente c’è qualcosa
che non ha funzionato, ma
direi non certo a scuola».
Il Cannizzaro ha aule di
informatica all’avanguardia,
laboratori di chimica
moderni. Come vengono
trattati?
«Facciamo in modo che
vengano trattati più che
bene, perché sono un patrimonio
di tutti i ragazzi.
Abbiamo custodi, garantiamo
la sicurezza anche dei
motorini parcheggiati qui,
c’è la videosorveglianza...
Già, quella che fece arrabbiare
qualche sindacalista
tempo fa.
«Già, noi lo abbiamo fatto
per garantire la sicurezza
e l’incolumità di tutti coloro
i quali stanno a scuola,
dai ragazzi ai professori, al personale
Ata. Forse adesso ci si rende conto di
quanto importante sia, altro che privacy
violata».
Come controllate questo esercito di
ragazzi?
«Con il lavoro quotidiano, impegnandoli
a scuola di mattina e di pomeriggio,
in attività sportive e di spettacolo.
E con 40/50 lettere di sanzioni disciplinari
che partono ogni mese».
ANDREA LODATO
(da www.lasicilia.it)
IL CORSO SULLA LEGALITÀ
«Fare i bulletti
per farci belli
con gli amici»
Ecco cosa hanno scritto tre studenti
del Cannizzaro al termine di un
corso sulla legalità e contro la dispersione
scolastica sul rapporto tra
giovani e forze dell’ordine.
Tra i giovani cresce la voglia di
sentire davvero propria Catania. Il
senso dello Stato, il senso della
città. Per quanto riguarda le forze
dell’Ordine, però, sembrano
essere ancora delle figure
tendenzialmente
ostili per noi giovani. Ciò
nasce, per esempio, dall’abitudine
di non rispettare
le regole del codice stradale
e di essere colti in fragrante
per questi piccoli,
ma deprecabili, atti di microillegalità.
E, quindi, è
questa forse la ragione per
la quale i giovani conservano
una certa diffidenza.
E noi non riusciamo a capire
tutto ciò, compreso il
danno che questi atteggiamenti
possono provocare, perché magari
pensiamo che queste trasgressioni
possono "farci belli" davanti
ai nostri amici. Va però ricordato
che questo rapporto negli ultimi
anni, a Catania, è cambiato, con un
maggiore rispetto e collaborazione
verso queste Istituzioni che garantiscono
l’ordine pubblico. Adesso è
davvero il momento che i cittadini
si impegnino nel rispetto completo
dei loro doveri.
DOMENICO LOSCIALE 2ªM,
ANDREA PLATANIA 2ªM,
ANGELO RIOLO 2ªM
DALLA SCUOLA ALLA CURVA
«Ma la polizia
non può capire
il tifo ultras»
Ed ecco invece come uno studente
del Cannizzaro racconta la sua
passione per il Catania, la sua adesione
ad un gruppo ultras e cerca
anche di spiegare, dalla sua ottica,
il perché del conflitto con le forze
dell’ordine.
Lo stadio è passione, è qualcosa
che ti nasce dentro. Per me andare
allo stadio è sempre un’emozione
diversa. Dipende dalla
squadra avversaria, dall’atmosfera
che c’è allo stadio. Se uno la
partita la vede dal di fuori, o in televisione
non potrà mai capire
cos’è la Partita.
Io sono da tre anni con un
gruppo Ultras, sono stato sempre
un curvaiolo, nelle vene mi scorre
il sangue rossazzurro, il colore
della mia città. Tifare è uno sfogo
dell’anima. Tutta la pressione, l’adrenalina
si scarica lì, nella partita.
Mi sto preparando alla domenica
dei sogni, la domenica del
derby. Il tifo è un’unica voce che
spinge a vincere. Il tifo per me è
dire "Catania mettila dentro". Gli
stendardi, gli striscioni sono un
modo per dire "Ci Siamo con te".
Allo stadio a volte scatta la violenza
per una sconfitta o per l’odio
contro la polizia. I tifosi sono
contro la polizia perché le forze
dell’ordine non capiscono il nostro
tifo. La violenza è un’eccitazione.
A volte è vandalica, lo so.
Intanto domenica ci sarà il
derby… Il resto si vedrà!
FRANCESCO, 15 ANNI
(da www.lasicilia.it)