Gli studenti non hanno atteso la programmazione
dell’assessore, né le proposte
dei docenti. Ieri - le scuole chiuse
a tutela del sonno dei giovani cittadini
dopo la lunga notte di Sant’Agata
- sono andati dai présidi per organizzare
manifestazioni, incontri, momenti
di riflessione. La violenza allo stadio,
l’assassinio dell’ispettore Raciti, il pianto
della figlia e il dignitoso appello della
vedova li hanno colpiti nell’anima. E
li ha colpiti il fatto che ad aggredire e
ad uccidere siano stati anche ragazzi
della loro età.
Per una volta il dolore e lo sdegno è
di tutti. Per una volta Catania arrossisce
di vergogna, senza se e senza ma.
Per una volta non cerca giustificazioni
e attenuanti, ma spiegazioni e ragioni.
Per una volta i giovani non si fanno imboccare
e sollecitare dai grandi, ma
prendono l’iniziativa. Infine, vogliono
esserci. Come tutta la città, che ha accolto
con premura l’appello di singoli e
associazioni a incontrarsi a piazza Spedini,
venerdì prossimo, alle 18, per ricordare
e, soprattutto, per gridare basta
al degrado e alla violenza, per ritrovare
le ragioni della solidarietà e della
civiltà, ragioni che Catania sembra avere
perduto.
Ora che hanno aderito tutti - sigle,
sindacati e partiti - è grande il rischio
che la manifestazione si risolva in una
passerella di anime belle e di belle parole,
in uno dei tanti modi per mettersi
in mostra. Sta ai giovani impedirlo.
Poiché è in gioco il futuro di questa
città, il loro futuro, devono prendersi la
parola, devono prendersi in mano la
vita. In questi giorni tutti ripetono che
sono loro il problema di questa città.
Che facciano capire che sono, che possono
essere, la vera risorsa. E sta agli
adulti dare loro spazio e fiducia. Fabiana
Raciti ha solo 15 anni, eppure nella
retorica di tante parole, solo lei e sua
madre hanno trovato quelle giuste,
semplici e dirette: «... che la tua morte
induca la società ad attuare un cambiamento
». E’ questo l’unico modo di
dare giustizia ad un uomo che nel
cambiamento ha creduto scegliendo di
fare il proprio dovere con onestà e dignità
in un contesto che questi valori
irride e calpesta. Lui ci ha creduto.
PINELLA LEOCATA (da www.lasicilia.it)
Si moltiplicano le iniziative volte a riflettere sul problema della violenza e del disagio giovanile
L’assessore alla Pubblica istruzione ha deciso di
intitolare a Filippo Raciti il «progetto educazione
alla legalità e alla cittadinanza» e di sviluppare nel
corso dell’anno una riflessione articolata sulla
violenza negli stadi e sul disagio giovanile. Ma già
ieri, sebbene molte scuole superiori fossero chiuse
per il post festa, docenti e allievi hanno già programmato
manifestazioni e occasioni di approfondimento.
In alcuni casi sono stati gli stessi
allievi a sollecitare presidi e docenti a programmare
iniziative di confronto e di riflessione sulla
tragedia del Cibali. Al Cutelli, per esempio, i rappresentanti
degli studenti, sebbene non ci fosse
scuola, hanno chiesto alla preside Rosetta Camilleri
di potere indire un’assemblea straordinaria di
tutta la scuola, venerdì 9, di mattina, al cinema
Capitol, per discutere di violenza e di disagio giovanile.
Hanno chiesto di potersi confrontare con
qualche esponente del gruppo Abele e con uno
psicologo per arrivare preparati alla grande manifestazione
indetta da associazioni e singoli cittadini
per venerdì pomeriggio, in piazza Spedini,
per dire «No al degrado e alla violenza».
E iniziative si programmano in tutte le scuole.
Al commerciale De Felice il preside Leotta ha
convocato per oggi pomeriggio un collegio docenti
per riflettere sul da farsi e su come esercitare
con gli allievi la propria funzione educativa. Al
commerciale Gemmellaro il preside Santonocito
ha proposto una riflessione in assemblee di classe
straordinarie e sta programmando per la settimana
prossima un incontro a scuola con i giocatori
del Catania, se saranno disponibili. E così pure
all’industriale Archimede la preside Romana
Romano ha in programma per sabato una manifestazione
con i 1.500 allievi della scuola al palazzetto
dello sport di piazza Spedini, se agibile. Ha
invitato gli assessori comunali e provinciali alla
Cultura e allo Sport perché tengano un discorso
agli studenti e proposto una partita di pallavolo
tra i ragazzi della scuola. Di sfide con altri istituti,
per ora, non se ne parla, dopo l’esperienza di altre
scuole quando le squadre avversarie se le sono
date di santa ragione. E questo è un fatto che
dovrebbe fare riflettere: l’appartenenza vissuta
come aggressività nei confronti dell’altro, lo sport
come scontro piuttosto che come agonismo leale
dove è normale che si possa vincere o perdere.
Nessuna scuola vuole rimanere indietro. Tutti,
docenti e studenti, vogliono essere parte del movimento
collettivo che si è creato in città in reazione
agli sconvolgenti fatti del Cibali, tutti vogliono
potere esprimere l’angoscia e la vergogna che i
cittadini perbene hanno provato di fronte a quelle
scene di violenza e ai sentimenti e alle idee che
presuppongono, tutti vorrebbero potere cancellare,
o almeno sfumare, il devastante impatto
mediatico che l’immagine di Catania ha subito
dallo scempio allo stadio. Ma questo non è e non
sarà un momento isolato perché, da tempo, in
ogni scuola, presidi e docenti sono costretti a fare
i conti con il disagio giovanile nelle sue varie e
differenti manifestazioni. Ci sono - con differenze
rispetto ai contesti sociali - gravi problemi
personali, situazioni familiari particolari, ragazzi
dipendenti da droghe o affetti da disturbi dell’alimentazione,
casi di bullismo aggravati dall’uso
emulativo del videotelefonino per mettere in rete
immagini di meschino protagonismo. Di qui
l’attivazione, in tutte le scuole, di servizi di medicina
scolastica gestiti da psicologi della Asl, e l’individuazione
di un docente referente per il disagio
giovanile. Adulti cui i giovani possono rivolgersi
per parlare e affrontare dubbi e problemi.
Per tutti i ragazzi, poi, si pone il problema del
comportamento a scuola. Studenti che arrivano
sistematicamente in ritardo perché la mattina
non riescono a svegliarsi per tempo, e che i genitori
giustificano sempre senza tanti problemi.
Studenti che durante le lezioni parlano al cellulare,
spesso con papà e mammà, come se fosse
normale disturbare le spiegazioni e le interrogazioni
per sedare le ansie dei genitori. Si scopre così
che in molti casi la questione giovanile è anche
la questione genitoriale, che spesso i genitori non
sono in grado di dare e di fare rispettare alcuna regola,
né di essere punto di riferimento per i propri
figli. Si scopre che, se la scuola li mette di fronte
alle responsabilità dei propri figli, i genitori tendono
a negare e a minimizzare perché la propria
prole no, alcune cose capitano solo a quella degli
altri. E allora la scuola si convince sempre di più
che nella formazione dei ragazzi il rapporto scuola/
famiglia è centrale, essenziale. E lo è al punto
che in alcuni istituti, come il Cutelli, è in programma
un «progetto genitori» perché fare i genitori è
un «mestiere» difficile e anche loro hanno bisogno
di essere aiutati ad affrontare i problemi.
PINELLA LEOCATA (da www.lasicilia.it)