IL RITORNO DELLA SCRITTRICE SILVANA GRASSO A GIARRE
Data: Luned́, 05 febbraio 2007 ore 00:05:00 CET
Argomento: Rassegna stampa


IL RITORNO DELLA SCRITTRICE


Girgenti e Racalmuto. Nomi di paesini, legati da un unico nostalgico filo rosso: sono le piccole patrie di due illustri scrittori siciliani. A questi agglomerati di casupole guardarono Pirandello e Sciascia sempre con malinconico rimpianto, anelandoli a distanza, osservandoli magari da una metropoli lontana, per giudicarli con rigore e imparzialità, ma sempre portandoli in quel luogo segreto dove albergano sensazioni ed emozioni primigenie, quelle della prima infanzia: lì, nel cuore, senza esitazioni ed oblio, vivi da sempre e per sempre. E ogni volta il ritorno era amaro e dolce insieme; e nel rivederli era di nuovo infanzia, di nuovo felicità.
Anche oggi, che le comunicazioni sono più veloci, esistono di questi ritorni. Desiderati, sognati, sperati; eppure dolorosi, lancinanti, fatti con l’ansia febbrile di chi non sa chi troverà, e cosa, e quanto mutato.
Così qualche sera fa le porte del Palazzo di Città di Giarre si sono spalancate per accogliere un’illustre scrittrice, sanguigna e viscerale quanto la sua amata terra. Silvana Grasso è tornata al suo “selvaggio borgo natio”, tra amici e conoscenti, accolta dal sindaco Maria Teresa Sodano, dal presidente della Società Giarrese di Storia Patria e Cultura, Girolamo Barletta, e da alte autorità, tutti sicuri forse di poterle offrire un incontro accademico importante, di quelli dove si parlasse orgogliosamente di lei, della scrittrice di fama, corteggiata da Einaudi, che vive a Gela, ma viaggia incessantemente per il mondo.
E invece di fronte a loro non c’è stata Silvana Grasso, ma semplicemente Silvana. Una donna sola e solitaria, reduce dopo trent’anni di esilio, che, finalmente tra la sua gente in modo ufficiale, ha squadernato la sua anima inquieta. Tra il ricordo del padre, vigile urbano, o dei chiassosi popolani, lontani vicini della sua adolescenza, era lì a dichiarare il suo amore. Per il suo mito, quel vulcano che in una notte di fuoco la partorì dalle sue viscere roventi; per il suo paese dove si lascia forare dal vento, dal sole, dalla salsedine.
Così Silvana è tornata. Perché mutatio loci non è non mutatio animi. E perché, Pavese docet, “un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti.”
E Giarre l’ha attesa. E Silvana finalmente è tornata.

SILVANA LA PORTA










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