ETICHE A CONFRONTO: PROPOSTE PER UN PERCORSO DIDATTICO
Data: Domenica, 04 febbraio 2007 ore 09:15:41 CET
Argomento: Rassegna stampa


Etiche a confronto. Proposte per un percorso didattico
Domenico Massaro*

 

L’etica riveste un ruolo di primo piano nel dibattito culturale odierno. Di fronte ai sempre più frequenti casi di cronaca, sorprendenti e drammatici al tempo stesso, gli interrogativi morali si vanno moltiplicando. Quasi ogni giorno, sui giornali come in televisione, psicologi, filosofi e teologi sono chiamati a esprimere il proprio parere sui gravi dilemmi che le nuove tecnologie pongono alle nostre coscienze. I temi dell’eutanasia, dell’inseminazione artificiale, della clonazione, dell’inquinamento ambientale, della privacy e del controllo telematico degli individui costituiscono altrettanti motivi di dubbio e incertezza che postulano una forte assunzione di responsabilità. Tutto ciò ha fatto parlare di una svolta etica  nella filosofia odierna. Tale ‘svolta’, però, ha in sé qualcosa di paradossale, dato che viene dopo la distruzione della morale tradizionale sotto i colpi demolitori del nichilismo novecentesco. L’etica contemporanea appare, infatti, priva di fondamenti, senza un terreno solido su cui basare le proprie norme in modo certo.

La leggerezza dell'uomo nuovo
 Volendo tracciare un ideale diagramma di questa condizione non possiamo fare a meno di risalire a Nietzsche che, sul finire dell’Ottocento, aveva puntualmente registrato questa leggerezza dell’uomo nuovo, senza fede né valori, che si regge ‘sulle corde leggere e su leggere possibilità’ e ‘danza perfino sugli abissi’ (F. Nietzsche, La gaia scienza, Milano, Adelphi, 1964). Il filosofo aveva chiamato ‘nichilismo’ (dal termine latino nihil = niente) questa condizione conseguente alla cosiddetta ‘morte di Dio’, una metafora che allude alla consunzione dei valori etici propri della civiltà occidentale. L’interrogativo angoscioso che in questo ‘vuoto etico’ si pone è stato ben espresso da un altro grande intellettuale Fiodor Dostoevskij che ne I Fratelli Karamazov mette in bocca a Mitija il seguente interrogativo: Se Dio è morto, che cosa ne sarà dell’uomo? Senza Dio (intendi: senza valori condivisi) sarà tutto lecito?
 Nel corso del Novecento, quando gli orrori dei campi di sterminio hanno dispiegato davanti ai nostri occhi tutta la ferocia del male, la problematicità dell’etica ha assunto toni ancora più drammatici (a tal proposito si veda: Primo Levi, Se questo è un uomo, Torino, Einaudi, 1997), che dominano ancora oggi la scena mondiale, segnata da guerre, genocidi e feroci odi (spesso giustificati in nome della diversa appartenenza religiosa). Ecco, dunque, che in questo scenario torna a riproporsi con forza la domanda di etica: problematica, ma necessaria. Nelle nostre città convivono posizioni ideali fortemente contrastanti tra loro ed è sempre più difficile trovare dei principi comuni. La cosiddetta società globale, infatti, contribuisce significativamente allo sviluppo di una visione relativistica dei valori e dei principi che guidano l’agire morale, dato che pone gomito a gomito individui così diversi da apparire ‘stranieri morali’ (su questo tema rinviamo a uno dei più celebri studiosi di etica vivente, l’americano Hugo T. Engelhard, autore in traduzione italiana del Manuale di bioetica, Milano, Il Saggiatore, 1991).

I problemi della bioetica
 L’enorme sviluppo della conoscenza scientifica e delle applicazioni tecnologiche, che ha reso per la prima volta l’umanità capace di intervenire sulla stessa struttura genetica dell’uomo, inoltre, non fa che complicare ulteriormente le cose. Non a caso, nel corso degli ultimi trent’anni è sorta una nuova materia di studio, la ‘bioetica’ – termine coniato dall’oncologo americano Van Rensselaer Potter nel 1971 per significare l’importanza dell’intersezione tra biologia ed etica –  che è diventata un insegnamento universitario, in America come in Europa, e ha assunto sempre più grande rilievo nella società, insieme al ‘biodiritto’ che studia le norme giuridiche applicate alla ricerca genetica e alla pratica sanitaria. Negli ospedali e nei centri di cura si sono sviluppati, poi, i ‘comitati etici’, composti di figure professionali diverse (medici, filosofi, teologi) con il compito di sostenere le difficili scelte di pazienti, medici e familiari, specie in relazione ai tipi di cura e al cosiddetto ‘accanimento terapeutico’ (ossia all’utilizzo di strumenti che tengono in vita persone destinate inevitabilmente alla morte per il carattere devastante dei traumi subiti). Questioni in parte nuove, dovute al progresso delle tecniche artificiali, che comunque richiedono una nuova responsabilità del malato e delle persone che lo circondano (per una trattazione didattica si veda: D. Massaro, La comunicazione filosofica, Torino, Paravia, 2002, vol. III, tomo II, pp. 832-875, che contiene anche un’ampia antologia dei testi di riferimento).

Sacralità della vita e qualità della vita
 Dalle considerazioni svolte fin qui emerge il bisogno di far chiarezza sui presupposti dell’agire, ossia sui criteri che devono orientare la condotta concreta degli individui in campo morale. Naturalmente, è molto difficile tracciare una mappa di tali criteri, ma è possibile offrire qualche punto di riferimento teorico, da prendere però non come dato definitivo. Nel dibattito contemporaneo (specie in Italia) ci si richiama all’etica della sacralità della vita e all’etica della qualità della vita. La prima prospettiva è professata in linea di massima dagli studiosi di orientamento religioso (cattolico, nel caso italiano), la seconda da quelli di orientamento laico. In breve, l’etica della sacralità della vita impone il rispetto assoluto e incondizionato della vita, con particolare riferimento al naturale sviluppo del processo biologico (considerato come voluto da Dio). Tale rispetto implica il divieto d’interrompere il processo naturale che porta alla nascita o alla morte, attraverso tecniche considerate ‘innaturali’ come l’aborto, la fecondazione artificiale o l’eutanasia. L’etica della qualità della vita ritiene che la vita non sia sacra in maniera incondizionata, e che pertanto possa essere interrotta in casi estremi, qualora la sua qualità scada talmente da ridursi alla sola funzione vegetativa. Naturalmente, sul concetto generale di ‘sacralità della vita’ concordano tutti, sia i primi che i secondi; come pure sull’idea che la vita debba essere vissuta bene dal punto di vista della qualità. Presi in astratto i due principi trovano tutti concordi. Le posizioni divergono, però, nel momento in cui si tratta di scegliere se privilegiare l’uno o l’altro dei due aspetti, ossia nei casi drammatici di malattie difficili. Secondo noi, al di là delle scelte personali, che devono essere sempre aperte al confronto, quello che può unire tutti – fautori dell’una o dell’altra prospettiva – è seguire l’invito del grande filosofo Hans Jonas (1903-1993) che raccomanda sempre ‘cautela’ e ‘ponderatezza’ nelle ardue e difficili decisioni circa la vita e la morte (su questi temi si veda: W. Bernardi e D. Massaro, La filosofia, una cura per la vita, Christian Marinotti, Milano 2007, che presenta il pensiero dei grandi filosofi in ordine alle supreme scelte dell’esistenza).

 *Insegna Logica presso la Facoltà di Lettere e filosofia dell'Università di Siena, sede di Arezzo, autore del manuale per i licei La Comunicazione filosofica (Paravia, 2003) e di numerose pubblicazioni, tra cui Il filo di Sofia. Etica, comunicazione e strategie conoscitive nell'epoca di Internet (Bollati Boringhieri, 2000), Questioni di verità. Logica di base per capire e farsi capire (Liguori, 2005), La filosofia, una cura per la vita (Christian Marinotti, 2007).

Pubblicato il 30/1/2007






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