Catania celebra la Santa Patrona Agata con una delle più suggestive e straordinarie feste di popolo dell'occidente cristiano
Data: Mercoledì, 31 gennaio 2007 ore 17:38:38 CET
Argomento: Rassegna stampa


Servizio speciale del quotidiano La Sicilia

 

Dalla Patrona trasse ispirazione anche Tiepolo
Agata è tra i martiri della Chiesa maggiormente venerati, e non soltanto in Italia. Lo comprovano anche le numerose opere d'arte che raffigurano la Patrona di Catania. Affreschi, mosaici, dipinti e pale di altare, da Kiev a Vienna, dalla Cattedrale di Buenos Aires a chiese presenti in Africa o nello Sri Lanka, per citare soltanto i luoghi meno "scontati" della devozione per Agata, che ispirò persino il Tiepolo.
Il culto della martire - praticato anche in Oriente e nominato nei dittici del canone romano della Messa - è assai antico e radicato anche a Roma, città eterna. Il Papa Simmaco (498-514) fece erigere in suo onore addirittura una Basilica sulla via Aurelia. San Gregorio Magno fu un grande devoto della martire catanese alla quale dedicò nel 593 nella Suburra un'antica basilica edificata da Flavio Recimero al tempo dei Goti Ariani (470), fondò a Palermo il monastero dei Santi Massimo ed Agata detto Lucuscanum e fece allocare alcune reliquie della Santa a Capri, nel monastero di Santo Stefano. A Roma sono state dedicate a S. Agata una decina di chiese fra ill Celio, Trastevere, Borgo a Monte Mario e nella casa paterna di Papa S. Gregorio II (715-731), dallo stesso dedicata ad Agata dopo la morte della madre. Da citare anche la bella chiesa che sorge a Montecassino e dedicata a Sant'Agata, invocata come Patrona protettrice contro i fulmini e di terremoti: qui il 5 febbraio di ogni anno una processione muove dalla Basilica e arriva appunto nella chiesa di S. Agata, dove viene celebrata una Messa e recitati i Vespri. Solo nel XIII secolo nell'Arcidiocesi di Milano furono dedicate ad Agata 26 chiese e nel Duomo fu collocata anche una statua di pregevole fattura raffigurante la santa catanese.
B. D. B.


La devozione il vero tesoro di Sant'Agata

Benigno De Marco
No, non è soltanto il busto sacro che raffigura la Patrona. Quella trecentesca statua è essa stessa un simbolo, anzi "il" simbolo della devozione dei catanesi verso Agata. Un volto gentile, sorridente, rassicurante, giovane. «Matri che bedda» urlano i devoti prima che cominci la Messa dell'Aurora, non appena il busto viene portato fuori dalla celletta. Il primo incontro con l'amata patrona. E' questo il vero tesoro di Sant'Agata, molto più prezioso delle gemme che coprono il busto.
La statua di Agata, una mezza figura d'argento dorato e cesellato. è posta sopra una ricca base cinquecentesca interamente coperta d'oro e gioielli. con la forma di un ottagono allargato sui lati da due mensoline. Un ricco manto, decorato da rami e foglie di vite, con grappoli di uva, ricopre la veste che si intravede sul davanti del petto della Santa, ornato da una elegante bordura. Il viso, smaltata di vivo colore, ispira grazia e ardimento e ritrae una giovinetta con una folta chioma d'oro, lavorata a sbalzo, e gli occhi cerulei in atto di schiudere le labbra al sorriso. a tempera bruno-rosata, è circondato da capelli, Un largo manto, ricoperto di ricchissime gioie, ripiegato sugli omeri, le ricopre le braccia. Gli angioletti, anch'essi d'argento dorato, avvolti da larghi mantelli e a curve parallele, sono modellati con grande delicatezza sui riccioli trattenuti sull'orlo della fronte da una ghirlandiera ornata da gemme.
Gli ex voto che sono di 250, coprono, completamente il busto reliquario di Sant'Agata. Tra i più importanti notiamo la massiccia collana quattrocentesca che si dice sia stata donata dal viceré Ferdinando Acugna, una grossa collana della fine del XV secolo, il grande collare dell'Ordine del Toson d'oro e dell'ordine dell'Alcantara, una croce lavorata con gemme incastonate del XVI secolo, una grande collana appartenenza alla nobile famiglia Tedeschi, la croce della Legion d'Onore donata da Vincenzo Bellini. Numerose anche le collane e le croci pettorali appartenenti ai vescovi di Catania, Deodato, Orlando, Ventimiglia, Dusmet, Nava e quella donata dal Papa Leone XIII. La corona, con preziosi diademi e ricca di gemme, del peso di 1350 grammi è formata da 13 pezzi, legati a cerniera, ciascuno a forma di fiordaliso con fogliame a cesello, carico di gemme e pietre dure incastonate con grosse perle intorno. Da citare, ancora, un grosso anello, con 19 brillanti, donato nel 1783 da frate Michele Paternò Castello e un preziosissimo anello offerto dalla Regina Margherita di Savoia 1881.
Sotto il concavo delle mensole, che sostengono due angeli, sono rappresentate con arte finissima, a smalto, due scene del martirio. Lo spazio occupato alla base è adorno di lavori a smalto raffiguranti: lo stemma della casa Aragonese, a sinistra, quello della città di Catania e a destra, e nel centro quello di papa Gregorio XI con gli stemmi dei vescovi Marziale ed Elia. Nei due scompartimenti di fronte, dentro figure circolari, sono effigiati il vescovo Maurizio e il vescovo Elia entrambi in abiti pontificali; nello scompartimento posteriore sono effigiate Santa Caterina d'Alessandria e Santa Lucia. Il simulacro è realizzato in maniera tale da permettere l'apertura per verificare quello che contiene al suo interno.
Le notizie storiche sul busto reliquiario ci vengono anche e soprattutto da tre monografie date alle stampe dal prof. Sciuto Patti nel 1892 e arricchite da notizie fino ad allora inedite. Sappiamo così che durante il pontificato di Papa Gregorio XI, nel dicembre del 1373 giunse ad Avignone il vescovo di Catania, Marziale, inviato quale legato pontificio da Federico III al fine di ottenere, dal Papa, l'assenso per assumere la corona di Sicilia. Marziale, durante la sua permanenza ad Avignone, ebbe modo di ammirare i lavori eseguiti dall'orafo senese Giovanni Di Bartolo e così decise di ordinare a questo stesso orafo una statua di Sant'Agata unitamente a diversi reliquari da destinare alla città di Catania. Il Di Bartolo accettò di buon grado la commessa che gli veniva proposta. Nel 1375, morto il vescovo Maurizio, il vescovo Elia confermò l'incarico all'orafo, chiedendogli di completare la statua: il busto venne consegnato ufficialmente alla città di Catania l'11 dicembre del 1376. Da allora - per tutti - è il volto di Agata. Il più bello, il più venerato, il più prezioso. Perché arricchito da quel tesoro che è la devozione dei catanesi.
le statistiche


La città e la festa donne e giovani «trainano» Agata

Ida Scandura
Ridisegnare la festa di Santa Agata tenendo conto dei molteplici valori che legano la patrona alla città. E' questo il significato emerso dalla tavola rotonda sul tema "Santa Agata e la città" svoltasi su iniziativa del Vicariato episcopale per la cultura in sinergia con i presidi dello Studio teologico S. Paolo, monsignor Salvatore Consoli e delle facoltà di Lettere Enrico Iachello, di Scienze Politiche Giuseppe Vecchio, di Scienze della Formazione Febronia Elia. Questo primo incontro - presenti l'arcivescovo di Catania monsignor Salvatore Gristina, l'assessore alla Cultura Giuseppe Maimone che ha portato un indirizzo di saluto da parte del sindaco Scapagnini - rappresenta in modo ufficiale la collaborazione tra le varie istituzioni sulle tematiche socio-religioso-storico di una festa "nata in Sicilia ma esportata nel mondo".
L'impegno è quello, come ha sottolineato nel suo intervento padre Gaetano Zito, vicario episcopale per la cultura, di avviare un percorso di riflessione sui festeggiamenti agatini nel rapporto tra questi e la città e avviare un programma che consenta alla Chiesa e alla città come di riappropriarsi della festa, nel senso di intensa religiosità e di altrettanto intensa vita cittadina. L'intento resta comunque quello di recuperare attorno alla figura e alla esemplarità cristiana di Agata, i valori della fede cristiana e i valori della convivenza civile che risultano essere fortemente presenti.
Dalle statistiche illustrate da padre Zito e risalenti al 2001 emerge che il rapporto con la Patrona è sentito maggiormente dalle donne piuttosto che dagli uomini, che sono interessati i giovani tra i 18 e i 24 anni, che il 65% della gente ama la festa per la processione, che ancora il 65% segue la festa da almeno 12 anni e che solo il 17% da poco più di 3. Sempre secondo la stessa indagine, il 43% dei partecipanti alla festa "vuole vedere la santa", il 18% segue la processione e solo il 6% va a Messa.
L'insieme di tutto, così come è stato rilevato, porta alla considerazione che la festa attende e chiede di essere riletta e che è urgente avviare un itinerario con cadenza annuale che metta dentro la festa gli elementi che la identificano come fede oltre che come aspetto socio-culturale e popolare della città.
«Della festa in onore della patrona di Catania - ha affermato mons. Consoli - bisogna avviare anche un percorso pedagogico con i giovani per farli sentire inseriti come modello di vita cristiana per cui al di là dello studio antropologico del fenomeno devozionale nei riguardi di Santa Agata, è opportuno studiarne anche l'aspetto educativo-cristiano». Tra i rilievi negativi segnalati nella sua relazione c'è anche l'inadeguato percorso processionale che si tramanda da tempo senza tenere conto delle trasformazioni della città e l'enorme sperpero di danaro o comunque risorse che si evidenzia in diversi momenti dei festeggiamenti, ponendosi così in netta antitesi «con lo stato di povertà in cui vivono molte periferie della città». I rimedi suggeriti dall'oratore sono quelli di istituire un comitato che sia l'espressione di organismi di tipo pastorale con il compito di "studiare" la festa, per fare in modo che la festa non rimanga più «ingessata al passato».
Per tutto ciò è infatti importante - come è emerso dagli interventi dei presidi Iachello, Vecchio ed Elia - che ci sia una concreta sinergia con l'Università perché le festa di Santa Agata si riappropri del suo giusto significato religioso e culturale.
 

Il miracolo della festa che unisce

Antonino Blandini
Nell'approssimarsi del mese di febbraio, ogni catanese attende la festa di Agata, annunciata da tanti richiami, pronto a diventare "cittadino" col sacco votivo e fiero d'appartenere ad una "cittadinanza" di condivisione con la Patrona. Il figlio di quest'antica terra, specie se ritorna da lontano pieno di nostalgia, aspetta il grande "spavento" fatto di fuochi, musiche, colori, odori, sapori, luci, devozione come una scadenza da onorare. Il catanese doc vive l'impatto con le celebrazioni con trepidazione, certe volte anche indifferenza; ma al riapparire della vara preceduta dai cerei, dalle invocazioni, dal bianco fiume dei cittadini, anche se disincantato, si commuove "vedendo"il volto roseo e sorridente di S. Agata.
Si rinnova così il "miracolo" di una città, cioè il rapporto ancestrale tra i fedeli e la martire, la condivisione di venerazione tra vecchi e giovani, tra ricchi e poveri verso la Patrona di sempre e di tutti. E' sorprendente l'attaccamento che migliaia di ragazzi, specialmente delle periferie più povere ed abbandonate, hanno per la "vergine e martire", sorella, amica, madre, "madonna". I "carusi" desiderano toccarla, baciarla, gridarle affetto e ammirazione. Quella grande massa di devoti che si rinnova continuamente, dal centro alle periferie, dal mattino alla notte, forse non s'è neppure accorta che le celebrazioni sono iniziate a Capodanno e hanno interessato i luoghi sacri legati alle memorie dell'idolatrata Patrona: le pie pratiche delle domeniche e dei mercoledì, le veglie, gli incontri culturali, finalizzati a "purificare" la festa e la figura di Agata, modello di vita cristiana. Lo stesso triduo non è seguito dalle grandi masse che si stringeranno per due giorni attorno al fercolo. Per il popolo fanno di più le candelore con la loro rumorosa presenza che scuote le periferie e le riaggancia al cuore dei festeggiamenti. E sfuggono, ai più, momenti simbolici, come l'accensione della lampada votiva.
La folla si nota la mattina del 3 febbraio per ammirare a Porta Aci i cerei che avanzano danzanti a furor di popolo, tra spari e musiche: momenti di baldoria che suppliscono la mancanza del Carnevale. All'inizio della processione per l'offerta della cera esplodono l'orgoglio e la vanità dei catanesi: è un atto di propiziazione e di ringraziamento, di amore e di affidamento. Il "Te Deum" in Duomo esprime la riconoscenza di tutto un popolo verso la liberatrice e la vendicatrice della sua città, in cui ogni pietra parla di lei, del suo patrocinio e sacrificio. La cantata e i fuochi della sera trasformano la religiosità popolare in uno spettacolo sempre nuovo ed affascinante: la festa entra nella vene di ognuno e riempie di meraviglia il cuore e la mente. La notte più breve dell'anno porta ad invadere la Cattedrale ore prima dell'alba del 4 per veder uscire Sant'Agata che verrà portata in trionfo con una devozione commovente. Questa febbre dura per tutto il giro "esterno" della processione, si alimenta man mano che si procede e ci s'immerge nei rioni popolari, dove la festa si fa antica, genuina, semplice. La liturgia nell'anniversario del martirio, con il Pontificale in Duomo di giorno 5, rappresenta l'omaggio ufficiale della Chiesa: lì si rinnova un sentimento di venerazione purificato dai sacramenti. Quando scende la sera e via Etnea è un'unica marea di popolo e di fuoco, l'afflato tra Catania e la martire è totale e il tempo sembra essersi fermato davanti alla cancellata delle monache di clausura che cantano la preghiera di Agata agonizzante alle soglie della vera patria.
la reliquia


Oggi si conclude la peregrinatio del sacro Velo

Si concluderà stamane, con la visita al Distretto militare di piazza carlo Alberto e alla caserma "Erminio Sommaruga" di Cibali, la lunga "peregrinatio"in città e nei paesi etnei della reliquia del sacro Velo di Sant'Agata, ovunque accolta con profonda venerazione e con commoventi manifestazioni di religiosità popolare. Le candelore delle categorie commerciali, da parte loro, continueranno il giro "libero" per tutti i quartieri e i rioni della città che in loro onore organizzano vere e proprie festicciole, con luminarie, musiche, fuochi, animazioni folkloristiche.
Intanto, come detto, oggi alle 18.30 il Velo rientrerà definitivamente nella Cattedrale, dove si svolgerà, a cura del parroco mons. Barbaro Scionti, la seconda giornata del solenne triduo di preparazione alla grande festa patronale di Catania. Dopo la recita del Rosario, delle litanie lauretane e della tradizionale coroncina a sant'Agata, sarà mons. Mauro Licciradello, protonotaro apostolico, cancelliere arcivescovile e decano del capitolo metropolitano del Duomo, a presiedere la celebrazione feriale della Messa, animata dalle associazioni agatine, dalle confraternite e dalle parrocchie cittadine. Sarà la Corale della parrocchia cattedrale ad eseguire i canti della liturgia eucaristica.
Il triduo di preghiere si concluderà domani, alla stessa ora, con la concelebrazione del'Eucarestìa presieduta dall'arcivescovo mons. Salvatore Gristina con la partecipazione delle forze armate, di polizia, vigili del fuoco, vigili urbani, agenti di polizia penitenziaria, guardie giurate e delle associazioni Combattentistiche e d'Arma.
A. B.
celebrazioni on line


Tutti in rete tutti sui nostri siti festa senza confini

Il web per sentirsi tutti devoti. Nessun confine, nessuna distanza. Internet abbatte le barriere e porta Sant'Agata nelle case di ogni catanese, anzi di ogni siciliano, del mondo.
Come ogni anno, i festeggiamenti in onore della Patrona della città di Catania potranno essere seguiti in rete in tempo reale sui siti del nostro gruppo editoriale (www.lasicilia.it e www.lasiciliaweb.com) offrendo così, con il semplice ausilio di un computer, la possibilità di sentirsi partecipe dell'evento anche a chi si trova a migliaia di chilometri da Catania.
Da domani, rispettando una tradizione ormai consolidata, la redazione on line offrirà agli utenti un ricco speciale dedicato alla festa agatina. Un prodotto pienamente multimediale, così come è nelle potenzialità del web. I lettori potranno trovare aggiornamenti e approfondimenti minuto per minuto, il programma delle celebrazioni, i video dei telegiornali di Antenna Sicilia con i servizi sull'argomento e una ricca galleria fotografica, in grado di raccontare per immagini i momenti più spettacolari, emozionanti e anche curiosi.
Il pezzo forte, ancora una volta, sarà rappresentato dalla possibilità di seguire on line le dirette televisive che andranno in onda su Sicilia Channel e che offriranno una copertura completa della festa. Verrà inoltre attivata una casella di posta elettronica (santagata@antennasicilia.it) attraverso la quale interagire con lo studio della nostra emittente durante la diretta di lunedì 5 per rivolgere domande agli esperti oppure, semplicemente, per sentirsi più vicini a casa. Un estratto dei messaggi più significativi verrà pubblicato sul nostro quotidiano a conclusione dei festeggiamenti. Anche questo, ormai, è un "rito" della festa agatina.

«Sant'Agata la segnaletica che porta a Dio»

Rossella Jannello
Chi conosce il commendatore Luigi Maina, che da tanti anni guida - anzi «è» - il Comitato dei festeggiamenti agatini, chi lo vede serio e rapìto a un passo dal fercolo dell'amata Patrona, pensa di sapere già tutto di lui. E invece chiacchierando insieme si scopre che c'è ancora tanto da dire. Che il suo amore per Agata e per Catania si rinnova continuamente, si affina, si moltiplica, se possibile. Anche se ormai da cinquant'anni è il «primo devoto» della città.
«Vede - si entusiasma - come cresce la festa. Quest'anno più che mai. Si respira un'aria di devozione a Catania già da metà gennaio. Basti pensare all'esplosione di fede dei giovani in pellegrinaggio la sera del 20 da S. Agata la Vetere alla Cattedrale, o all'entusiasmo misto al raccoglimento, senza manifestazioni devianti, che ha caratterizzato sabato scorso la benedizione dei "sacchi". Ecco, sono due esempi del risveglio religioso che sta cambiando la festa in questi ultimi anni premiando una battaglia che personalmente porto avanti da 15 anni. Una battaglia che non significa abbandonare le tradizioni nè umiliare le usanze di chi, fra i devoti non è nè laureato nè diplomato... Ma è una battaglia che sta dando i suoi frutti: davanti le candelore si recita il Padre Nostro e anche le musiche, i canti che accompagnano i loro giri sono adeguate. Insomma, sono finiti i tempi di Funicolì Funicolà o del Ballo del qua qua...».
E come interpreta questo segnale?
«Quello che sta accadendo è la conferma che sant'Agata è la segnaletica che porta a Dio. Che la festa nel tempo sta maturando e si sta evolvendo. Credo che Catania sia l'unica città che non solo sta mantenendo le sue tradizioni di devozione alla sua Patrona intatte nel tempo, ma le sta arricchendo, le sta rinforzando con la fede. E me lo faccia dire, si sta dimostrando anche quello che vado ripetendo da tempo, e cioè che per giudicare la festa di sant'Agata senza processi sommari, bisogna prima viverla».
Ma quest'anno si sta anche cercando di potenziale l'aspetto culturale della devozione agatina...
«Sì, la tavola rotonda all'università è stata molto interessante così come è un documento di grande importanza il volume dedicato al tesoro di sant'Agata, anche se su questo argomento c'è ancora tanto da dire. E questa sensibilità la si deve a un uomo, a un religioso di grande spessore culturale qual è Gaetano Zito. Anche questo è un segnale importante. Battere sul tasto della cultura vuol dire infatti coinvolgere nella festa anche i cosiddetti "devoti da balcone", quelli che guardano la santa che passa come se fosse uno spettacolo e poi chiudono il balcone e vanno a cena. Più in generale, credo che quello culturale sia un filone da approfondire così come è importante fare entrare S. Agata nelle scuole, per insegnare ai catanesi di domani chi era la Patrona e che cosa vuol dire oggi la devozione nei suoi confronti».
Viste queste premesse ci dobbiamo aspettare anche un cambiamento nel ritmo della festa, nel rispetto degli orari e del "clima"?
«Ripeto, prima di esprimere un giudizio occorre seguire per due giorni quel che avviene nelle strade, come il catanese si trasforma in questi giorni nelle sue espressioni, nel modo di vivere la vita. La marea di gente che segue la festa dà una continua testimonianza d'amore per la Santa alla quale racconta con la voce roca i suoi guai o il suo grazie per essere scampato a un pericolo. E poi non si ruba, non ci sono scippi, non c'è prepotenza nelle strade: c'è piuttosto una aggregazione forte tutta rivolta al busto reliquiario. Gli orari? Cercheremo di rispettare i tempi, naturalmente. L'uscita ha orari precisi, quelli del rientro invece lo sono meno. Ma ricordiamo sempre che la festa è gestita dai catanesi, da quei 3000-4000 giovani e meno giovani che tirano il fercolo; sono loro a stabilire i tempi. Anche se, è sempre bene sottolinearlo, i ritardi sono dovuti anche alla grande folla che il fercolo trova su via Etnea, alla massiccia offerta di cera da parte dei catanesi e anche ai diversi momenti di preghiera che punteggiano il giro, agli omaggi devozionali, agli incontri col vescovo per i messaggi pastorali».
Insomma, la festa di sant'Agata va presa così com'è?
«Bisogna sempre ricordare che la devozione dei catanesi non è folklore, ma veramente un atto di fede. In quale altra città i devoti per due giorni e due notti stanno a seguire il fercolo e le sue reliquie senza soste di riposo per pranzi e cene? Sant'Agata - mi si passi il paragone - è la Pasqua dei catanesi. E ogni anno è sempre più bella».
Il Premio


Un omaggio alla solidarietà e all'impegno

La Candelora d'Oro è il più prestigioso riconoscimento della città di Catania. Inserito nell'ambito dei festeggiamenti in onore di S. Agata, dal 1998 viene ogni anno attribuito dal sindaco, che presiede la commissione giudicatrice, a coloro che si sono distinti in maniera particolare nel corso della loro carriera professionale nell'attività a favore del prossimo. L'albo d'oro del riconoscimento si apre, appunto nel '98, con l'ex sindaco Enzo Bianco e prosegue con l'indimenticato Turi Ferro, il prof. Angelo Majorana, scomparso di recente, mons. Luigi Bommarito, ex arcivescovo Metropolita di Catania, Roberto Triozzi, comandante dei vigili del fuoco dell'Onu a New York, che fu premiato nel 2002, ovvero dopo l'attentato alle Torri Gemelle, per il ruolo avuto dal Corpo nell'opera di soccorso. L'elenco prosegue con il prof. Attilio Basile, decano della chirurgia catanese, l'associazione Andos - Donne operate al seno, il giornalista e scrittore Igor Man, e il cardinale Salvatore Pappalardo, scomparso anch'egli pochi mesi fa.
Quest'anno il premio va, dunque, a Ignazio Marcoccio, figura di spicco della catanesità. Nato il 7 novembre 1913 è il presidente onorario del Catania Calcio e vicepresidente del Teatro Stabile. Innamorato del gioco del calcio (ma da calciatore non ebbe fortuna), sindaco di Catania negli anni Settanta, storico commissario straordinario del Catania Calcio a cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta, anni d'oro della squadra rossazzurra, salvata dal fallimento e portata ai massimi livelli, grazie alle capacità di Marcoccio nel tessere rapporti con le maggiori società. Legatissimo alla città, storico dirigente del Coni, non poteva non impegnarsi anche in favore di quell'altra istituzione catanese che è il Teatro Stabile.
La consegna della Candelora d'Oro avverrà venerdì prossimo, nella corte di Palazzo degli Elefanti, alle 19,30 circa, dopo l'accensione della Lampada Votiva, da parte del sindaco Umberto Scapagnini.
 

Marcoccio la Candelora di Catania

Tony Zermo
Caro, dolce, immarcescibile Ignazio. La Candelora d'oro che daranno a Marcoccio per la festa di Sant'Agata è come se gliela donasse l'intera città che lui ha visto crescere e che ha gestito al meglio per come ha potuto quando è stato sindaco per tre anni a mezzo dal '72 al '75. Non conosciamo nessuno che come lui ha abbia il senso del dovere, dell'onestà, della lealtà e che alla sua età abbia ancora tante iniziative, tante curiosità.
Non sappiamo se la Candelora d'oro è tutta d'oro e vale quanto pesa. Lo dico perché due anni addietro il sindaco offrì l'Elefantino d'oro al collega Igor Man, il quale prima di accettare mi chiese: «Ma è proprio d'oro?». Gli feci: «Certo, certissimo, a 24 carati». Dopo averlo preso mi richiamò da Roma protestando: «L'ho fatto valutare da un gioielliere, ma quale oro, è solo placcato. Sempre catanisi soddi fausi siti». Dimenticando che anche lui è catanese di Cibali, coetaneo e compagno di adolescenziali scorribande teatrali di Turi Ferro che gli abitava vicino.
Che la Candelora sia tutta d'oro o no, che importanza ha? E' un dettaglio trascurabile. Anche se fosse di lava o di semplice pietra è il simbolo che conta, il gesto d'affetto e di riconoscenza verso un uomo che ha legato il suo nome alla città, nella pubblica amministrazione, nello sport, nel teatro, nelle cose di tutti i giorni, quelle che contano.
Abbondantemente nonno, di cinque fratelli gli è rimasto solo Umberto, «madonna do petroliu», è il suo simpatico intercalare, più giovane di dieci anni, ma anche lui fisicamente integro. Del resto hanno fatto entrambi sport, atletica leggera e calcio.
Quando per i suoi 90 anni facemmo un «ritratto» di Ignazio, il collega Luigi Prestinenza scrisse: «Un bilancio personale di successi, si trattasse della maggiore squadra di calcio cittadina che della realizzazione di una catena di impianti sportivi di cui Catania era priva, per finire con un'altra importante parentesi di impegno politico al Comune e poi al Teatro Massimo e allo Stabile, di cui è ancora vicepresidente. Il Marcoccio uomo di sport, se proviamo a fissare i riflettori su questa parte della sua vita, lo ricordiamo soprattutto come protagonista degli anni d'oro del Catania, sei stagioni consecutive in A, a battagliare con le grandi, ad essere al centro di diffusa stima che valeva a lui e al Catania appoggi e considerazione. La carriera di Marcoccio nel mondo sportivo toccò il vertice quando il Coni lo insignì della Stella d'oro, la più alta distinzione al merito olimpico».
A me raccontò come divenne sindaco nel '72: «Un giorno mi chiamò Nino Drago, mi disse che dovevo fare per forza il sindaco, che non c'era alternativa altrimenti la città sarebbe andata a rotoli. Sindaco era a quel tempo Turi Micale, che venne da me in lacrime e mi scongiurò di rifiutare. Tornai da Drago e gli dissi: guarda che a me di fare il sindaco non interessa. C'è Micale che vuole restare e fallo restare. Drago fu inflessibile: "Il sindaco devi essere tu e non ci sono discussioni". Così per tre anni e mezzo ci sono stato e senza fare annunci o inaugurazioni aprii anche il teatro greco-romano di via Vittorio Emanuele. Ora invece è chiuso ed è una perdita per la città. Quando feci il sindaco dissi agli assessori: io mi tengo lo Sport e voi dirigete gli altri settori, ma fate le cose giuste perché i catanesi ci giudicano. Erano tempi difficili. Di sera a Fontanarossa non si atterrava perché mancava l'illuminazione, dovetti andare a Roma per farla mettere. Di una cosa mi pento. Volevo completare Corso Sicilia da piazza della Repubblica sino alla stazione, ma alcuni consiglieri, ricordo Mignemi, obiettarono che era stata superata la volumetria e fui costretto a bloccare tutti i progetti. Avrei dovuto andare avanti lo stesso perché sono passati da allora 35 anni e siamo al punto di prima».
Nella vita di Ignazio Marcoccio c'è la storia di questa città, che era piccola e buia e ora sta diventando grande, risolvendo gradualmente i suoi enormi problemi di traffico. Una città che ora rivolge lo sguardo verso un uomo che è stato esempio di civiche virtù. Sempre schivo, anche quando da sindaco per la festa di Sant'Agata era sulla carrozza del Senato. Ha sempre rifiutato onori e prebende, non ha accettato candidature al Parlamento e all'Assemblea regionale siciliana per non allontanarsi da Catania e dai suoi affetti.
Alla sua età spesso si sopravvive, lui invece vive e ha la straordinaria capacità di guardare al futuro. L'augurio di rito è di arrivare a cent'anni. Ma è meglio non farlo, potrebbe essere riduttivo per questo piccolo grande uomo che non vuole invecchiare.
la curiosità


Fra 56 anni la ricognizione delle reliquie

La Chiesa, da antica data, ha stabilito di eseguire ogni 100 anni la ricognizione canonica delle sacre reliquie dei santi e dei beati. La ricognizione viene eseguita da una commissione presieduta da un cardinale e da un ordinario di medicina legale alla presenza del vescovo della diocesi.
L'ultima ricognizione del corpo di Sant'Agata fu eseguita il 3 febbraio del 1963 dal cardinale Larraona, alla presenza vescovi, capitolari e altri prelati. Così la cronaca del tempo: «Prima di procedere all'apertura del prezioso mezzobusto reliquiario, il prof. Nicoletti, ordinario di Medicina legale dell'università di Catania, gli orafi giuravano sul Vangelo di adempiere con devota attenzione al loro ufficio. Mons. Bentivoglio, arcivescovo di Catania, quindi, salito su un podio alle spalle del busto argenteo, toglieva la corona dal capo. Tagliati i fili che fungevano da sigillo veniva aperta la calotta superiore della testa da dove l'eccellentissimo arcivescovo estraeva il capo, ormai scheletrico, della grande eroina e martire catanese Sant'Agata, Il sacro capo veniva pertanto delicatamente poggiato su un vassoio, liberato dai veli che lo proteggevano, e dopo essere stato scoperto, mostrato alla venerazione di tutti i presenti. Dopo l'attenta esplorazione del prof. Nicoletti, il Sacro Teschio veniva portato per la Cattedrale in pia processione in modo da farlo osservare da vicino a tutti i presenti. Riposta la reliquia nella calotta del busto argenteo, venivano riposizionati i sigilli e rimessa sul capo la preziosa corona, dono del popolo catanese».
B. D. M.
 

Dietro i ceri amore, fede e sofferenza

Lucy Gullotta
Il cero come simbolo di luce e atto di devozione. Per una grazia ricevuta da Sant'Agata, ma anche solo per puro amore, un amore tramandato da generazion. E così, tra grandi miracoli e piccole grazie esaudite, s' inseriscono tante storie diverse; così come sono differenti, nella misura e nel peso, i ceri che i fedeli portano per strada dietro la Vara.
Ed esiste una storia per ogni cero; vicende che raccontano l'amore di uomini, anche lontani dalla fede e dalla religione, ma devoti alla Santa, pronti a trasmettere a figli e nipoti un amore e una devozione che non conosce confini. Ci sono anche storie di donne operate al seno, come quella che racconta Maria, una giovane studentessa di 26 anni, che ha pregato la Santa per la guarigione della madre. C'è la storia di Salvo, imprenditore di 46 anni, che da sempre indossa un sacco per un voto fatto dalla madre quando temeva di perdere la figlia che portava in grembo; o la romantica storia di Carlo, avvocato quarantenne, che fece promessa di devozione alla Santa, affinché esaudisse il suo sogno d'amore.
«Il cero è un simbolo - spiega Santo Privitera, esperto di storia patria - che racconta sempre un rapporto intimo tra l'uomo e la Santa. E' il segno evidente di una grazia ricevuta, o anche solo richiesta, e deve essere pesante tanto quanto il peso della persona che ha espresso il voto. Oltre che per le donne operate al seno la Santa viene invocata in aiuto degli ustionati - svela Privitera - basti ricordare il legame tra S. Agata e l'Etna; il velo che ferma la lava. In Argentina addirittura la Patrona dei vigili del fuoco è proprio S. Agata, ambasciatrice nel mondo degli aspetti migliori della nostra cultura».«Miracoli? Beh, a dire il vero se ne potrebbero raccontare tanti - continua lo storico - uno che va ricordato è quello che riguarda Santa Lucia che nel 303 circa, 52 anni dopo il martirio, si recò con la madre gravemente ammalata a visitare il sepolcro di S. Agata per ottenere la guarigione e la conversione della donna. La tradizione racconta che S. Agata apparsa in sogno alla giovane siracusana disse: "Lucia, sorella mia, perché domandi a me ciò che tu stessa puoi fare? Confida che come la città di Catania è sublimata da me in Cristo, così la tua Siracusa sarà nobilitata da lui per te". Lucia ottenne la guarigione della madre, e nell'anno seguente il 13 dicembre, subì il martirio».
Oggi a portare i ceri sono gli uomini, ma non sempre è stato così? Anticamente erano le donne che portavano il cero all'interno della città, esattamente il 2 febbraio, giorno della purificazione della Madonna. Le cose cambiarono nel 1300 quando venne imposto alle corporazioni dei quartieri di offrire del denaro oppure dei ceri alla divinità. Nel 1435 con l'avvento di re Alfonso si passò alla processione con la cera, che indica la purezza della luce. L'usanza del cero è antica: in tempi pagani, nel 550, per ingraziarsi la divinità una città veniva costellata di ceri. Il rito pagano venne poi sostituito col rito sacro con l'avvento della candelora, tra il 492 e il 687. La candelora simboleggia la festa della purificazione della Vergine, in occasione della quale si benedicono le candele. Ma mentre la candelora è legata al cerimoniale, il gesto devozionale del cero è legato solo ed esclusivamente al rapporto intimo tra l'uomo e S. Agata, ma che coinvolge anche la famiglia. In un atto d'amore unico, suggestivo ed emozionante.
La festa ritrova il Santo Carcerell luogo del martirio.

Il santuario necessita di altri interventi di restauro

Nino Urzì
Da metà settembre il Santuario di S. Agata al Carcere è stato riaperto al culto. Avremmo voluto scrivere in tutto il suo splendore, ma il restauro non è stato risolutivo, tant'è che è stato programmato un ulteriore intervento che riguarderà la prigione, l'altare maggiore, il pavimento, il soffitto, il sagrato e che, soprattutto, completerà e perfezionerà il primo.
Il restauro ben riuscito è il quadro di Bernardino Niger che si può ammirare, questa volta sì in tutto il suo splendore, sull'altare maggiore. Il dipinto del «Greco» (1588) è rinato a nuova vita: la scena del martirio della Patrona (la griglia) si staglia nella magnificenza dei rianimati colori. Il Santuario del Santo Carcere (all'esterno manca ancora una targa d'aggiornamento che lo indichi come tale, a sette 7 anni dalla sua elevazione) è una chiesa importante nella storia del martirio di Sant'Agata: il rettore è Mons. Luigi Chiovetta. E' al suo interno che si sviluppò l'atroce sacrificio della Patrona di Catania, che qui veniva portata dopo ogni fase del processo, il luogo in cui San Pietro accompagnato da un angelo, la guarì, il luogo in cui spirò dopo essere stata passata ai carboni ardenti.
Nel Santuario troviamo anche l'impronta che la Martire lasciò su una grande lastra lavica nel tentativo di difendersi, puntando i piedi. All'esterno un ulivo ci ricorda l'olivastro sotto cui Agata riposò e che per miracolo produsse da quel momento olive dolci: nasce da qui la tradizione delle "olivette di Sant'Agata", il buonissimo dolce di mandorla che arrichisce la tavola nei giorni della festa.
Una Santuario, dunque, da amare perché tutte le volte che lo si va a visitare si possono ripercorrere con la mente tutte le tappe dolorose di Sant'Agata. Dentro il Santuario si respira davvero quell'atmosfera agatina che pochissimi altri luoghi offrono. Frequentarlo - anche in periodi diversi dalle celebrazioni agatine - è il modo migliore per onorare la Patrona.
la festa in tv


Tci e Antenna Sicilia dirette fiume e approfondimenti

Anche quest'anno la festa di Sant'Agata avrà una copertura televisiva massiccia. Si comincia già venerdì, alle 20,50, su Telecolor Italia 7 con una puntata speciale di "Agorà" condotta da Michela Giuffrida, ospiti il prefetto prefetto Annamaria Cancellieri, il questore Michele Capomacchia, il sindaco Umberto Scapagnini, il presidente del Comitato dei festeggiamenti, Luigi Maina, il vice capovara, Claudio Baturi. Sempre su Telecolor sabato 3, dalle 19,50, diretta dei fuochi d'artificio e del concerto in piazza Duomo; breve pausa e dalle 5 di domenica 4 la Messa dell'Aurora e l'avvio del giro esterno, mentre alle 17,30 la diretta riprenderà da piazza Stesicoro per seguire la "Salita dei Cappuccini"; infine lunedì 5 alle 10 l'emittente seguirà il Pontificale in Cattedrale e dall'alba la "salita di via Sangiuliano" e le fasi del rientro. A condurre le dirette Michela Giuffrida.
Grande sforzo organizzativo anche su Antenna Sicilia e Sicilia Channel per la consueta "maratona", dalle 17,30 di lunedì 5, quindi dall'uscita del fercolo dalla Cattedrale, fino ai tradizionali "fuochi del Borgo". La diretta potrà essere seguita anche sul satellite (canale 874 di Sky): a condurla Salvo La Rosa, con i contributi esterni di Luca Ciliberti ed Eva Spampinato; in studio invece Umberto Teghini con i suoi ospiti. All'interno della trasmissione andranno in onda regolarmente i tg "Siciliasera" (20,15) e "Sicilianotte" (23,30), con ampie finestre sulla festa agatina. La macchina organizzativa di Antenna Sicilia, coordinata sempre da Severino Recca, prevede tre regie mobili e 15 telecamere lungo il percorso del fercolo. La regia sarà di Guido Pistone e Natale Zennaro, collaborati da numerosi tecnici. Grande, dunque, lo sforzo dell'intera famiglia di Antenna Sicilia, dal direttore di rete Renato Stramondo, alla redazione guidata da Tony Barlesi, dall'ufficio programmazione all'ufficio pubblicità.
Grande spazio alla festa anche su Telejonica, con tg speciali in onda domenica e lunedì alle 14,15, alle 19 e alle 22,30.
 

La devozione non ha prezzo ma il sacco sì

Lucy Gullotta
Un amore grande. Infinito in taluni casi. Che si avverte nell'aria. E che invade gli animi. Nelle strade, tra i vicoli, ma soprattutto dentro il cuore della gente. E' l'amore per Sant' Agata. Un sentimento da sempre insito nel cuore di gran parte dei catanesi, che si tramanda da padre in figlio, attraverso gesti e parole, che si ripetono da sempre. Seguendo le Sante Messe o venerando la Santa patrona di Catania, con un fiore o un cero bianco posto ai lati del sagrato della Cattedrale. Ma per i devoti il segno distintivo è anche un altro. Unico e inequivocabile: un camice in cotone bianco, u "saccu" da indossare in suo onore, nel segno di un amore davvero sconfinato.
Ed è così che durante i giorni dedicati alla festività agatina, le strade di Catania si affollano di uomini, donne e bambini che indossano con orgoglio il sacco, con l'immancabile "scuzzitta" (il berretto di velluto nero) che ricordano, secondo la leggenda popolare, la camicia da notte che indossavano gli uomini nella notte del 17 agosto 1126, quando si riversarono festanti sulle strade per accogliere le reliquie della Santa, che rientravano in patria da Costantinopoli. Secondo gli storici, invece, il sacco bianco costituisce il punto di arrivo di una lunga evoluzione iniziata in epoca Normanna - quando gli uomini seguivano il feretro a piedi scalzi - e conclusasi nel XVII secolo. Nel tempo la prassi di andare a piedi scalzi fu progressivamente abbandonata; stando alla testimonianza dello storico S. Salomone Marino veniva praticata da alcuni devoti sino alla fine dell'Ottocento. Una terza teoria vorrebbe il sacco come un saio penitenziale, il cui colore bianco, indice di purezza ben si accoppia col berretto scuro, che invece rappresenta il capo cosparso di cenere in segno di sottomissione e umiltà.
Anche gli altri elementi che compongono il sacco agatino - i guanti e il fazzoletto - hanno un loro significato simbolico. I guanti bianchi rappresentano un sogno di rispetto per la purezza di S. Agata, mentre il cordone rappresenta la castità. Il fazzoletto simboleggia il segno di esultanza col quale di solito si accoglie un eroe.
Premesso che la fede non ha prezzo, quanto costa oggi essere fedeli? Cosa realmente spende un devoto per acquistare abito e accessori, insomma il "kit" per seguire la processione "in divisa"? Essenzialmente dipende dalla misura e dal tipo di sacco che si sceglie. La tradizione, infatti, vuole che l'abito sia un telo semplicissimo da indossare sopra gli indumenti di ogni giorno; quindi non è indispensabile che sia particolarmente pesante. Inoltre, se si compra il completo (sacco, "scuzzetta", cordoncino, guanti e coccarda) o solo gli accessori, il prezzo, come si può ben comprendere, cambia notevolmente. Il prezzo del sacco varia in base alla taglia; per un bambino si parte dagli 8 euro per la misura più piccola ai 9,50; mentre per un completo si può arrivare sino ad un massimo di 20 euro. Per il ragazzo il prezzo varia: dagli 11 euro per il solo sacco, ai 24,50 per il completo. Mentre per gli adulti, il prezzo di un sacco di qualità media costa all'incirca 27 euro sino ad arrivare ai 35 euro per un sacco in tessuto pesante. Prezzo fisso per il cappello, circa 5 euro, e per il cordone che costa 4 euro. Varia e di molto il prezzo della coccarda che si può acquistare anche a 4 euro sino a un massimo di 10: in questo caso il costo varia in base al metodo di cucitura della medaglietta che riporta l'effige della Santa ( da 1,50 a 4 euro); i guanti costano 3 euro; per il fazzoletto la spesa è di 0,90 centesimi.
Il costo lievita nel momento in cui si sceglie il cero da offrire in omaggio alla Santa. Si parte dai più piccoli, che costano circa due euro. I ceri bianchi costano circa 5 euro ciascuno e il devoto li può acquistare in numero indefinito in base al voto che ha fatto a S. Agata. Il cero giallo, invece, può arrivare a costare anche 200 euro. Un lumino con l'immagine della Santa costa 1,40 euro; il portachiavi circa 3 euro; i quadretti da 3 a 50 euro. Per una statuetta da 4 a 50 euro.
usanze


Le diverse anime della «divisa» dei devoti

Molti pensano che l'uso del "sacco" di Sant'Agata sia dovuto al fatto che in occasione del terremoto del 1693 i catanesi uscirono nelle strade con la camicia da notte. Altri pensano che, in occasione del rientro delle reliquie di Sant'Agata il 17 agosto 1126, suonarono tutte le campane della città e i cittadini uscirono, così come si trovavano, con la camicia da notte.
In realtà ci sono due diverse interpretazioni: una pagana e l'altra cristiana. Gli antichi catanesi pagani, trainavano in trionfo, in giro interno ed esterno della città, la dea Iside, dea del mare - patrona pagana di Catania - vestita succintamente, durante le feste in onore di Cesare Augusto nel mese di agosto dall'1 al 15. Iside veniva trainata dagli uomini nudi con soltanto una camicia - la toga - un po' più lunga del naturale. Necessario era essere maggiorenni.
L'interpretazione cristiana parla di «saio penitenziale o cilicio» che in occasione del mercoledì delle ceneri così come disposto dal Papa e dai vescovi i peccatori dovevano indossare pubblicamente e portare durante tutta la Quaresima, dopo che veniva loro cosparso il capo di cenere. Di qui il significato della berretta nera, che starebbe a significare la cenere. La prima volta che il "sacco" venne usato fu nel 315 quando le reliquie, dopo l'editto di Costantino del 313, vennero trionfalmente portate da piazza Carlo Alberto, dove erano state sepolte, alla chiesa di Sant'Agata la Vetere, prima cattedrale di Catania.
Una volta il sacco veniva indossato soltanto il 4 febbraio, giorno della vigilia con l'obbligo dell'astinenza e del digiuno. E la processione del 4 era una processione penitenziale, tanto che la sera al rientro della Santa, in cattedrale, si cantavano, i (sette) salmi penitenziali. Il bianco è il simbolo della Scienza, della Religione e della Speranza.
BENIGNO DE MARCO
 

Quando mettere il sacco poteva costare la testa

carmen Greco
Chi indossava "sacchi" che lo rendevano irriconoscibile durante la festa di S. Agata, rischiava la pena di morte. Il decreto faceva parte del cerimoniale delle celebrazioni datato 1514. Coperti con «saki di la disciplina sconoxuti e stracambiati» in tanti approfittavano, infatti, della «grandissima multitudini di chitatini e furisteri» per operare «tali e tanti disonesti cosi et di tantu malu exemplu ki da lu intuctu sdignandosi la menti di cuy li vidi da lo intucto veni a diminuiri et annullari tanta devocioni ed honuri di dicta gloriosa sancta ed cultu di lu omnipotenti dio».
Con questi sacchi «non regolamentari» che vanificavano, quindi, l'impegno devozionale dei fedeli nei confronti di S. Agata, era vietato girare per Catania nel giorno del 4 febbraio, il giorno della processione solenne. Chi disobbediva a questo ordine del Capitano patrizio della città rischiava la pena di morte «et confiscacioni di tucti beni». «Nixuna persona, tantu masculu quanto femmini» nel giorno della solenne processione del 4 febbraio - il giorno della cassa, così si chiamava - poteva andare in giro «vestitu et stravestitu et stracangiato» e se qualche ufficiale l'avesse visto, aveva l'obbligo di «prindiri et carcerari et prindiri li debiti informacioni», oltre naturalmente ad esigere la pena.
E questo nonostante la tradizione fosse proprio quella di essere nudi sotto il sacco «per grandissima necessitati et devocioni», anche se «a li quattro di frevaro rengnano tanti grandissimi friduri et lu più di li volti grandissimi acqui, nivi e asperrimi tempi» e però mai si era visto qualcuno ammalarsi per intercessione della Santa che preservava i cittadini in salute, con qualsiasi tempo.
Il cerimoniale della «festa di la gloriusa Sancta Agatha» (tratto dal volume Festa, teatro, rito, la storia di Sicilia», di Giovanni Isgrò, edizioni Cavallotto, 1981) si preoccupava soprattutto di evitare gli eccessi che già nel Cinquecento rappresentavano un serio problema, diremmo oggi, di «ordine pubblico» e che all'epoca venivano indicati come «disordini ki più volti et quasi omni anno accadi».
Una punizione così severa - la pena di morte - era giustificata, stando all'antico cerimoniale, dal fatto che mentre prima i «chitatini» (i cittadini) andavano «nudi et palisi» sotto il sacco, «hora - recita il regolamento del 1514 - non si pono conuxiri (riconoscere) e sub tali modo et forma di devocioni si causano tanti disonesti et tante abusioni ki non è pirsuna ki ly viya ki non li aborixa...».
In quel periodo, infatti, capitava che gli uomini si travestissero da donna o si mascherassero con un lenzuolo legato "a crocchia" sulla testa e stretto, con particolari legacci, al collo e alla vita. Un'usanza che in realtà doveva essere legata al Carnevale ma che a Catania veniva in qualche modo "anticipata" dalla festa di S. Agata. Sembra che tra li «cosi disonesti» che si usava fare con i sacchi «stracambiati» ci fosse prendere per mano donne che non si conoscevano o peggio, approfittare della calca per allungare le mani pesantemente. C'è chi sostiene che «osare» nei giorni di S. Agata non apparteneva solo agli uomini, ma anche alle donne. Fatto sta che nuove generazioni di catanesi «arrivavano» a nove mesi dalla festa.
C'è da dire che la tradizione del travestimento si legava spesso alle feste patronali siciliane. Sia a Palermo, nel giorno di Santa Rosalia che, appunto, a Catania, dove la festa di S. Agata era (e per molti versi è ancora) una sorta di anticipo di Carnevale. Lo testimonierebbe il fatto che la città non ha conservato feste e riti della tradizione carnascialesca vera e propria.
Nella novella «La coda del diavolo» Giovanni Verga descrive, per esempio le «'ntuppatedde», le donne che nei giorni di S. Agata, andavano in giro con il volto coperto da un velo indossando un raffinato vestito avvolto da un mantello. Così «stracambiate» e «sconoxute» (irriconoscibili), giocavano scherzi agli amici e ai parenti che incontravano per strada. «A Catania - scrive Verga - la quaresima vien senza carnevale... in compenso c'è la festa di Sant'Agata, gran veglione di cui tutta la città è teatro, nel quale le signore, hanno il diritto di mascherarsi, sotto il pretesto d'intrigare amici e conoscenti e d'andar attorno, dove vogliono, con chi vogliono, senza che il marito abbia diritto di metterci la punta del naso». Era questo il cosiddetto "diritto di la ntuppatedda", secondo il quale, durante i riti agatini, dalle quattro alle nove di sera la donna diventava "padrona di sé, delle strade, dei ritrovi...».
piatti tipici
 

Il trionfo dell'«arrusti e mancia»

«Piatti tipici per la festa di S. Agata in realtà non ce ne sono - dice Regindaldo Grasso, storico della cucina ed esperto di enogastronomia - l'unica traccia è una possibile deduzione di ciò che avveniva a Catania durante i giorni della festa. Poiché si distribuiva uniformemente nei giorni che andavano dal primo al 5 febbraio, i catanesi non avevano il tempo di stare a casa e cucinare, così durante questi cinque giorni, c'era il tipico cibo di strada. Dalle cronache viene fuori che quasi ad ogni angolo della città c'erano dei grandi braceri dove i cittadini potevano arrostire il cibo che avevano acquistato».
Sicuramente, venditori ambulanti si attrezzavano per vendere carciofi arrostiti, gelatina (susu), sangeli, frittelle dolci o salate, vino sfuso, ghiaccio tritato all'essenza, torrone, arance.
Nei palazzi delle famiglie aristocratiche invece regnava la tipica cucina del Seicento: timballi, cacciagione, torte salate, dolci e confetti. «Un piatto che non mancava - racconta Grasso - era sicuramente la "Tummala", cioè un timballo di riso in brodo e frattaglie di piccione. Si chiamava così perché pare che il sultano di Catania "Al Tummina" ne fosse ghiotto. Nei secoli successivi, il piatto fu modificato passando dal piccione alla gallina vecchia e quindi più grassa».
I dolci, invece, si collegano alla liturgia cristiana attribuita alla Santa. Di qui le olivette e i "minni di S. Aita". Di "minni" - che non hanno niente a che vedere con le cassatelle di ricotta - ne esistono due versioni. Entrambe sono di pasta frolla, ma quelle glassate di color rosa sono ripiene di crema ed hanno sopra un ciliegina; quelle glassate bianche sono, invece, ripiene di ricotta e con un po' di cioccolata sopra.
«Oggi - spiega Grasso - così non le fa più nessuno tanto che si chiamano impropriamente "minni di S. Aita" le piccole cassate di ricotta con pasta di mandorla verde e ciliegina sopra. Ma queste si vendono tutto l'anno».
c. g.
 

Sarà anche una festa del gusto

Carmen greco
Una sfida. Organizzare una due giorni del gusto durante la festa più attesa. «Ma il bello è proprio questo - dice Pippo Privitera, presidente regionale di Slow Food - Abbiamo capito che bisognava andare oltre. Non martellare la gente solo ed esclusivamente sul cibo, sul valore delle tipicità o sui presidi, ma che si doveva fare una riflessione più ampia. Vale a dire inserire la rivalutazione del cibo e dei prodotti tipici all'interno di un contesto che comprendeva il folclore, l'arte, la musica, le bellezze architettoniche, le tradizioni. Quindi la festa di S. Agata alla quale abbiamo voluto dare il nostro contributo nei giorni 3 e 4».
Una festa nella festa quella che verrà allestita nei corridoi del Monastero dei Benedettini (che sempre più si sta confermando "tempio del gusto" così come ai tempi dei monaci Benedettini descritti da De Roberto nei Vicerè) con una mostra mercato di prodotti di presidio Slow Food (dalla manna delle Madonie, al pistacchio di Bronte, dal Maiorchino alla provola dei Nebrodi, e così via). Dalle 18 alle 22.30. Tra le chicche che sarà possibile assaggiare ed acquistare il prosciutto di maiale nero dei Nebrodi, una rarità, almeno per ora, visto che la commercializzazione vera e propria di questo prodotto non è ancora partita. Per vederlo sulle nostre tavole bisognerà aspettare, infatti, il 2008 il tempo per una giusta stagionatura. Alla mostra mercato verrà venduto in anteprima, una sorta di "prototipo", dopo un lungo lavoro di studio, dal disciplinare per l'allevamento degli animali alle tecniche di norcineria. «Non vogliamo distogliere più di tanto i catanesi nel loro appuntamento con S. Agata - assicura Pippo Privitera - un momento intimo e di grande suggestione, li invitiamo però a dedicare un po' del loro tempo, in questi giorni di festa, anche alla riflessione sulle tradizioni legate al cibo».
Per tornare al calendario dell'iniziativa, alle 21 di sabato 3, si terrà un laboratorio sui dolci conventuali e di tradizione condotto da Nino Aiello giornalista enogastronomo. «Un mondo quello dei dolci conventuali - spiega Aldo Bacciulli, fiduciario Slow Food della condotta di Catania - a forte rischio d'estinzione a causa dell'infelice combinazione delle contrazioni delle vocazioni e dall'avvento di ferree norme igienico sanitarie e fiscali, che nel tempo hanno dissuaso le suorine a continuare la produzione». Così sarà possibile degustare i "Muccunetti" delle suore benedettine di clausura di S. M. dell'Arcangelo di Mazara del Vallo, dei dolcetti di sfoglia di mandorla ripieni di zuccata. Poi, ancora, le "conchigliette" di pastareale e zuccata e il famosissimo "cous cous" di pistacchio che viene decorato con disegni di fiori fatti con frutta candita, dalle suore cistercensi del monastero Santo Spirito di Agrigento. Altra rara prelibatezza che arriva dal monastero di Maria SS. del Rosario di Palma di Montechiaro, saranno i "dolci ricci", paste di mandorla citate anche nel «Gattopardo» di Tomasi di Lampedusa il tutto accompagnato da vini siciliani da meditazione.
Domenica 4, dalle 9 alle 22.30, riaprirà la mostra mercato dei prodotti di presidio e alle 21, ci sarà un doppio laboratorio stavolta sui formaggi. Nord e Sud, vale a dire Piemonte e Sicilia si incontreranno sul piano dell'eccellenza. Nelle cucine dei Benedettini i maestri casari di Castelmagno e Maiorchino daranno vita a un incontro che vedrà scendere in campo il meglio delle tipologie e delle produzioni delle due regioni (Tuma da Paja - Losa di capra -Raschera d.o.p. estiva - Castelmagno d'Alpeggio - Verde di Frabosa - Testun di capra stagionato in foglie di castagno - Maiorchino). Beppino Occelli e Mario Mirabile "re" indiscussi nelle rispettive produzioni guideranno gli appassionati che avranno la possibilità di degustare i formaggi con lo champagne, un matrimonio insolito ma sicuramente intrigante soprattutto se a celebrarlo sarà Roberto Beneventano, uno dei maggiori esperti di "bollicine". L'incontro avrà un ospite d'eccezione Carlo Petrini, presidente Internazionale di Slow Food. Al presidente nazionale, del movimento Roberto Burdese, spetterà il compio di aprire la mostra-mercato dei presidi.
«Quello della mostra mercato - ha anticipato Pippo Privitera - sarà un appuntamento fisso. A Catania organizzeremo mercatini in marzo e aprile per invogliare i catanesi ad instaurare un rapporto diretto con i produttori. Non saranno più solo consumatori e basta, ma co-produttori che con le loro scelte influiranno la produzione di questo o quel prodotto. Vorremmo che fossero, insomma, una specie di termometro del mercato, per arrivare alla realizzazione di un nuovo modello alimentare rispettoso dell'ambiente».
leggende e storia
 

Perché è certo che la Patrona nacque a Catania

Nino Urzì
Sulla vita e sul martirio di Sant'Agata sono in tanti a dire la loro, intrecciando teorie cervellotiche, leggende, ricerche personali, raramente riscontri storici, ovvero le sole fonti certe. I maggiori studiosi fanno così chiarezza sulle vicende terrene di Agata, cominciando dalla nascita avvenuta senza dubbio a Catania. L'equivoco sui natali palermitani della martire è nato soltanto per la trascrizione degli atti greci, formulati al tempo in cui l'Italia era un'eparchia e cioè una provincia dell'Impero Bizantino o per l'altro equivoco creato da una «G» (Ganormus), confusa ad arte con una «P» (Panormus).
Al di là dei marchiani errori storici, una lapide ricorda a Catania addirittura il luogo di nascita, in via Biscari. Diversi agiografi e storici danno date diverse, ma quella più verosimile è il 236, calcolando un periodo di tempo entro cui la Patrona maturò la sua adolescenza. Ed era donna bellissima e di nobile famiglia. Sulla morte è certa la data del 5 febbraio del 251 entro le mura del Santo Carcere in cui Sant'Agata fu portata morente dopo essere stata passata per i carboni e pettini di ferro ardenti. Il martirio di Sant'Agata durò quattro-cinque giorni.
Mons. Giovanni Lanzafame, studioso di storia agatina è categorico sulla catanesità della Patrona: «Chi dice che Sant'Agata non è catanese non è uno storico attento. Gli Atti, infatti, non ammettono dubbi. Ammonisce Federico II che vuole mettere a ferro e fuoco Catania: "Non toccare la patria di Agata perché ella è vendicatrice delle offese"».
 

«Orgogliose di portare questo nome»

Francesca Marchese
Onore, vanto, prestigio. Ma anche un pizzico d'imbarazzo, che sparisce con l'età. Perché chiamarsi Agata a Catania regala sempre una soddisfazione in più: un soffio di celebrità durante la festa e una caratteristica che lega le donne catanesi alla loro Patrona, anche all'estero. L'anagrafe comunale ne registra 4.062, ma è lecito pensare che questo numero sia destinato a crescere nei prossimi giorni, quando in alcune famiglie il lieto evento coinciderà i festeggiamenti agatini. Un nome - diffuso in città in tutte le sue varianti dialettali, tra cui "Aituzza" e "Aitina"- che deriva dal greco "Agathé", forma femminile dell'aggettivo "agathòs", cioè "buono".
«Porto con onore il nome di Sant'Agata - spiega Agata Valenziano, giovane formatrice che si occupa di risorse umane - ma in realtà esso riflette il rapporto fortissimo che legava i miei genitori con mia nonna materna. Per loro, quindi, non è stata una scelta nata dalla tradizione, ma dall'affetto nei confronti di una persona cara. Non penso che il nome rispecchi il mio carattere e il mio modo di fare, ma a me piace perché è fine e delicato, infatti mi danno fastidio i vezzeggiativi. Certi, siamo in tanti a portarlo: nella mia comitiva siamo in tre e così questo ci costringe a chiamarci "Agata1", "Agata2" e "Agata3". Tuttavia, credo che il mio nome abbia marcato molto la mia identità catanese: in questi giorni mi trovo a Milano per lavoro e il nome mi rimanda immediatamente alle origini siciliane. Sarà per questo che mi piace di più?».
«Anche a me da piccola - afferma Agata Foti, presidente dell'Afel, associazione impegnata in ambito sociale - affibbiavano nomignoli come "Tina" e "Tuccia", e questo mi è sempre dispiaciuto parecchio nonostante il nome mi ricordasse mia zia. Non mi sentivo soddisfatta, e me ne facevo un cruccio. Fino a quando qualcuno ha cominciato a pronunciarlo per intero, senza nessuna storpiatura: si trattava del mio futuro marito (Giuseppe Foti, magistrato della Corte d'Appello di Catania, ndr), e l'incontro con lui ha segnato un punto di svolta nella mia vita e nel mio rapporto con il nome: sentito dalla sua voce, a cui mi affezionavo sempre di più di giorno in giorno, mi sembrava completamente differente da prima! Adesso lo sento vicino anche al mio carattere, dotato di una personalità forte». «Mi sento doppiamente onorata - aggiunge Agata Patrizia Saccone, esperta di moda e curatrice di eventi nel mondo dello spettacolo - dal fatto di portare questo nome, perché ho scoperto che Sant'Agata proveniva da una famiglia "patrizia". Così il mio nome doppio, scelto dai miei genitori come segno d'affetto nei confronti di mia nonna, mi sembra ancora più parte di me. Quando viaggio per lavoro c'è sempre chi capisce che sono catanese proprio grazie al nome: mi è successo anche in vacanza a Malta, dove peraltro la devozione verso la nostra Patrona è fortissima. Per me il 5 febbraio è più importante del compleanno, anche perché è un onomastico che dura almeno tre giorni. Non a caso gli amici mi fanno gli auguri tra il 3 e il 5, indifferentemente: "Vabbè, tanto è sempre Sant'Agata!", mi dicono».
Già, a Catania è sempre Sant'Agata.
I ceri votivi nelle sposeMuseo Diocesano.

Da oggi in mostra gli abiti evocativi di Mariella Gennarino

"L'interpretazione dei ceri votivi nelle spose di Mariella Gennarino” è l'esposizione di abiti ispirati al culto di Sant'Agata, che sarà inaugurata ogginei suggestivi spazi del Museo Diocesano. «Il cero è un ex voto, un sacrificio, una dimostrazione di affetto e di gratitudine nei confronti della Santa», spiega la stilista catanese che ha trasposto sulle stoffe e gli ornamenti preziosi, l'ispirazione, lo studio e la ricerca da cui prendono forma gli inediti modelli evocativi, in mostra fino a sabato prossimo (orari di visita dalle 9 alle 12,30 e dalle 16 alle 19,30). A introdurre nel percorso creativo, spirituale, storico, dell'evento - che fa seguito ad altre manifestazioni culturali organizzate dalla Gennarino - la conferenza, sempre oggi alle 18, a cui partecipano il prof. Mauro Guarino, docente di Estetica all'Università di Catania, l'assessore alla Cultura del Comune, Giuseppe Maimone, il prof. Carmelo Strano, filosofo, critico d'arte, docente all'Università di Catania.
Gli spunti che danno vita e anima a queste spose portatrici di simboli e motivi eterni, ripercorrono pagine e pagine del passato siciliano, dai normanni ai gattopardi: misticismo, fecondità, abbondanza. Un nuovo elemento si affaccia nella “lettura” delle candide creazioni: le cinture che i gattopardi regalavano alle future mogli. Unione - dall'altare e per sempre - cinta da una ritrovata tradizione, ora, nell'interpretazione attuale di Mariella Gennarino, il reperimento di un pezzo di storia che fa “chiccheria”, originalità non privata del suo valore ma carica di una densità spirituale e mondana: nuove tracce di Sicilia e sicilianità firmano la collezione di raro e denso “sentimento”.
«Attorno a un manichino spettatore muto di un momento per me importante di un passato che ritorna annualmente per ricordarci le nostre tradizioni, si sprigionano emozioni così intense da arrivare a commuoversi per la bellezza e la grandiosità». Così l'artista comunica un bagaglio di amore e attaccamento per le proprie radici: conoscenza e creatività si abbracciano per scolpire donne forti, volitive, combattive e “combattenti”, come le donne normanne forti e volitive, a rappresentare la moderna dea del focolare che lotta per salvaguardare famiglia e lavoro.
Tra gli ospiti del parterre, le principesse romane Patrizia Ruspoli e Adriana Sartogo Giobbe della Bitta (quest'ultima scrive di moda).







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