Fatwa delle corti islamiche somale contro otto musicisti artisti. «Fanno musica
Data: Lunedì, 22 gennaio 2007 ore 00:00:00 CET
Argomento: Rassegna stampa


dal Corriere della Sera

 

Il presidente della Commissione, Yusuf Jimale, spiega che la repressione del nuovo regime islamico si manifestò il 24 marzo scorso con l'assalto armato alla loro sede a Mogadiscio, distruggendo ogni cosa compreso un prezioso lavoro sulla «diversità musicale somala» destinato all'Unesco, l'organizzazione delle Nazioni Unite per l'educazione, la scienza e la cultura: «Da allora non ci hanno più permesso di svolgere la nostra attività e neppure di contattare la stampa. Si tratta di una violazione dei diritti dell'uomo. E ora siamo condannati a morte. Sono degli ignoranti, degli oscurantisti che perseguono dei fini occulti. La musica è sempre esistita in Somalia e ovunque nel mondo islamico».

La fatwa di condanna a morte dei musicisti viene giustificata con la citazione del versetto V, 33 del Corano: «In verità la ricompensa di coloro che combattono Iddio e il Suo Messaggero e si danno a corrompere la terra, è che essi saranno massacrati, o crocifissi, o amputati delle mani e dei piedi dai lati opposti, o banditi dalla terra: questo sarà per loro ignominia in questo mondo e nel mondo a venire avranno immenso tormento». Ma Jimale non si capacita: «Forse che meritiamo quanto vi si afferma? Ma veramente capiscono ciò di cui parla il versetto? Loro stanno ingannando la gente comune. Abbiamo proprio bisogno aiuto dalla comunità internazionale. Hanno preso una posizione estremamente crudele contro di noi e più in generale contro la musica. Ma siamo un'unica famiglia e questa condanna a morte non ci farà desistere dal promuovere la musica in Somalia e nel mondo. Comunque vada saremo forti. Noi non siamo nel torto. Noi abbiamo ragione, ragione e ragione!».
In Italia l'appello dei musicisti somali è stato raccolto e rilanciato da Patricia Adkins Chiti, membro direttivo del Consiglio internazionale per la musica dell'Unesco e dell'European Music Council. La fatwa delle Corti islamiche è stata emessa dopo un raid contro la sede della Radio dell'Africa Orientale a nord di Mogadiscio, che abitualmente trasmetteva musica per la capitale e nei dintorni. E' stata definitivamente chiusa. L'11 settembre scorso un'altra incursione contro Radio Jowhar, sempre a Mogadiscio, ha portato all'abolizione totale dei programmi musicali. Da allora è autorizzata a diffondere solo il Corano, dottrina islamica e i notiziari ufficiali.

Per la verità nel Corano non c'è un divieto esplicito della musica e del canto. L'interdizione fa piuttosto riferimento a delle fatwa emesse da teologi wahhabiti, come il defunto mufti dell'Arabia Saudita, Abdelaziz Bin Baz, che disse: «La parola ma'azif si riferisce al canto e agli strumenti musicali. Il Profeta ci ha detto che alla fine dei tempi arriverà un popolo che permetterà queste cose così come permetterà l'alcol, l'adulterio e la seta. Questo è uno dei segni della profezia, tutto ciò è accaduto. Il hadith (il detto) indica che gli strumenti musicali sono haram (proibiti) e condanna coloro che dicono che sono halal (leciti), così come condanna coloro che ritengono che l'alcol e l'adulterio sono leciti. Chiunque ritenga che il canto e gli strumenti musicali sono leciti mente e commette un peccato grave».

Gli estremisti islamici somali, sulla scia di quanto fecero i talebani in Afghanistan nel 1996, hanno già chiuso tutti i cinematografi, messo fuorilegge i film, proibito la visione della televisione nei luoghi pubblici, vietato le celebrazioni dei matrimoni che contengano canti o danze, imposto ovunque la segregazione sessuale. Stanno cioè distruggendo dal di dentro la persona per trasformarla in un robot al servizio del loro potere dittatoriale ammantato di islam. Ma a quanto pare tutto ciò non interessa a nessuno. Tranne che a Bin Laden. Perché lì potrà probabilmente rilanciare il suo sogno del califfato islamico. Non è forse il caso di raccogliere seriamente l'appello dei musicisti somali: «Salvate la nostra anima »?

Magdi Allam
22 ottobre 2006

L' Islam e lo spettacolo

Sin dalla nascita dell' Islam, la liceità della musica e del canto è stata materia di di battito. Se ne discuteva la legittimità non solo per quanto riguarda l'artista ma anche riguardo al pubblico. Sia i fautori che i detrattori fondavano la legittimazione della loro posizione sul Corano e sugli hadiths, i detti del Profeta. Nell' odierno Egitto, questi dibattiti sulla legittimità della musica non precludono il fiorire dell'arte nei palazzi e nelle case private (Sawa 1989; Stigelbauer 1975).

Chelebi, uno studioso musulmano del diciassettesimo secolo, distingue tre categorie di musica: quella che proviene dagli uccelli, dalla voce umana e dagli strumenti. Egli afferma che nell' Islam è permesso ascoltare le melodie prodotte dagli uccelli e quelle prodotte dalla voce umana ma a certe condizioni e regole. Invece non è mai ammissibile ascoltare strumenti a fiato o a percussione (1987: 38). Alcuni strumenti sono proibiti perché si presume che istighino al bere. Il kuba (tamburo oblungo) ad esempio è proibito perché associato al vino, alle canzoni licenziose e alle persone dissolute. Riguardo alla voce umana, se esegue canzoni sul vino e sulla dissolutezza, non è possibile ascoltarla (ibid.: 39).

Secondo l' etnomusicologo Al-Faruqi, la dottrina religiosa istituisce una gerarchia della musica e del canto distinguendoli in forme proibite, sconsigliate, raccomandate ed encomiabili. Al culmine della gerarchia c'è la recitazione del Corano, immediatamente seguita dalla chiamata alla preghiera e la cantillazione religiosa. Legittimi sono anche vari generi di canzoni connessi alle celebrazioni familiari, ai canti delle carovane, ai canti di lavoro e alla musica delle bande militari. Al livello più basso della gerarchia troviamo "musica sensuale che è eseguita in occasione di attività condannate, o che si ritiene un incentivo per talune pratiche proibite, come il consumo di droga e di alcool, atti di lussuria, la prostituzione, ecc." (1985: 12). Questi generi sono chiaramente proibiti, haram. Tuttavia, la maggior parte delle forme di musica e di canto si collocano in posizione intermedia tra queste precise categorie e la loro appartenenza è controversa (Al-Faruqi 1985: 1-13).

L' approvazione o la disapprovazione data all'interprete non è connessa solo al genere ma anche al contesto dell' esibizione. Riguardo alla liceità del contesto, tre sono gli elementi considerati importanti dallo studioso musulmano dell'undicesimo secolo Imam al-Ghazali, e precisamente il tempo, il luogo e i partecipanti. Non è accettabile che troppo tempo venga dedicato alle esibizioni tanto da interferire con i più alti obiettivi islamici e distrarre l'attenzione dei credenti dalla devozione a Dio. I professionisti che svolgono la loro attività a tempo pieno sono unanimamente meno approvati dei dilettanti non professionisti. L'accettabilità del luogo e delle circostanze dell'esibizione è pure un fattore importante nel giudizio sulla legittimità della posizione degli artisti di spettacolo e del loro pubblico. Infine, il tipo di persone presenti all'esibizione influisce sulla legittimazione degli artisti e del loro pubblico. Un certo genere di musica può, perciò, essere ammissibile in un dato contesto e rifiutatoin altre circostanze. Suonare il tamburello, per esempio, è lecito se è fatto da donne ad un matrimonio ma è proibito se fatto da uomini in un contesto di omosessualità o di prostituzione (Al-Faraqi 1985: 17-20; al-Ghazali 1902: 1).


Musicisti dell'alto Egitto durante una processione matrimoniale
Le discussioni religiose sulla danza sono meno particolareggiate e hanno a che fare principalmente con la natura degli stati estatici. Secondo al-Ghazali anche la giusta condotta durante l'estasi e la trance è definita dalle regole di tempo, luogo e comparte- cipazione. Inoltre, si può perdonare se l'estasi sopraffà una persona e la fa muovere senza propria volontà. Ma quando la volontà ritorna, è preferibile la calma e il contegno. La regola generale è che: "se il piacere che induce a danzare è lodevole e la danza lo accresce e lo rinforza, allora danzare è degno di lode (...). E' vero comunque che la pratica del ballo non si addice alla condizione di personalità di spicco, che costituiscono un modello, perché la maggior parte delle volte essa scaturisce dal gioco e dallo sport (...)" (al-Ghazali 1902: 9).


Dobbiamo tener presente però che al-Ghazali tratta della danza estatica maschile in un contesto religioso e non della danza femminile in un contesto profano. Sebbene l'impatto del genere sull'accettabilità dell'attività artistica non abbia ricevuto un'attenzione sistematica, esso costituisce un fattore cruciale nei dibattiti sopra delineati.
Un ben noto detto, spesso citato per screditare le cantanti, è "sawt al-mar'a `awra", "la voce di una donna è una cosa vergognosa" (1).

Imam al-Ghazali lo spiega come segue: la musica è permessa a meno che non si tema la tentazione. La voce femminile potrebbe sedurre l'ascoltatore. Guardare le interpreti è sempre vietato. Ascoltare la voce di cantanti donne nascoste è vietato ugualmente se evoca immagini tentatrici. Egli continua argomentando che guardare un ragazzo imberbe è proibito solo se c'è pericolo di tentazione. E paragona poi la liceità dell' ascoltare una cantante nascosta a quella del guardare un giovane ragazzo imberbe. La regola che deve essere seguita, quindi, è relativa al rischio di indurre in tentazione: se questo è temuto si è fuori legge (1901: 235-237).

Le donne sono quindi generalmente percepite come più seducenti degli uomini e l'eccitamento provocato dalla vista è considerato più potente dell'eccitamento provocato dall'ascolto. Queste considerazioni influenzano la valutazione di legittimità delle differenti forme di spettacolo maschile e femminile. Le esibizioni femminili sono più controverse e la loro accettabilità dipende dall'esperienza maschile della provocazione. Anche il fatto che l'eccitamento maschile sia più fortemente stimolato dalla vista che dall'udito influenza il giudizio sulle varie categorie di interpreti femminili. Le musiciste hanno una audience. Le cantanti hanno una audience ed anche, almeno attualmente, degli spettatori. Le ballerine, d'altro canto, catturano unicamente lo sguardo. La danza femminile è unanimamente considerata la forma più vergognosa di spettacolo.

Allo scopo di capire i giudizi dei fondamentalisti islamici sull'arte dello spettacolo non possiamo solamente fare riferimento all'opinione degli studiosi musulmani dell'undicesimo o del diciassettesimo secolo, ma dovremmo anche esaminare a fondo il giudizio religioso dei leader più recenti. Secondo il tardo Sheikh al-Azhar Shaltut, che scrisse una fatwa (un decreto o giudizio ufficiale) sull'argomento nel 1960, la musica è ammissibile a certe condizioni. Egli argomenta che Dio non è contro il piacere e che l'Islam ricerca la moderazione. Però esso non dovrebbe avere luogo in circostanze immorali o con compagni dissoluti (Al-Faruqi 1985: 25-26). Lo studioso musulmano al-Quaradawi afferma che il canto e la musica in se stessi sono leciti e piacevoli. Tuttavia impone a riguardo numerose restrizioni. Il contenuto della canzone non dovrebbe essere contro la morale e gli insegnamenti islamici né essa dovrebbe essere affiancata da altre cose proibite nell'Islam, come l'acool. Anche il modo di cantare dovrebbe essere entro i limiti imposti dall'Islam, il che significa che non dovrebbe essere accompagnato da movimenti provocanti. L'esagerazione non è mai auspicabile ma sicuramente non lo è nello spettacolo e la persona che sa che lo spettacolo facilmente la o lo eccita dovrebbe starne alla larga (Quaradawi 1985: 139;289). Durante la mia ricerca il più prestigioso predicatore televisivo, Sheikh Mitwalli al-Sha'arawi, affermò che tutta la danza femminile è male e che solo la musica che non "solletica i nervi" è tollerabile (The Economist, 21-5-1988).

La maggior parte delle forme e dei contesti dell'arte dello spettacolo nell'Egitto contemporaneo è perciò o controversa o proibita, particolarmente se vi sono donne che si esibiscono. Sebbene quindi i fondamentalisti Islamici siano i soli a cercare attivamente di impedire l'arte dello spettacolo, la loro posizione sull'illegittimità dell'arte dello spettacolo, specialmente se al femminile, è condivisa anche dagli studiosi musulmani conservatori e ortodossi. Perché, quindi, il corpo e la voce delle donne sono considerate cose proibite nell'Islam?

Breve trattato sulla musica araba

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L’arte musicale araba è forse ciò che subito sovviene nell’immaginario collettivo, non appena la mente si volge ad oriente. Le atmosfere riscaldate dal sole e dalla sabbia del deserto sembrano veicolare melodie che richiamano una cultura tanto diversa e che come tutte quelle esistenti nel globo terrestre ha usato il medium musicale come proprio primo mezzo espressivo. Com’è noto i popoli hanno da sempre preferito prima cantare che recitare, così come hanno scelto di ricordare e tramandare a memoria rispetto che scrivere e divulgare. Forse per motivi logistici (la mancanza di supporti su cui scrivere), forse per istinto le culture arcaiche hanno affidato il proprio ricordo alla memoria collettiva piuttosto che a segni tangibili che evitassero l’oblio. La cultura araba preislamica o nota come “della Jahiliyya” ovverosia dell’Ignoranza dalla parola di Dio, così chiamata dai dotti Musulmani in netta contrapposizione con la rivelazione del profeta Muhammad, è conosciuta proprio tramite testimonianze per così dire musicali. Le prime attestazioni letterarie del patrimonio arabo, geograficamente da posizionarsi nella Jazirat al Arab, la penisola degli Arabi (l’attuale penisola araba) in un tempo che inizia nel 500 circa d.c., sono testi talvolta anche molto lunghi in poesia, dotate già allora di una metrica e di un certo rigore stilistico. Fra questi spiccano le “appese”, le Mu’allaqat, i 7 componimenti di altrettanti poeti professionisti, selezionate per la loro particolare e rara bellezza e “appese” incise a caratteri dorati sopra il tempio della Ka’ba alla Mecca. Tali testi letterari, noti già al poeta Goethe che le raccolse nel suo “West Diwan” erano canti di memoria, grossomodo simili ai miti greci e forse inizialmente agli stessi poemi omerici (laddove si ritengano questi come insiemi di canti inizialmente orali che Omero avrebbe “solo” sistematizzato) ovvero fungevano da catalizzatori del ricordo comune di una tribù e impedivano che certi avvenimenti anche di cronaca, si perdessero nel tempo. Queste “Qasidat” cioè componimenti erano tramandati di generazione in generazione, e mantenevano alto il nome o il ricordo di gruppi, capi guerrieri e principi, che erano i primi protagonisti dei componimenti. Il poeta, che evidentemente doveva essere un portavoce dato che si limitava a raccogliere componimenti già esistenti nel patrimonio collettivo e a versificarli, si esibiva durante le tante feste pagane accompagnati talvolta dal suono del Liuto. I temi di questi carmi ricordano molto la poesia saffica o comunque erotica greca. Il proemio amoroso o Nasib fa parte di un canone che si ripete in tutte le poesie. Una struttura fissa, contenente una serie di tematiche viene dunque musicata sfruttando una caratteristica tipica della lingua araba, ovvero una musicalità intrinseca dovuta alla scontro di sillabe lunghe e sillabe brevi.

La musicalità è rimasta come caratteristica della cultura arabo-islamica.
Se già il popolo arabo-pagano era solito musicare il proprio patrimonio letterario, l’avvento del profeta Muhammad amplifica tale abitudine. Il poeta venne più volte scambiato per un cantore-poeta lungo il corso della sua vita e predicazione dal momento che la profezia e la rivelazione che discendeva su Muhammad veniva da questo trasmessa in forma non esattamente musicale ma salmodiata. Tutt’oggi il Corano viene salmodiato o recitato (più che cantato) e tutta una serie di cantanti appartenenti alla scena musicale araba moderna (anche la famosa Oum Kalthoum) sono o sono stati recitatori del Corano prima che cantanti in senso pieno del termine.



Ud, che significa "legno", strumento
musicale considerato modello
basilare per tutta la musica araba. (Arab.it)
Ma esattamente la musica araba che caratteristiche possiede, aldilà delle sue radici storiche? Come facente parte del patrimonio culturale arabo, la musica ha avuto nel tempo esiti differenti seppur origini comuni. Come è noto è possibile parlare al contempo di un popolo arabo (inteso come l’etnos arabo) alla stessa maniera con cui è possibile parlare di un popolo tunisino, algerino, libanese etc. Le migrazioni e le commistioni interetniche che hanno interessato il popolo arabo nel corso della sua storia lo hanno portato a contatto con genti diversissime, dai berberi agli indiani e se da una parte il patrimonio culturale fondamentale è rimasto immutato sostrato comune, dall’altra parte spinte particolaristiche hanno impresso la loro influenza così da generare diversificazione. La musica araba oggi è meno omogenea che in passato e forse faremmo bene a parlare di musica marocchina, algerina irachena e così via. Ciò che va sottolineato è quindi il fattore geografico. L’estensione nella Dar al Islam di un patrimonio che oggi a tratti è difficilmente un fattore unificatore. Tutto ciò ovviamente alla luce di una antica somiglianza che esiste ancora in teoria e in struttura. I musicologi tendono a diversificare almeno 3 scuole musicali: la prima è quella maghribina, quella Siro-Egiziana, quella Irachena e una quarta che si può definire Arabo-Africana.

Le caratteristiche di questo tipo di musica risiedono nell’organizzazione melodica e nella tecnica vocale. Non esiste un sistema temprato e neppure un concetto di armonia. Gli strumenti suonano tutti una medesima linea melodica, differenziandosi per quantità ovverosia alcuni strumenti suonano un’ottava sopra altre sotto rispetto alla linea melodica principale. La notazione della linea melodica non avviene in forma scritta, infatti un musicista arabo non concepirebbe la scrittura del pentagramma. L’organizzazione avviene tutta tramite il manico del liuto arabo, che è infatti lo strumento più importante. Da ciò deriva che le “note”arabe hanno tutte un nome diverso e non si definiscono in base alle ottave. Il concetto principale di questo tipo di musica è il “Maqam” che possiamo tradurre come il luogo entro cui avviene la composizione musicale. Ogni Maqam possiede inoltre una sua specificità un suo contenuto emotivo, ovvero una specifica espressività melodica. I trattati di musica araba sono parecchi e tutti databile in un periodo di tempo che va dal nono al tredicesimo secolo. Non esistono dei materiali cartacei però che accompagnino il musicista durante la sua esibizione, ma è lasciato ampio spazio all’improvvisazione. Un “concerto” può durare diverse ore, durante le quali si avvicendano più esecutori che suonano il repertorio detto anche “Wasla” esso si compone per:

- una serie di brani cantati di diversa velocità
- un intermezzo strumentale o apertura della seconda parte del concerto
- l’improvvisazione strumentale o vocale che può avere diversa collocazione nel concerto.



PERSONE InviaStampaIl cantautore britannico di origine greca che nel 1977, si convertì
alla religione musulmana, è tornato al pop dopo un lunghissimo silenzio
Cat Stevens, 30 anni per imparare
a conciliare la musica e l'Islam
"Ho scoperto solo di recente quanto grande sia stato
il contributo della cultura maomettana allo sviluppo musicale"


Yusuf Islam nel 2004
LONDRA - Le acque del Pacifico sono fredde anche d'estate. A Malibu, nelle spiagge private dei miliardari, non ci sono bagnini di guardia. Il cantautore nuota agile verso il largo, si allontana pericolosamente dalla riva. Cerca di tornare indietro, ma la corrente è troppo forte. Sta per soccombere, è nel panico, grida: "Dio, se mi salvi lavorerò per te". In quell'istante un'onda potente lo solleva e lo scaraventa verso la riva. "Era tutta l'energia di cui avevo bisogno, in poche bracciate raggiunsi la spiaggia, sano e salvo. Fu un momento grandioso, sapevo che Dio esisteva, e che avevo rinnovato un contratto con lui", mormora, con la voce melodiosa di chi è avvezzo a salmodiare, Yusuf Islam, il cantautore che prima della conversione si chiamava Cat Stevens.

Era il 1975, il successo non gli dava tregua. "Mi sentivo vuoto, insoddisfatto, già da anni vivevo in Brasile, lontano dalle pressioni dello show business. Dopo l'episodio di Malibu, cominciai freneticamente a indagare tra le religioni per mantenere la mia promessa: nozioni di buddismo, induismo, numerologia, astrologia, fino a quando David, mio fratello maggiore, mi portò da Gerusalemme una copia del Corano".

In quel momento iniziò il percorso verso la nuova fede, che culminò nel 1977 con la conversione all'Islam. Due anni dopo, alla fine dell'ultimo concerto alla Wembley Arena, salutò per sempre i fan: "Ognuno deve trovare la propria strada, spero che anche voi troviate la vostra". Così Steven Demetre Georgiou, in arte Cat Stevens, assunse legalmente il nome di Yusuf Islam, sposò nella moschea di Kensington Fouzia Ali, che gli ha dato cinque figli, e cancellò il suo nome dall'albo d'oro del pop.

Ci ha messo ventotto anni per incidere un nuovo album di canzoni, Another cup, che è appena uscito; più di un quarto di secolo per ridefinire il suo ruolo nel mondo dello spettacolo; cinque anni, dopo l'11 settembre, per liberarsi dal fondamentalismo che lo imprigionava e scoprire che la musica è frutto di una purezza creativa che non può dispiacere a Dio (nel 1996 Yusuf Islam scrisse un lungo articolo per Musica di Repubblica in cui spiegava perché, secondo la legge islamica, gli era proibito continuare il mestiere di cantautore).

"Fare un altro disco non è stata una decisione premeditata ma presa col cuore, d'istinto, come molte delle cose che faccio", spiega Yusuf, 58 anni, che ora vive con la famiglia tra Londra e Dubai, negli Emirati Arabi. "Con gli orrori e le guerre che popolano il mondo, questo è il momento in cui, come musulmano, ho sentito il bisogno di cantare una canzone. Perché non l'ha fatto prima?, vi chiederete. Perché non ci sono canzoni se non c'è ispirazione, e l'ispirazione è qualcosa di inafferrabile che non puoi pianificare".

Cat Stevens 30 anni fa

Le prove generali del ritorno c'erano state a Città del Capo, il primo dicembre 2003, quando Yusuf si era presentato sul palco accompagnato da Peter Gabriel per cantare Wild world, cavallo di battaglia di Cat Stevens, davanti a Nelson Mandela. "L'accoglienza che ho avuto in Sudafrica ha certamente accelerato il processo, anche se ho partecipato a quel concerto per una buona causa, la lotta contro l'aids. Gabriel è un esempio perfetto di come si può essere un artista pop con un preciso ordine del giorno e idee brillanti. Lo sa che Peter suonava il flauto in un paio di canzoni dell'album Mona Bone Jakon, nel 1970?".

Cantare a un evento benefico gli era sembrata l'unica soluzione per uscire dal silenzio anche nel 1985, quando decise di partecipare al Live Aid. Era dietro le quinte con la chitarra, pronto a salire sul palco, ma l'esibizione di Elton John durò più del previsto e gli organizzatori tagliarono il suo numero senza neanche avvertirlo. "L'estate scorsa Veltroni mi ha invitato a cantare al Colosseo, non ero pronto, non ce l'avrei fatta. L'anno prossimo magari...", dice, abbozzando un sorriso dolcissimo.

Non ha voglia, oggi, di rivangare le umiliazioni subite in questi anni: le accuse (fondate) di appoggiare la destra islamica di Erbakan in Turchia quando, finanziato da un gruppo di industriali tessili di Merter, Istanbul, tenne una serie di conferenze in Germania che avevano tutto il sapore di una campagna elettorale per "orientare" i voti degli immigrati; nel 1990 e nel 2000 Israele gli ha negato il visto d'ingresso; nel 2004 gli Usa lo hanno rimpatriato come un terrorista dopo un volo Londra-Washington, da dove avrebbe dovuto proseguire per Nashville per una seduta di registrazione con Dolly Parton.

Pur avendo ripetutamente negato di aver appoggiato la fatwa pronunciata dall'ayatollah Khomeini contro Salman Rushdie in seguito alla pubblicazione dei Versetti satanici, Yusuf Islam è stato per anni considerato un fondamentalista per il rigore con cui ha abbracciato la nuova religione e ne ha seguito alla lettera i comandamenti.

"Per molti anni ho agito secondo il punto di vista sulla musica dell'Islam più conservatore, espresso da teologi che non riescono a ipotizzare nessun legame tra il nostro mondo e la cultura islamica", ammette Yusuf. "Ma ho continuato a studiare, ho riflettuto: il blues arriva dall'Africa, dalle navi negriere che trasportavano indifferentemente cristiani e musulmani. Ho scoperto solo di recente quanto grande sia stato il contributo della cultura islamica allo sviluppo della musica in Europa e alla diffusione della chitarra. Ci sono ricerche che dimostrano che lo strumento è un'evoluzione del liuto in terra di Spagna. Anche le prime forme di intrattenimento derivano da una parola araba, taraba, che ha poi dato origine a trovatore, un tipo di cantastorie che è nato nella società islamica. Poi... l'amore per le arti, la medicina, la ricerca scientifica: invece se guardi nei libri di storia c'è un gap enorme in queste discipline tra il Settecento dopo Cristo e il Sedicesimo secolo, come se niente fosse accaduto tra il periodo greco-romano e il Rinascimento. Da questa consapevolezza, immaginazione e creatività hanno cominciato a prendere il sopravvento. Senza ovviamente varcare i limiti della moralità, perché rimango dell'idea che c'è buona e cattiva musica, e non parlo solo di qualità, ma di influenze negative, di canzoni studiate appositamente per stimolare i più bassi istinti".

Il rigido dogmatismo di un tempo ha lasciato spazio a una più equilibrata consapevolezza. Qualche settimana fa, per la prima volta dopo molti anni, Islam ha ripercorso insieme a un giornalista della Bbc tutti i luoghi di Soho, nel cuore di Londra, dove è nato e cresciuto. A partire dal ristorante di suo padre, che aveva un nome peccaminoso, Moulin Rouge (oggi è un bar della new economy, si chiama Nama, è al numero 245 di Shaftesbury Avenue). Inoltre, sulla copertina del disco ha voluto solo il suo nome, Yusuf, come se "Islam" fosse una connotazione troppo impegnativa, quasi blasfema, da abbinare a un album di musica pop.

Un ulteriore segno di distensione? "Ho preferito accorciare il nome affinché il pubblico non avesse pregiudizi di fronte a quello che ascolta, anche se l'Islam rimane parte integrante della mia essenza, del mio comportamento, del mio carattere", precisa. Ripensando all'adolescenza trascorsa a Soho, Yusuf ha anche inciso un classico degli anni Sessanta, Don't let me be misunderstood. "Quella canzone mi fa pensare a Nina Simone: se c'è qualcuno che ha influenzato il mio modo di cantare è stata lei. Interpretò, I've got life, una canzone del musical Hair, che a Londra andava in scena in un teatro davanti a casa mia. Sono cresciuto con Hair. Gli anni Sessanta? Anni di cambiamento, come quelli che stiamo vivendo: anche oggi dobbiamo cambiare e adattarci. E gettare dei ponti: questo è lo scopo del mio lavoro".

Chissà come avranno reagito i suoi figli, quando hanno visto quello speciale sulla Bbc, e Fouzia, che non esce mai senza coprirsi il capo. "La mia famiglia, a esser sincero, non ha mai perso il contatto con Cat Stevens. I ragazzi hanno ascoltato tutti i miei dischi e sanno più cose di me di quante io ne ricordi. Credo che mio figlio Muhammad sia stato fortemente influenzato dall'artista che ero prima di diventare musulmano. Non l'ha mai detto apertamente: ma il suo più grande desiderio era che io tornassi a fare musica. È stata sua madre - si sa, le mamme sono più accondiscendenti - a comprargli la prima chitarra, una Gibson nera che assomiglia moltissimo a quella che usavo io un tempo. Tutto quello che c'era da imparare in musica dopo trent'anni di silenzio, l'ho appreso da lui".

Muhammad Islam ha covato a lungo l'idea di diventare cantautore, ma non aveva il coraggio di dirlo a suo padre. Affinché i suoi ragazzi ricevessero un'educazione rigorosamente islamica, Yusuf fondò nel 1983 la Islamia School, nel quartiere di Kilburn, a due passi dalla sua residenza e dallo studio di amici architetti dove lo abbiamo incontrato per il suo ritorno discografico. Non è stato dunque facile per il ragazzo comunicare al padre la sua scelta. Nel 1996, quando incontrammo Yusuf a Istanbul, gli chiedemmo cosa avrebbe fatto se uno dei suoi figli avesse deciso di seguire le orme di Cat Stevens: "Non è un'eventualità che considero reale. I ragazzi sanno come vivono gli occidentali e non ne sono attratti", rispose. Ora di fronte alla stessa domanda, con Muhammad che domani pubblica il suo primo disco con lo pseudonimo di Yoriyos, dice: "So che mio figlio ha taciuto per anni la sua passione. Ma la vita va avanti e noi apprendiamo. In questi anni ho anche imparato a fare il padre e ho messo in piedi organizzazioni benefiche che sono di grande aiuto ai problemi del mondo. Le canzoni non sono sufficienti a far del bene".

C'è un verso di Don't let me be misunderstood che recita: "Non sai che nessun essere umano può essere un angelo?". Sembra scritto per l'ex Cat Stevens, che agli occhi del pubblico ha vissuto trent'anni come un monaco, un semiangelo al servizio di Allah. "Sono cresciuto con una rigida educazione cattolica, anche se mio padre era greco ortodosso (sua madre era svedese, ndr)", conclude Yusuf, che il 3 dicembre sarà ospite di Fabio Fazio a Che tempo che fa e l'11 si esibirà al Nobel Peace Prize Concert a Oslo. "È naturale che lo scopo finale della mia vita fosse la redenzione dai peccati. Ma non sapevo come farlo. Tutto sommato è facile vivere da monaco, o da angelo, fino a quando qualcuno non viene a strapparti le piume. Più difficile è vivere in questo mondo e mantenere un equilibrio morale; l'Islam mi ha offerto una soluzione per riuscirci. Quando avevo sette anni, chiesi a una suora: "Quando cominciano gli angeli a scrivere i nostri peccati"? Rispose: "Quando avrai otto anni!". Ecco, io nella mia vita ho fatto di tutto per rimanere un angelo".

(26 novembre 2006)

La notizia che il regime sunnita dei talibani aveva bandito ogni tipo di musica e tolto di mezzo senza tanti complimenti quei musicisti maldisposti a piegarsi ai loro diktat, ha fatto il giro del mondo. Anni addietro, in Iran, fu Khomeini a fare da apripista in questa condanna della musica, che egli definiva “oppio della gioventù”. Ma questo attivismo forsennato vanta militanti non meno solerti, dai terroristi algerini (la lista dei musicisti caduti sotto i loro colpi è lunga: Cheb Hasni, Cheb Aziz, Lila Amara, Rachid Baba, Ali Ahmed, Lounés Matoub...), ai gruppi integralisti egiziani che alla fine degli anni '80, giunsero a minacciare di morte persino un grande autore come Mohammed Abdel-Wahab, universalmente amato e ammirato in tutto il mondo arabo.

Censura, sport antico

In realtà la censura della musica è uno sport antichissimo. Con esso si sono fatti i muscoli papi, inquisitori, mullah, dittatori e codini varia caratura. In parecchi ricorderanno la minicrociata imbastita qualche anno fa nel nostro paese contro il rock in quanto musica satanica. Pochi invece ricorderanno la Roma dei Sei e Settecento, quando i papi erano soliti imporre la chiusura dei teatri d'opera come luoghi di perdizione. Al pari dell'Islam, tutta la storia musicale dell'Occidente cristiano è costellata di ricorrenti rigurgiti censori, all'insegna della moralizzazione dei costumi o della restaurazione di una musica liturgica più castigata: dall'America dei quaccheri (o di Tipper Gore), ai “bruciamenti della vanità” di Girolamo Savonarola, alla famigerata crociata contro catari e albigesi il cui obiettivo fu la distruzione della cultura laica fiorita nel sud della Francia e che, grazie all'accanimento dell'Inquisizione nel perseguitare musicisti e poeti, riuscì a disperdere l'ambiente trovadorico (si arrivò al punto di proibire – pena l'accusa di eresia – anche solo di canticchiare per strada le canzoni dei trovatori).

Così come le altre religioni fedeli alla Bibbia, da sempre l'Islam ha dei conti in sospeso con la musica. Musica-canto-danza-corpo-ubriachezza-lussuria-peccato-vizio-Satana: cristiani, ebrei e musulmani sono accomunati nel millenario chiosare questo crescendo ossessivo e sessuofobico; mai presente apertamente nei testi sacri, ma sempre aleggiante nella tradizione dei padri dove dilagano ammonimenti e divieti a non finire. Storicamente la diffidenza nei confronti della musica da parte delle tre religioni monoteiste sembra derivare in parte dalla comune reazione alla sopravvivenza dell'antica tradizione pagana mesopotamica, dove la musica era largamente affidata a interpreti femminili particolarmente abili nel canto, nella danza e in ogni arte di dare piacere all'uomo. Ne sono un esempio le celebrate qaynat, schiave particolarmente avvenenti che in epoca pre-islamica, nelle corti e nelle città della penisola arabica, allietavano le notti dei signori o dei clienti facoltosi. Di questa realtà Maometto fece esperienza diretta, e ciononostante il Corano non si abbassa a fare giustizia sommaria della musica, anche perché essa vantava avvocati autorevoli fra i quali – uno per tutti – Re Davide con la sua arpa e i suoi salmi. In effetti nel Corano non c'è nessun giudizio esplicito sulla musica, né pro, né contro, ma gli hadith pullulano di sentenze che definiscono la musica haram (proibita) e interpretano alcuni versetti del Corano – là dove si menzionano la voce seducente di satana, il crogiolarsi nelle vanità o in discorsi oziosi che sviano dalla fede – come una condanna della musica in quanto tale.

La dignità della musica

Poniamo che oggi in Germania un'autorità religiosa si scagli contro la musica in quanto moralmente corruttrice. La notizia troverebbe un'eco divertita nelle pagine di cronaca o di costume. Se questo accadesse in Italia la cosa finirebbe come minimo sulle prime e le terze pagine (in fin dei conti, siamo pur sempre il paese nel quale il governo affida a un prelato il compito di stendere il codice deontologico degli insegnanti di scuola). Ma se qualche autorità religiosa islamica condanna la musica dopo aver consultato il Corano, sunna e hadith, la faccenda produce precise conseguenze giuridiche e penali sanzionate dalla shari'ah. Verrà ordinata la chiusura dei locali e dei cinema, e la polizia religiosa interverrà per punire i trasgressori, non molto diversamente da quanto accadeva all'epoca dell'inquisizione, oppure nello Stato pontificio fino a due secoli fa.

Eppure proprio l'Islam è la culla di un movimento spirituale che ha elevato la musica a una dignità senza uguali, facendone il mezzo privilegiato per raggiungere la completa comunione con Dio. Dalla Persia alla Turchia, dal Pakistan al Maghreb, la diffusione del tasawwuf, movimento mistico e esoterico meglio noto col nome di sufismo, si avviò fin dal VII secolo, radicandosi nella coscienza popolare grazie a una dottrina i cui richiami all'interiorità e alla fratellanza facevano più presa della proliferante e sempre più involuta precettistica dei mullah. Vestiti di una tunica di lana (suf), i dervisci si raccoglievano, allora come oggi, in confraternite di asceti iniziati alla tariqa (via) e alla pratica del sama (ascolto), ossia la meditazione musicale che risveglia nell'anima il ricordo della sua origine e la porta intonare l'armonia del cosmo in unione con Dio. Nel dhikr (evocazione di Dio), la grande preghiera del sufismo, il canto, la musica, la danza (quella roteante delle confraternite Mevlevi è divenuta celebre in Occidente), le invocazioni ad Allah, proseguono per ore sotto la guida di uno shaykh, fino al raggiungimento dell'estasi mistica in una trance collettiva.

Non toccate Nusrat

Televisione italiana, qualche giorno dopo l'11 settembre. Sulle immagini di talibani che brandiscono i loro kalashnikov scivola una musica meravigliosa e familiare: è musica religiosa, un canto estatico, dal fervore veemente, intonato dalla voce ineguagliabile di Nusrat Fateh Ali khan, pachistano e musulmano profondamente credente. Perfetto dunque, in apparenza, come gadget sonoro, ma devastante come esempio di mistificazione, poiché quella musica è associabile a tutto tranne che all'odio o alla guerra. Nusrat, morto prematuramente nel 1997, straordinario interprete di qawwali, la musica devozionale del sufismo pachistano, non ha mai aperto bocca se non per cantare parole d'amore e di fratellanza, in linea con il credo più autentico della sua fede di musulmano e di sufi, un credo ridotto oggi al silenzio dai totalitarismi fondamentalisti. Se la trasmissione avesse parlato delle lacerazioni in seno all'Islam più illuminato, spirituale e tollerante, quella musica sarebbe stata un commento adeguato. Ma certe finezze non appartengono alle consuetudini della nostra tv. Elite spirituale, artistica e intellettuale che annovera alcuni fra i massimi pensatori e poeti dell'Islam (come al-Ghazali, Imn al-'Arabi, Jalal ad-Din Rumi), non di rado il sufismo è entrato in conflitto con l'ortodossia di stato in virtù della sua visuale metafisica, del suo ascetismo intriso di pietas sovraconfessionale, e per quel suo costante richiamo alle parole della seconda sura sistematicamente rimossa dagli jihadisti – si chiamino Mullah Omar e Baget Bozzo: “Quelli che credono, quelli che praticano il Giudaismo, quelli che sono Cristiani e Sabei, quelli che credono in Dio e nel Giorno Ultimo, quelli che fanno il bene: ecco coloro che troveranno la propria ricompensa presso il loro Signore”.

Considerato questo retroterra di pensiero mistico e universalista, non è affatto casuale che la musica del sufismo, dai dervisci rotanti al qawwali, abbia conquistato tanta popolarità in Occidente, adattata spesso in formati da esportazione o proposta sui banconi della new age. La storia recente di questa “scoperta” ci riporta agli anni '50, quando William Burroughs, Brion Gysine, via via, Paul Bowles, Brian Jones, Ornette Coleman e altri ancora si imbatterono nella musica sufi del Marocco. Da allora l'Occidente non ha cessato di inebriarsi alla fragranza di un neo-esotismo musicale sentito come l'avvio di una nuova epoca multiculturale. Vent'anni fa, in My life in the Bush of Ghost, Brian Eno e David Byrne campionarono brani di musica religiosa islamica sposandoli al sound dell'ambient-rock. Qualche anno dopo, Passion (colonna sonora del film di Scorsese The Last Temptation of Christ), Peter Gabriel chiamava a raccolta artisti armeni, turchi, pakistani, senegalesi, ecc., fra i quali musicisti sufi del calibro di Kudsi Erguner e Nusrat Fateh Ali Khan. La fortunata avventura discografica di real World aveva inizio.

Agli occhi dell'Islam più puritano questo successo internazionale presso un uditorio di infedeli, la crescente popolarità delle star del pop arabo, l'imitazione della way of life americana, la persistente alluvione di cassette e video di danza del ventre che nei bazaar del mondo arabo stuzzicano la goloseria dei turisti, hanno assunto le fattezze di un dilagante costume sacrilego. Così, più l'Occidente l'applaude, più i giovani arabi se ne invaghiscono, più questa musica viene identificata nell'emblema stesso della “miscredenza”, il germe più subdolo e diabolico con cui l'Occidente ossia Satana penetrano e aggrediscono l'Islam.

Quel rocker di Satana

Che il fondamentalismo consideri la musica, la televisione, il rossetto, e ogni specie di divertimento o di frivolezza come mezzi coi quali il satana occidentale si infiltra nel mondo islamico è comprensibile: sono proprio questi gli aspetti più diffusi e capillari dell'occidentalizzazione. Il che nulla toglie all'efferata crudeltà mentale con la quale si vuole estirpare questo “cancro”, negando alla povera gente anche l'ultimo spiraglio di umana consolazione. Tuttavia, in un paese con l'Afghanistan, dove il capo dei servizi segreti è un mullah, la motivazione ufficiale del divieto non sarà politica, bensì religiosa e dunque molto più tremenda e inappellabile. La musica è peccaminosa perché allontana da Allah, distoglie dalla preghiera, dal dovere della jihad, dall'obbligo del lutto. Così, quando nelle moschee si tuona contro il satana occidentale, con micidiale automatismo ideologico scatta l'equazione: satana=occidente=musica. Se ascolti musica di nascosto, non solo sei un peccatore, ma anche un complice del nemico.

Come spiega Naim Majroh, direttore dell'Afghan Information Center di Peshawar che fornisce assistenza ai musicisti afgani in esilio, in Afghanistan il recente furore fondamentalista ha avuto il suo catalizzatore negli effetti della brutale intromissione sovietica nella vita musicale e culturale del paese. Assunto il controllo della televisione, i russi avviarono una programmazione a base di spettacoli di varietà, aprirono una quantità di locali, e impiantarono un fiorente show business per il quale venivano reclutati a forza giovani musicisti, ma soprattutto cantanti e ballerine. Ma lo show business sconfinava spesso nel malaffare, con teenagers che a quanto pare dal palcoscenico venivano dirottate alle feste private degli alti ufficiali delle truppe di occupazione.

Mujaheddin, vizi e virtù

John Baily, docente al Goldsmith College di Londra, ha dedicato alla censura musicale in Afghanistan uno studio approfondito consultabile online al sito http://www.freemuse.org/03libra/pdf/Afghanistan.pdf dal titolo Can you stop the birds singing?. Fu nel 1992, subito dopo che i mujaheddin ebbero riconquistato Kabul, che cominciarono le prime misure repressive, via via più severe, cui venne preposto l'Amr Bil Marof Wa Nahi Anil Munkar (Ufficio per la propagazione della virtù e la prevenzione del vizio) istituito dal governo del presidente Rabbani. Ma non tutti i leader mujaheddin erano d'accordo (pare ad esempio che Massud non ne volesse sapere di provvedimenti del genere). Ciononostante nel 1995, il primo ministro di Rabbani, Hektyamar, estese i divieti, fece chiudere i cinema e bandì completamente la musica e le donne da radio e televisione. Pochi mesi dopo, quando i talibani conquistarono il potere, il terreno era già ampiamente concimato.

Come si è letto e sentito, uno dei primi provvedimenti dei mujaheddin vittoriosi è stato proprio la liberalizzazione della musica e della televisione. Tanta premura la dice lunga su quanto detestato e insopportabile fosse quel proibizionismo e, insieme, svela il clamoroso e demagogico trasformismo dei mujaheddin che, da censori della prima ora, si convertono oggi il libertari; a riprova di come questi divieti, nonostante il sedicente richiamo alla tradizione religiosa (una tradizione ampiamente manipolata, come sostengono molti studiosi), siano strumenti di puro controllo politico. Colpisce, infine, l'eco che questa repentina liberalizzazione ha suscitato in Occidente, al punto da essere salutata non senza enfasi come ritorno alla vita, uscita dal Medioevo ecc. In questo vistoso compiacimento per la vittoria di un modello di vita che in effetti l'Occidente sente come proprio, si coglie un'euforia globalizzatrice che viene propagandata senza guardare troppo per il sottile e che è speculare a quel fondamentalismo che vi indentifica invece il proprio nemico.

Se è lecito parlare di destino, quello della musica arabo-islamica sembra particolarmente crudele. Fin dall'inizio essa fu veicolo privilegiato del dialogo e dell'integrazione fra culture e religioni diverse, a partire da quell'inesauribile laboratorio multietnico che fu nel Medioevo la Spagna degli Omayyadi, passando attraverso l'altissima spiritualità del sufismo, fino ai giorni nostri quando la world music risuona come ambigua ma emozionante smentita a Huntington, alla sua teoria del clash of civilizations e all'avvilente codazzo mediatico dei suoi seguaci dell'ultim'ora cui non par vero di fare la telecronaca della fine del mondo. Per questa tradizione culturale millenaria, soggetta fino ad allora a mutamenti limitati, l'impatto con l'Occidente del XX secolo è stato un terremoto che ha esasperato la natura inquisitoria del sistema teocratico, facendo esplodere il conflitto fra rinnovamento e conservazione. Vuoi per la sua insopprimibile vocazione interculturale, il suo umanesimo libertario, vuoi per quel richiamarsi alla pura interiorità spirituale è proprio la musica a subirne le conseguenze più pesanti. Ma già lo sapevamo: laddove (e non solo in seno all'Islam) una società civile è presa nella morsa inesorabile di un potere fondato sui dogmi della fede o dell'ideologia, la musica o è strumento di potere e di manipolazione delle coscienze, oppure diviene intrinsecamente eversiva, sacrilega, eretica, degenerata, detonatore e bersaglio di tutte le xenofobie e gli oscurantismi possibili.

Giordano Montecchi – L'UNITA' – 24/11/2001
 







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