Ma la scuola non lo lasci in mutande
Data: Mercoledì, 17 gennaio 2007 ore 11:30:37 CET
Argomento: Recensioni


Con un appello su Repubblica, Marco Lodoli ricorda gli strumenti che ha la scuola per contenere l'aggressività di alcuni ragazzi - tempi lunghi ma efficaci . "Se un ragazzino tira giù i pantaloni ai compagni, non lo lasciamo in mutande, non lo abbandoniamo. Forse noi insegnanti siamo per lui l´unica possibilità di non affondare." ...(da Repubblica - da Edscuola)

 

da Repubblica
Mercoledì, 17 Gennaio 2007

Ma la scuola non lo lasci in mutande
MARCO LODOLI

 

"A BRIGANTE, brigante e mezzo", ricordo questo proverbio citato qualche volta dal nostro vecchio presidente Sandro Pertini: di fronte ai prepotenti non è consigliabile porgere sempre l´altra guancia, bisogna reagire, dimostrarsi altrettanto decisi. Ma se questa popolare lezione può essere giusta in mille casi della vita, non lo è mai nella scuola.

E´ chiaro che non si tratta di "calarsi le braghe" davanti agli alunni maleducati o, peggio, violenti, non si può far finta di niente e lasciar correre come se niente fosse: ma meno che mai si deve scendere su quello stesso piano, reagire brutalmente, colpire alla cieca.

Ci sono tanti strumenti per cercare di contenere l´aggressività di un ragazzino.

Si può convocare un consiglio di classe aperto ai genitori e agli allievi, e discutere insieme, far venire a galla il problema, illuminarlo.

A volte bastano due ore di parole sincere per disinnescare la bomba.

Quel ragazzino non è un delinquente incallito, un mostro uscito da chissà quale oscurità, anzi, il più delle volte – almeno questa è la mia esperienza – è una creatura sensibilissima, che scalcia e si ribella solo per segnalare un suo dolore nascosto.

E´ uno che sente la vita più forte degli altri, e non accetta a testa bassa la sua ferita.

Certo, lo si può sospendere, gli si può mettere un votaccio in condotta, ma questo non basta a risolvere il problema.

Può anzi peggiorarlo, se accanto alla reprimenda non c´è attenzione a quel segnale di sofferenza.

Il bambino, l´adolescente, può inorgoglirsi nel suo ruolo di ribelle colpito dal potere scolastico, può mettersi al petto la punizione e andarne fiero.

La scuola non deve rinunciare al suo compito, che non è solo istruire, ma – oggi più che mai – confrontarsi con il disagio.

Lo so, le mie rischiano di essere solo belle parole che si perdono nell´aria, so quanto può far saltare i nervi un allievo che non sente ragioni, salta sui banchi, manda tutti a quel paese, coglie ogni occasione per fare il diavolo a quattro.

Viene voglia di scaraventarlo fuori dalla porta o alla finestra.

Si rimpiange la bacchetta di frassino.

Si vorrebbe cacciare quel casinista da tutte le scuole del regno, come si diceva una volta.

Ma ci troveremmo solo un disgraziato in più in mezzo alla strada, pronto a far danni peggiori.

La sua unica possibilità di salvezza è la scuola, che non può arrendersi senza provare a capire.

Ci vuole pazienza, inflessibilità ma anche affetto.

Bisogna mantenere la fiducia nell´idea di comunità.

Nulla accade in un minuto, ma posso garantirvi che nel corso di un anno scolastico cambiano molte cose.

Se incoraggiato, il timido si sblocca.

Se ascoltato davvero, il fetente si ammorbidisce.

Se lodato per un compitino appena decente, il somarissimo riprende fiducia in se stesso e può trovare gusto nello studio.

Nulla è garantito, ovviamente.

Anch´io ho avuto i miei pesanti fallimenti, ragazzi che si sono persi comunque.

Ma noi siamo lì, in un´aula spesso tempestosa, per provare a condurre in porto tutti quanti, quelli carini ed educati come marinaretti e anche il pirata con l´uncino.

Buttarlo a mare è sbagliato.

Il viaggio è difficile, ma questo lo sapevamo fin all´inizio, non possiamo immaginare che sia una crociera tra rose e fiori.

Se un ragazzino tira giù i pantaloni ai compagni, non lo lasciamo in mutande, non lo abbandoniamo.

Forse noi insegnanti siamo per lui l´unica possibilità di non affondare.

 







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