UNIONE EUROPEA: LA LUNGA STRADA TURCA
Data: Luned́, 15 gennaio 2007 ore 00:05:00 CET
Argomento: Comunicati


LA LUNGA STRADA TURCA
di Stefano Polli*


Non è un semplice negoziato di adesione all’Unione europea. È il simbolo stesso del drammatico e travagliato rapporto tra Occidente e Islam ai nostri giorni, è l’emblema delle difficoltà europee, è il segno evidente dei sospetti e del malessere che caratterizzano oggi il rapporto tra due civiltà. È anche, e forse soprattutto, la grande occasione per l’Europa di guardare avanti e superare i mille dubbi che ne frenano la crescita e dare un segnale vero e forte a tutto il mondo islamico.
 Parliamo dei negoziati di adesione della Turchia all’Ue, iniziati ufficialmente poco più di un anno fa, tra mille polemiche e oggi, tra altrettante polemiche, rallentati e frenati da incomprensioni ed errori reciproci.
 Certo è che la strada della Turchia verso l’Europa non finisce mai. Iniziata 47 anni fa con la prima richiesta di adesione alla Cee come membro associato, è destinata a durare ancora lunghi anni – dieci, quindici? – e nessuno oggi può dire se alla fine del sentiero ci sarà una soluzione positiva o l’ennesimo boccone amaro in salsa europea per Ankara.

Una storica cerniera tra Est e Ovest
 I negoziati di adesione della Turchia all’Europa sono iniziati formalmente nell’ottobre del 2005, dopo decenni di attesa e di anticamera, e nelle ultime settimane ci sono stati intoppi, ripensamenti di alcuni paesi europei, e risposte piccate da parte turca.
 Al di là dei risvolti tecnici, politici e diplomatici del negoziato tra Bruxelles e Ankara c’è un dato politico generale dal quale partire. L’idea di un possibile ingresso della Turchia in Europa si inserisce nel clima di scontro di civiltà cresciuto progressivamente dall’11 settembre 2001 in poi, per mille motivi ben conosciuti, e che, in qualche modo, ha coinvolto un paese, la Turchia, che da lungo tempo, con alti e bassi, lavora e si muove alla ricerca di un approdo europeo.
 La Turchia è uno stato laico e un paese musulmano, è membro fedele della Nato e rappresenta da sempre la sentinella dell’Alleanza in un teatro strategico fondamentale. È la storica cerniera tra Est e Ovest. Ha rapporti stretti con Israele con il quale ha sviluppato un’alleanza militare con pochi paragoni nella regione. Insomma la Turchia è un paese di difficile e di articolata lettura, con molti aspetti spesso contraddittori.

Spinte contraddittorie nel dialogo tra Europa e Turchia
 Modernità e tradizione si confondono. Sincere spinte europeistiche vengono frenate da una vecchia incapacità di liberarsi fino in fondo da un ancoraggio a principi in contrasto con i valori europei. La democratizzazione interna non è ancora pienamente realizzata, le libertà di espressione e delle minoranze non attuate secondo i dettami dell’Europa moderna. Eppure, la Turchia è un paese che guarda all’Europa, che si sente europeo, che fa dell’ingresso nell’Ue la sua priorità politica di lungo termine. Ma, di questi tempi, la Turchia si sente soprattutto tradita dall’Europa, messa in un angolo, non compresa e apprezzata. La percezione che si ha da Ankara è quella di un rifiuto di fondo che l’Europa ha nei confronti di questo paese.
 Tutto sommato, non è una percezione sbagliata. L’Europa di oggi non ha molto tempo e molta voglia di guardare agli sforzi della Turchia per avvicinarsi all’Europa così come ne aveva qualche anno fa.
 Se da un lato è vero che la Turchia deve ancora fare molto in parecchi settori e che il suo ingresso nell’Ue è assolutamente prematuro da molti punti di vista, dall’altro è vero anche che l’Europa o almeno molti dei suoi paesi membri oggi guardano al dossier turco con un pizzico di fastidio e di insofferenza.

 La crisi del dialogo tra Occidente e Islam
 Al di là di quello che pensano i governi – ma anche loro hanno, in parte, cambiato idea sulla Turchia – sono le opinioni pubbliche del vecchio continente a essersi rinchiuse in se stesse, con una paura forte del diverso e del nuovo, con il timore di guardare al di là dei confini europei, strette negli interessi nazionali e personali.
 La paura dell’Islam e dei musulmani è cresciuta in maniera esponenziale dopo gli attentati alle torri gemelle e, soprattutto, a quello che è seguito: le guerre, gli attentati, la crisi del dialogo tra Occidente e Islam. In questo quadro, ormai ben noto, anche il fenomeno dell’immigrazione clandestina e quello delle difficoltà di inserimento degli immigrati regolari – problemi già presenti da molti anni – hanno assunto contorni nuovi e occupato un posto importante nelle preoccupazioni dei cittadini europei. Gli attentati di Londra e di Madrid, l’arrivo della minaccia di Al Qaida in Europa hanno devastato quel tessuto civile di dialogo, contatti e aperture che la vecchia Europa aveva costruito in lunghi decenni di pace e prosperità.
 ‘La paura dell’Islam’ non è, purtroppo, uno slogan fine a se stesso ma raccoglie tutte quelle piccole e nuove abitudini e inquietudini che fanno parte dei nuovi atteggiamenti delle opinioni pubbliche europee.
 Non sono soltanto parole e opinioni, ma sono atteggiamenti che hanno pesantemente frenato il processo di costruzione europeo. La bocciatura da parte dei cittadini francesi e olandesi del trattato costituzionale (per approfondimenti si veda in archivio il capitolo su questo tema) nasce da alcune paure specifiche che hanno attraversato e continuano ad attraversare l’Europa. Tra queste c’è il timore dell’arrivo della Turchia e dei musulmani nella cattolica Europa. L’Europa, civile e moderna si è trovata non preparata a metabolizzare l’idea che un paese musulmano possa far parte dell’Ue. Uno dei motivi per il quale i cittadini olandesi e francesi hanno bocciato il trattato costituzionale è proprio il timore di trovarsi tra i cittadini europei alcune decine di milioni di musulmani. I vertici europei hanno le loro colpe: non sono stati in grado di spiegare le decisioni prese riguardo la Turchia, sono stati superficiali e poco trasparenti, molto lontani, come spesso accade, dai sentimenti comuni della stragrande maggioranza degli europei.

Le condizioni europee per l’ingresso della Turchia
Se si legge con un po’ di attenzione l’accordo con il quale l’Europa ha fatto partire i negoziati di adesione con la Turchia si capisce che la prospettiva di un ingresso di Ankara è davvero molto lontana e difficile. Il percorso delineato dall’Europa è lungo e pieno di trabocchetti e ostacoli.
 Prima di tutto i negoziati sono un ‘processo aperto’ il cui risultato non può essere garantito in anticipo e potranno concludersi soltanto dopo che saranno stabilite le prospettive finanziarie per il periodo che si aprirà nel 2014. È evidente che la citazione di questa data pone già un punto temporale molto lontano.
 Nell’accordo si afferma, inoltre, che il Consiglio potrà decidere la sospensione dei negoziati in caso di “violazione seria e persistente da parte della Turchia dei principi di libertà, democrazia, di rispetto dei diritti umani, delle libertà fondamentali e dello stato di diritto sui quali si fonda l’Europa”.
 L’adesione implica, inoltre, l’accettazione del complesso delle norme e dei principi alla base del diritto dell’Unione. Ancora: “La capacità di assorbire la Turchia, mantenendo il ritmo dell’integrazione, è una considerazione importante nell’interesse generale dell’Unione e della Turchià”.  Infine: “l’Unione europea chiede alla Turchia il proseguimento degli sforzi per giungere a un regolamento globale della questione cipriota nel quadro dell’Onu’’ e “progressi nella normalizzazione delle relazioni bilaterali fra la Turchia e tutti gli Stati membri dell’Ue, compresa la Repubblica di Cipro”.

 Con l’Europa dei 25 aumentano le resistenze all’adesione turca
 Abbiamo riportato alcuni passaggi integrali dell’accordo tra Ue e Turchia per il negoziato di adesione – mai abbastanza pubblicizzato dai vertice europei – per dimostrare come l’Europa abbia preso mille precauzioni e si sia riservata parecchie vie d’uscita. La verità è che, contrariamente a quello che pensa la maggior parte degli europei, l’Europa sta procedendo a piccolissimi passi nel rapporto con la Turchia suscitando anche qualche rimostranza da parte turca.
 La realtà è che l’Europa dei 25 (dopo l’allargamento del primo maggio 2004 con dieci nuovi ingressi) non è più quella dei 15. Le dinamiche interne sono cambiate, i rapporti fra gli stati anche. Oggi ci troviamo davanti a un’Europa pragmatica ma incapace di guardare lontano e di immaginare scenari futuri, come fece quella degli anni Novanta. Non è più l’Europa di Khol e Mitterrand, è l’Europa delle economie in crisi e della poca fiducia verso il futuro, del malessere trasversale di molti cittadini, della voglia di guardare al proprio interno senza occuparsi più molto del resto del mondo.
 Negli ultimi mesi alcuni paesi hanno ulteriormente aumentato le loro diffidenze verso la Turchia e il risultato è stato che, ancora una volta, l’Europa si è spaccata in due blocchi: quello di chi ritiene che il posto della Turchia sia in Europa e quello di chi, invece, pensa che l’Europa dell’allargamento sia ormai andata troppo in là e che sia necessario mettere uno stop.

Il nodo del riconoscimento di Cipro da parte turca
La Turchia, da parte sua, negli ultimi mesi si è irrigidita su uno dei punti più importanti del negoziato di adesione, quello che riguarda Cipro. Ankara non sembra ancora pronta a riconoscerla, ma aveva accettato di estendere a Nicosia l’accordo doganale che la lega agli altri paesi europei, con l’apertura quindi dei suoi porti e aeroporti ai voli e alle navi provenienti da Cipro. Sarebbe – o almeno così la considera l’Europa - una prima indiretta forma di riconoscimento di Cipro da parte turca. Questo, però, ancora non è avvenuto e l’Europa ha richiamato la Turchia ai suoi impegni. Il risultato è stato un rallentamento evidente dei negoziati tra le due parti.
 In seguito alla mancata estensione dell’accordo doganale a Cipro da parte turca, l’Ue ha deciso, a metà dicembre, il congelamento di 8 dei 35 capitoli sui quali si articola il negoziato. Per la cronaca i capitoli interessati sono: libero movimento delle merci, diritto di stabilimento e libertà di fornire servizi, servizi finanziari, agricoltura e sviluppo rurale, pesca, trasporti, unione doganale e relazioni esterne.
 Su questi capitoli il negoziato è bloccato, mentre sugli altri 27 proseguirà. Al di là del lato tecnico, è chiaro il messaggio politico che da Bruxelles parte verso Ankara: il filo del dialogo resta, ma Ankara deve rispettare gli impegni presi. È un messaggio duro perché contiene anche misure concrete e segna di fatto l’inizio di un rapporto nuovo tra Ue e Ankara, un rapporto più teso e meno conciliante, con rigidità evidenti da entrambe le parti.
 È una conseguenza, forse in parte inevitabile, delle tensioni che caratterizzano oggi le relazioni tra due parti del mondo che fanno fatica a capirsi. L’Europa paga le tensioni interne e le paure, a volte non molto motivate, dei suoi cittadini. La Turchia è sfiduciata da un’anticamera infinita e senza precedenti, ma, d’altra parte, procede a rilento su alcune riforme fondamentali e continua, su alcuni punti, a faticare molto nell’acquisire pienamente una mentalità europea.

Un’occasione da non perdere per stimolare il dialogo con l’Islam
Lo scenario prevedibile non è certo tra i più felici. Nella migliore delle ipotesi si può prospettare un decennio di negoziati duri e tesi con un esito finale molto incerto. Ma nessuno può escludere un fallimento, se le tendenze attuali non saranno corrette. L’Europa dovrebbe aiutare e accompagnare con più entusiasmo la Turchia nel tortuoso sentiero verso l’Europa. Dovrebbe appoggiare e aspettare le indispensabili riforme democratiche che Ankara deve attuare fino ad accoglierla, quando sarà il momento giusto, al suo interno, informando nel frattempo, in maniera corretta e puntuale, i cittadini europei.
 Di fronte al bivio in cui si trova, l’Ue dovrebbe scegliere questa strada, nonostante i dubbi e le difficoltà. L’altra strada porta a uno scenario inquietante: la Turchia fuori dall’Europa, l’Europa chiusa in se stessa, il mondo musulmano sempre più lontano, il dialogo Occidente-Islam ridotto ai minimi termini, i problemi di oggi amplificati, nuove scuse e forse nuove spinte al terrorismo, pronto a inserirsi là dove il dialogo fallisce. Questo vuole l’Europa?

 *Caporedattore Esteri dell'agenzia ANSA
Pubblicato 12/1/2007
 
dal sito del " Corriere della Sera"

Oltre a Ségolène Royal, potrebbe sfidare lo stesso Chirac

Sarkozy: «Per la Turchia non c'è posto nell'Ue» Dura posizione del ministro dell'Interno francese, scelto dalla destra come candidato per le presidenziali che si terranno il 22 aprile

PARIGI - «Non c'è posto per la Turchia nell'Unione europea». Una presa di posizione quella di Nicolas Sarkozy, ministro dell'Interno francese e neo designato candidato dell'Ump alle presidenziali del 22 aprile. «L'Europa - ha aggiunto - deve dotarsi di frontiere e non tutti i paesi del mondo hanno vocazione ad essere ammessi in Europa. A cominciare dalla Turchia». Sarkozy, che potrebbe sfidare nella corsa all'Eliseo l'attuale presidente Chirac, ha sottolineato che «ad allargare senza limiti l'Europa si corre il rischio di distruggere l'unione politica europea. Questo non l'accetterò mai». L'Europa è «un moltiplicatore di potenze, senza la quale le nostre vecchie nazioni non conterebbero niente nella globalizzazione, e senza la quale lo choc delle civiltà diventerebbe più probabile» ha concluso il ministro.
CANDIDATO DELLA DESTRA - Sarkozy sarà dunque il candidato ufficiale alle presidenziali del 22 aprile per l'Ump, l'Unione per un Movimento Popolare fondata dal capo dello Stato uscente Jacques Chirac. Cinquantun anni, è stato designato nel corso di un congresso straordinario del partito. L'evento era atteso dopo che anche il ministro delle Difesa, Michelle Alliot-Marie, aveva ritirato la propria candidatura; non c'erano dunque concorrenti alternativi. Sulla sua strada per l'Eliseo, oltre a Ségolène Royal già investita dall'opposizione socialista, Sarkozy potrebbe però trovare l'attuale inquilino dell'Eliseo. Chirac, che non ama Sarkozy, non ha infatti ancora deciso se candidarsi o meno per un terzo mandato.
14 gennaio 2007

 







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