IL DILETTO DELLA SCUOLA SENZA SCOPI
Data: Marted́, 09 gennaio 2007 ore 00:05:00 CET
Argomento: Rassegna stampa


Provocazioni  
Il diletto della scuola senza scopi  



 Ne succedono davvero di strane nella storia del pensiero. Anche ad esempio che un filosofo manifesti alcuni aspetti del suo argomentare che sembrano avere poco a che fare con la stragrande maggioranza della sua produzione. O meglio: a volte proprio da certi asserzioni nasce, come un inatteso fiore, una riflessione per certi aspetti antitetica a quella fondamentale, che inaspettatamente la completa e la invera.
 Ed ecco perchè uno dei maggiori rappresentanti del neoempirismo, l'uomo attorno al quale si raccolse il famoso Circolo di Vienna, Moritz Schlick, in un saggio pubblicato nel 1927, “Von Sinn des Leben”, dimenticandosi per un attimo la questione della filosofia come attività chiarificatrice del linguaggio, si interessò di un problema tradizionalmente riservato ad ambiti quali la metafisica e l'etica: qual è il significato della vita?
 In questo libretto dal tono più poetico che scientifico il pensatore indaga sulle attività che gli uomini svolgono nell'esistenza, e che appunto le danno un senso, soffermandosi in particolare sul lavoro. Il lavoro, così osannato nelle moderne città industriali, mostro brutale e degradante, se viene inteso come subordinato a dei fini pratici, può riacquistare il suo significato più puro, e dare così un valore autentico alla vita: ma solo a patto di configurarsi come “gioco” nel senso schilleriano del termine. Il gioco è l'attività senza scopo, fine a sé stessa, motore di pura gioia: e il lavoro se è allegria della creazione, dedizione all'attività, immersione gioiosa nell'azione, acquista una dimensione che dà significato all'esistenza umana.
 Che è poi, questa dimesione giocosa e gioiosa della vita, quella che domina tutti gli uomini in una fase incantata del vivere: l'età della gioventù. L'età d'oro, quella consacrata all'atto, scrive Schlick, non al fine, l'età felice, “non ancora offuscata dalle nere nubi dello scopo”, il momento del fare per il puro piacere di fare, senza subordinare l'azione a fini oltre se stessa. E così il filosofo conclude che, lungi dall'essere una semplice fase della vita, poi superata dall'avvento della maturità, “il vero significato della vita è la giovinezza”, perché in essa si realizza la perfezione etica, il dono dell'azione cristallina e non eterodiretta.
 Così Schlick auspica un ringiovanimento della nostra cultura che renda liberi gli uomini dalla schiavitù degli scopi e celebra il sacrosanto compito della scuola che dovrebbe insegnare ad occuparsi di cose “assolutamente non pratiche, importanti solo per se stesse.”
 Possiamo accoglierlo come un consiglio o vederla come una provocazione? E se la scuola dovesse davvero insegnare il piacere dell'inutilità e la gioia dell'agire puro? Perché è forse questo l'unico modo per mantenere l'eterna gioventù del cuore, piccolo prezioso segreto per un'esistenza felice.

 

SILVANA LA PORTA







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