LE 150000 ASSUNZIONI NEL MONDO DELLA SCUOLA NON PREMIANO IL MERITO
Data: Sabato, 30 dicembre 2006 ore 00:05:00 CET
Argomento: Opinioni


Il ritorno dell'ope legis, il virus che uccide la meritocrazia

  19 dicembre 2006 - il riformista
Riaffiorano provvedimenti post-sessantottini. Le 150.000 assunzioni ope legis previste nel mondo della scuola, le altre 300mila che la sinistra comunista chiede nella pubblica amministrazione soddisfano infatti un'esigenza concreta di consenso elettorale, ma lo fanno nascondendosi dietro i principi livellatori e "anti-autoritari" che furono alla base degli esami di gruppo e dei 18 politici del '68.

di Giuliano Da Empoli


Ci sono due paroline latine che, messe una accanto all'altra, condensano il peggio della cultura di governo del centro-sinistra. "Ope legis" significa " per forza di legge" e consiste nella pratica di immettere personale nella scuola, nell'Università, nella pubblica amministrazione, non per concorso (come prevede la Costituzione), bensì sulla base di un provvedimento legislativo automatico. In sostanza, nel corso degli anni, l'ope legis ha distrutto interi pezzi dello stato, inserendo per ragioni clientelari, centinaia di migliaia di soggetti scelti a caso nel settore pubblico e tenendo fuori dalla portata altrettante centinaia di migliaia di giovani preparati e competenti che sarebbero stati in grado di vincere un concorso, se mai gliene fosse stata data l'opportunità.

Il caso emblematico è quello dell'Università, dove, negli anni settanta, una serie di provvedimenti sciagurati ha messo un'ipoteca grande quanto una casa sulla qualità dell'insegnamento accademico. Si è comunciato nel 1973, con una legge che consentiva a chi avesse avuto un incarico per almeno tre anni nell'università di conservarlo a vita: i beneficiari furono battezzati "incaricati stabilizzati" e, tra loro, c'era di tutto. Come ha scritto Raffaele Simone in un libro di qualche anno fa, infatti, "per avere un incarico, non ci voleva che qualche amico in facoltà; chiunque avesse scritto qualche paginetta su una rivista di periferia poteva candidarsi, con buona probabilità di essere ammesso. Per coprire materie fondamentali, furono scovati e nominati amici casuali, antiche conoscenze, parenti di parenti". Da llora è stato tutto un susseguirsi di sanatorie e di "regolarizzazioni" che hanno prodotto sostanzialmente due effetti principali: 1) ingorgare i canali di reclutamento dell'università, sbarrando la strada, per i decennis uccessivi, a tutti i giovani che avrebbero aspirato ad entrare nel mondo della ricerca; 2) abbassare drammaticamente gli standard qualitativi della ricerca e dell'insegnamento universitario.

La stessa vicenda si è ripetuta, sempre in quegli anni, in molti altri settori della pubblica amministrazione. Primo tra tutti la scuola, dove le immissioni in ruolo automatiche dei precari (sostituite, talvolta, da quell'ope legis mascherato che si chiama "corso-concorso") hanno sostanzialmente preso il posto dei concorsi.

Alla luce di queste esperienze, è raccapricciante vedere come il sonno della ragione riformista che contraddistingue questa fase politica abbia partorito il ritorno del mostro dell'ope legis. Che, ancora una volta, cammina sulle gambe dei suoi alleati di sempre: il clientelismo democristiano e l'egualitarismo post-sessantottesco.

Le 150.000 assunzioni ope legis previste nel mondo della scuola, le atre 300mila che la sinistra comunista chiede nella pubblica amministrazione soddisfano infatti un'esigenza concreta di consenso elettorale, ma lo fanno nascondendosi dietro i principi livellatori e "anti-autoritari" che furono alla base degli esami di gruppo e dei 18 politici del '68.

Di fronte a questo assalto alla diligenza che rischia di seppellire una volta per tutte qualsiasi possibilità di migliorare la qualità del funzionamento dello Stato, i politici riformisti (se ci sono ancora) dovrebbero battere un colpo. Se davvero la scuola e la pubblica amministrazione hanno bisogno di fare nuove assunzioni, bandiscano concorsi aperti a tutti che diano la possibilità a migliaia di giovani meritevoli di fare il loro ingresso nel settore pubblico. Non è solo una questione di giustizia: è anche l'unica speranza che abbiamo di rimettere in moto la nostra scalcinata, senescente, macchina statale







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