L'EDUCAZIONE AL TEATRO A SCUOLA
Data: Mercoledì, 27 dicembre 2006 ore 00:05:00 CET
Argomento: Redazione


Percorsi tra Teatro ed Educazione
Intervista a Giorgio Testa a cura di Carmelo Pizza*

Giorgio Testa è psicologo, formatore ed esperto di teatro. Attivo dal 1960 nel Movimento di Cooperazione Educativa (MCE), ha svolto attività di ricerca e formazione sui temi dell’inconscio nella pratica educativa, della creatività, della didattica della lettura. Ha diretto la rivista Cooperazione Educativa dal 1980 al 1985. Negli ultimi venti anni, come consulente dell’Ente Teatrale Italiano (ETI), ha coordinato numerosi progetti di ricerca sul teatro educativo e sociale. Ha ideato e dirige da circa tredici anni il Centro Teatro Educazione (CTE) struttura che all’interno dell’ETI si occupa espressamente di educazione al teatro nelle sue dimensioni di linguaggio specifico, di spettacolo da vedere, di esperienza di comunicazione e espressione.

Da dove nasce l’idea di costituire il Centro per l’Educazione al Teatro?
 Una volta affermato in maniera ufficiale che era importante l’educazione al teatro, bisognava creare un luogo in cui le persone interessate al teatro, all’educazione e al rapporto tra i due potevano incontrarsi, confrontarsi e discutere in maniera non episodica ma organizzata e continuativa. Questo è stato il punto chiave da cui siamo partiti.

Come si affianca il tema dell’educazione a quello del teatro?
 Ci è stato chiaro da sempre che per affrontare il rapporto teatro-educazione bisognava lavorare su tre grandi questioni.
 La prima riguarda lo spettatore e il tema della visione, cioè il processo che porta uno spettatore, bambino o adulto che sia, a essere tale e che, trattandosi di teatro, non finisce mai.
 L’altra grande questione riguarda le pratiche teatrali. Quando si parla di teatro in ambiente educativo come nella scuola, si immagina immediatamente la recita che è la cosa più tradizionale, o anche il laboratorio teatrale che alla fine produce lo spettacolo. Queste sono sicuramente attività importanti, ma occorre rivolgere l’attenzione alle pratiche vale a dire a quell’insieme di tecniche e procedimenti che afferiscono al teatro e che possono avere un grande interesse per l’educazione. Per esempio, nella scuola dell’infanzia organizzare il cosiddetto angolo dei travestimenti è una pratica teatrale ma non lo chiameremo teatro in senso stretto.
 Il terzo punto, naturalmente, è la complessità che l’istituzione teatro rappresenta, a cominciare dagli edifici per poi passare alla sua storia e alla specificità della sua arte e del suo linguaggio che ne fanno magnifica metafora del mondo e che oggi è ormai diventata di minoranza. Per questo ogni volta occorre ridiscutere cos’è il teatro, cosa è diventato o si avvia a essere, cos’è la teatralità, quali sono i suoi elementi costitutivi soprattutto rispetto agli altri mezzi espressivi.
 Questi sono i tre architravi su cui si fonda la ricerca di Teatro Educazione e poi tutto si sviluppa su un’articolazione di questi che hanno naturalmente varietà di intrecci.

Il Centro Teatro Educazione risponde a una reale domanda del territorio?
 Sicuramente si. Oggi raccogliamo una vasta domanda di formazione all’uso del teatro in primo luogo nella scuola, ma anche in istituzioni diverse, per esempio, l’ospedale e gli istituti che si occupano di rieducazione, del disagio psichico, di quello sociale. Per molti anni ho fatto varia formazione su tante questioni di teatro educativo e sociale però sempre collegato a questo o quel luogo. Non esisteva una struttura in grado di raccogliere le esperienze, storicizzarle e fare memoria. Si facevano tante attività di questo tipo, ma a un certo punto il bisogno è stato quello di radicare l’esperienza, farla durare e proporla come riferimento. Inoltre, fare questo all’ETI, cioè in un ente teatrale di stato, ha rappresentato anche un esempio virtuoso di come utilizzare i fondi pubblici, mettendo a disposizione della collettività modalità di intervento del teatro nella scuola e nel sociale.

Quali sono le attività e le iniziative che il Centro coordina?
 Permane in maniera molto significativa l’attività con cui abbiamo iniziato e che continuiamo a chiamare Saletta dal luogo, presso l’ETI, in cui gli incontri si svolgono. Costituisce uno spazio permanente di riflessione e approfondimento per tutti coloro che a vario titolo sono interessati al rapporto teatro-educazione: insegnanti delle scuole di ogni ordine e grado, operatori e artisti del teatro, animatori, operatori culturali, spettatori appassionati. Ha un programma annuale strutturato in moduli e ogni modulo è costituito da massimo tre incontri settimanali, così ciascuno può scegliere quello che più gli interessa. Inoltre, questa struttura dà anche l’opportunità di spostare i moduli in altri posti dove l’attività è richiesta, come è avvenuto, per esempio, con Firenze dove abbiamo portato la nostra attività al Teatro La Pergola. Un altro elemento vincente di questa attività, oltre alla sua struttura, è quello di lavorare sempre in maniera animata. Si esclude categoricamente la tipologia della lezione e del professore. Ogni incontro ha un suo coordinatore che prepara un documento col quale anima la discussione e sollecita il contributo di tutti che in casi non rari può avere anche carattere performativo.

Quale attività invece è specificatamente rivolta al mondo della scuola?
 L’attività del Centro più presente nelle scuole riguarda il fare teatro e consiste nel lavoro su committenza rivolto alla formazione degli insegnanti. Questa è a forte carattere laboratoriale per far vivere direttamente agli insegnanti l’esperienza del fare teatro attraverso la quale potranno avvicinare i loro alunni quando si troveranno a guidarli nella pratica teatrale. Tutti gli insegnanti, soprattutto della scuola dell’obbligo, variamente si occupano di far fare teatro ai loro alunni. A volte partono da una passione personale, a volte lo fanno perché è una specie di vaga estensione del gioco del teatro, più raramente si sono dati una formazione specifica, quasi mai lo hanno praticato in prima persona.
 Insieme a questo, ci occupiamo della formazione degli operatori teatrali che lavorano in partnership con la scuola e che, pur appartenendo più al mondo del teatro, hanno però quel particolare occhio che gli fa cogliere cos’è il teatro quando si sviluppa in situazione educativa. Quindi la nostra formazione nelle scuole è rivolta molto agli insegnanti che occupandosi di teatro sono educatori teatranti ma anche agli operatori del teatro che lavorando in situazione educativa sono teatranti educatori.

Quindi l’insegnante si forma alla pratica del teatro nella scuola perché la sperimenta direttamente?
 Sicuro, ma c’è dell’altro. Prepariamo l’insegnante al fare teatro anche sviluppandogli l’occhio che guarda. Uno degli errori di chi fa il teatro sociale, da quello amatoriale a quello che si fa con i bambini, è che lo fa ma non lo vede, non va a teatro. Noi riteniamo invece che, come sarebbe innaturale che uno pretenda di imparare a scrivere senza leggere mai, così è del tutto assurdo immaginare di fare teatro senza mai vederlo nella sua forma di atto comunicativo finale che è lo spettacolo. Allora nella formazione degli insegnanti noi facciamo in modo di portarli a teatro. Quest’intreccio di fare e vedere per noi è essenziale nell’educazione al teatro e credo sia uno degli aspetti più originali del lavoro del CTE. Abbiamo messo a punto - ormai sono circa tredici anni - una specifica attività di Didattica della visione che consiste in una serie di pratiche e tecniche di educazione dello spettatore che credo siamo i soli a realizzare. Di qui negli ultimi anni abbiamo iniziato sperimentazioni di lavoro con il pubblico, il pubblico e basta. Questa è una cosa molto importante perché una pratica di educazione dell’adulto perché diventi spettatore dello spettacolo dal vivo non c’è. Non perché io pensi che gli adulti non siano spettatori, lo sono molto spesso, ma raramente lo sono dello spettacolo dal vivo e quando questo è il teatro è necessaria una qualità della presenza molto particolare e molto poco diffusa.

Il binomio teatro-educazione vuol dire educare col teatro ed educare al teatro, in che misura queste possibilità si intrecciano?
 Le pratiche teatrali possono essere usate con delle finalità educative specifiche. È chiaro che in questo caso il teatro diventa strumento di conoscenza in grado di realizzare obiettivi che nella scuola possono riguardare anche i contenuti delle diverse discipline. Questo talvolta avviene con delle vere e proprie simulazioni che ricordano le sit-comedy molto frequenti per l’apprendimento della lingua straniera. È pur vero che, per quanto sia strumentale, occorre sempre confrontarsi con quel linguaggio specifico, usare una certa grammatica, agire con delle pratiche che sono esclusivamente del teatro, ma che possono essere un pò messe da parte in nome, appunto, del suo uso strumentale. Nella strumentalità non c’è niente di male è un uso possibile del teatro che esiste e viene praticato.
 C’è poi l’aspetto dell’educazione al teatro, che vuol dire far conoscere e amare il teatro. In un processo sempre aperto, il teatro diventa un oggetto di conoscenza, d’amore e direi anche un’abitudine. Penso che l’educazione si realizza nell’acquisizione di un abito nel senso di qualcosa di cui non potrei più fare a meno. Quasi come sentire la musica fa parte del bisogno e del paesaggio della vita di ciascuno. L’educazione al teatro è più complessa dell’uso perché occorre acquisire un’abitudine a quel linguaggio, conoscerlo, affinare il gusto. È strategico per l’educazione al teatro averlo praticato, essere stati attraversati da quel linguaggio. Per questo è così importante che a scuola il teatro si faccia. Naturalmente non diciamo che occorre essere attori, registi o altro, occorre però che ci sia un contatto diretto, fisico, non approssimato con le dinamiche dell’espressione teatrale. Riprendendo l’esempio della letteratura è evidente che non tutti siamo scrittori, ma aver provato a scrivere, aver praticato la scrittura fornisce la capacità di cogliere le  relazioni possibili tra linguaggio, pensiero, sentimento. La pratica è essenziale per tutti gli apprendimenti a maggior ragione per il teatro.

Quali sono gli obiettivi che la pratica teatrale introduce e permette di concretizzare nel processo educativo?
 Questa domanda bisogna porsela perché ci sono una serie di luoghi comuni sull’uso delle pratiche teatrali in ambiente educativo. Per esempio, si dice che il teatro serve a sbloccare le persone, a fargli vincere la timidezza, a farle socializzare e allora si ha buon gioco a dire che portarle in gita o in viaggi ben organizzati può dare risultati anche migliori. È vero che la pratica del teatro può essere più potente di altri strumenti a realizzare obiettivi dell’ambito affettivo, sociale, psicologico, ma certamente non è l’unico strumento o contesto possibile. Ci sono invece alcuni obiettivi che sono profondamente legati al teatro. Il fatto che il teatro si fa col corpo è una cosa ineludibile e sicuramente dà un contributo alla relazione tra l’espressività e creatività corporea e la percezione di se stessi. Il teatro si fa insieme e quindi educa all’esperienza della collaborazione. Inoltre, la cosa che ritengo di gran lunga più esclusiva riguarda la capacità del teatro di metterci nei panni di un altro. Qualunque sia il genere di teatro c’è sempre qualcuno che finge di essere un altro che non è, per quanto ci metta tutto se stesso questo non elimina la finzione, per quanto ci metta di sé, è il sé che entra nei panni, nello schema, nel fantasma di un altro, cioè il personaggio. Naturalmente lo sforzo di entrare nell’idea di un altro, di un personaggio, anche se l’ho inventato io stesso, in situazione educativa credo che sia una pratica etica di proporzioni straordinarie. Anche se dovessimo fermarci solo a queste tre opportunità educative che la pratica del teatro offre, non mi sembrerebbe poco.

Perché la scuola rappresenta un territorio elettivo per la pratica del teatro e come questa potrebbe essere strutturata?
 Se si ritiene che gli obiettivi che abbiamo brevemente indicato sono importanti per una moderna educazione e se si condivide che possono essere colti in maniera particolarmente efficace, se non esclusiva, con la pratica del teatro, la scuola si propone come luogo naturale proprio perché, è il luogo deputato all’educazione che tutti sono chiamati a frequentare. Organizzativamente la pratica teatrale andrebbe realizzata come uno spazio-tempo congruo ad attività espressive di cui il teatro può rappresentare il collettore generale. Per esempio, come esiste l’educazione fisica che può articolarsi in varie discipline sportive, nelle diverse scuole e nei differenti segmenti educativi, così penserei, almeno in una prima fase, per l’attività teatrale. Io credo che ci dovrebbe essere un’educazione all’arte che le intreccia un po’ tutte e naturalmente in un’idea del genere il teatro ha un vero ruolo che andrebbe esaurito essenzialmente dalla scuola.

Semplificando un pò, è possibile parlare a scuola di diversi generi teatrali, da quello più vicino alla tradizione classica, a quello più sperimentale di ricerca e innovazione, a quello d’avanguardia. Quando si usa il teatro nella scuola occorre precisare anche il genere di teatro che si pratica?
 Ti rispondo raccontandoti un caso concreto. Una volta sono stato in una manifestazione di teatro-scuola dove si incontravano due gruppi. Quello di Milano a partire dall’Antigone aveva elaborato uno spettacolo molto puntato sull’espressione corporea che per intenderci potremmo definire molto sperimentale. Nell’altro gruppo c’era un sobrio professore che aveva fatto mettere in scena ai ragazzi I Sette a Tebe in maniera molto vicina alla tradizione. Sulla carta tutti i progressisti parteggiavano per la sperimentazione ma dopo la presentazione dei due spettacoli, i ragazzi di un gruppo riscontravano nel lavoro le ragioni dell’altro, indipendentemente dall’ideologia pedagogica dell’adulto. Se gli uni riconoscevano l’importanza di cercare nuovi modi per esprimersi e comunicare, gli altri ritrovavano il valore di far comprendere un testo classico anche attraverso le sue stesse parole. Insomma, si riconosceva da entrambe le parti che il lavoro presentato fosse il frutto di una scelta consapevole e di una disciplina condivisa. Chiaramente chi guidava l’attività aveva capito e garantito la potenza dell’oggetto che si stava usando. Io penso che non dobbiamo essere rigidi, occorre considerare anche il teatro che può essere adatto in quel momento a quel gruppo, la situazione educativa che si sta svolgendo. Il problema vero non è quale genere di teatro proporre ma come lo si propone e sviluppa. In ambiente educativo il teatro deve sempre essere esperienza viva di conoscenza e quindi, in una certa misura, deve conservare sempre un suo carattere laboratoriale, inteso come contesto di lavoro riflessivo, di impegno collettivo, motivato e creativo sia che affronti la tradizione classica sia che sperimenti nuove possibilità.

Secondo la sua esperienza, nella scuola quali insegnanti praticano l’attività teatrale più frequentemente?
 Il più delle volte nella scuola incontriamo l’insegnante di Italiano, perché ha più ore e poi perché afferisce all’idea che il teatro riguarda le cose della letteratura. Spesso, e non a caso, troviamo anche l’insegnante di Educazione Fisica che ha ragionato sul corpo, molto più raramente qualche professore illuminato di altre discipline. In alcuni casi le scuole si affidano al cosiddetto specialista esterno pensando di poter ottenere risultati migliori soprattutto per classi ritenute difficili, problematiche. Questo a volte esprime una visione impropria del teatro nella scuola. È come se si giungesse al teatro perché con la normale attività didattica risulta difficile, in alcuni casi, tenere la classe quando invece ci si dovrebbe interrogare sulla lezione e sul modo di fare scuola. Che il teatro possa sostituirsi alla scuola, anche se in circostanze particolari, è un’idea sbagliata, al contrario collabora e si integra con le migliori pratiche scolastiche. È proprio quando il teatro incontra percorsi di ricerca di nuove possibilità educative già in atto nella scuola che si ottengono i risultati migliori e si evitano fastidiosi conflitti e  stupide contraddizioni. Il teatro nella scuola è una di quelle attività che non dovrebbe mai essere delegata, che richiede sempre la partecipazione di gruppo e quindi anche il gruppo degli adulti che se ne occupa, dovrebbe essere una modalità di lavoro trasversale, un’attività che gestiscono in tanti.

Abbiamo parlato soprattutto degli effetti positivi che si verificano per il mondo dell’educazione quando questo incontra il teatro. Ma per il mondo del teatro quali benefici ci si può attendere?
 Educare al teatro facendolo conoscere dall’interno, cioè praticandolo, può porre delle premesse per conquistare pubblico. Ma non è certo questo l’effetto più importante. Se operatori e artisti teatrali avessero l’abitudine di curiosare sul teatro che fanno i bambini e i ragazzi, sarebbe per loro una grande scuola. Sarebbe molto creativo per un attore andare a vedere tutto il teatro che fa la scuola, che in termini di quantità è molto più di tutto l’altro teatro praticato. Il gioco drammatico spontaneo espresso dai bambini, l’esercizio interpretativo dei ragazzi impegnati col teatro nella scuola, risultano molto significativi e ricchi di spunti riflessivi per chiunque si occupi di teatro. Altrettanto interessante è lo sforzo che si compie nella scuola, in una situazione di pochi e poveri mezzi, per guidare e portare a compimento in maniera significativa il lavoro teatrale. L’ingegno per adattare alla scena materiali di recupero, per risolvere problemi dovuti alla carenza di strumentazione tecnica senza pregiudicare il risultato complessivo, il lavoro per trovare la giusta soluzione scenica quando si lavora con ragazzi o bambini, è una miniera di creatività e di ricerca espressiva. Il più delle volte, invece, queste cose si guardano o con l’occhio accondiscendente del genitore o con l’occhio di chi è pregiudizialmente critico, di chi pensa che siano delle cose da cui distanziarsi. È necessario elaborare un terzo occhio, cioè vedere la pratica teatrale nella scuola come un processo di costruzione di un’espressività specifica. Secondo me, in questa luce, questo genere di teatro è una grande scuola. Questo, per esempio, accade nello sport dove anche la partitella di calcetto nel campetto sotto casa, com’è giusto che sia, viene vissuta e vista nel piacere e nella completezza che quel gioco offre. Il CTE è nato anche per questo, non a caso è nell’Ente Teatrale Italiano e non nel Ministero della Pubblica Istruzione, proprio perché l’educazione al teatro deve rivolgersi anche al mondo del teatro, non è un problema che riguarda l’educazione e basta, ma è a cominciare dal teatro che se ne deve parlare.
 
 *Insegna Scienze Naturali, Chimica e Geografia al liceo classico Virgilio di Roma. Collabora col Centro Teatro Educazione dell’Ente Teatrale Italiano per il quale conduce laboratori di formazione per insegnanti.







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