''CARA PROF, FACCIO LA COMMESSA E SONO INFELICE''
Data: Mercoledì, 27 dicembre 2006 ore 00:05:00 CET
Argomento: Opinioni


CARA PROF, FACCIO LA COMMESSA E SONO INFELICE

Nell’odierna società civile del Sud Italia ne succedono proprio di tutti i colori. Ed è un bel dire che le cose sono notevolmente migliorate rispetto al passato, che adesso il lavoro è più controllato e tutelato. Chi ha bisogno di lavorare, diciamocelo chiaramente, chi non ha un'occupazione stabile ed è alla disperata ricerca di un posto che gli garantisca la sopravvivenza, non ha molte possibilità: deve sottostare, deve piegarsi, deve soccombere. Checchè se  ne dica. Checchè se ne pensi.
Queste angoscianti riflessioni mi hanno attraversato la mente, proprio l’altra sera, dialogando con una mia ex alunna, alla quale, abbastanza speranzosa, chiedevo, con la solita aria di noi insegnanti, che cosa stava facendo di bello, e dove lavorava...e in fondo cosa ne era stato di tutte quelle belle discussioni fatte in classe, quando il futuro era un’ipotesi gioiosa  e piena di speranze.
Cosa faccio, cara prof? La commessa. Sì, la commessa. Non sono messa in regola e guadagno cinquecento euro al mese. Lavoro quando va bene otto ore al giorno; quando va male anche nove, dieci. Eh, sì. Perché non faccio solo la commessa, non servo solo i clienti, non rimango in piedi l’intera mattinata a capire umori e gusti dei visitatori. Svolgo anche altre mansioni. Se gira per la testa al mio padrone, vado a fare la spesa per lui e la sua famiglia; oppure, magari sotto la pioggia, vado a prendergli la macchina, in modo che sia ben parata lì davanti al negozio, quando lui avrà voglia di uscire.
E poi, non ci crederà, cara prof., ma chiudo anche la porta. Come chiudi la porta? -  ribatto io, incredula. Sì, fa lei, chiudo la porta. Perché, anche se il mio titolare desidera che l’uscio del locale sia serrato ed è lì vicino, non si adopera personalmente, ma, memore del Giovin Signore di Parini, con un cenno chiama a raccolta noi commesse, schiere solerti di giovani prone alla sua volontà. Et voilà: la porta è chiusa, prima di iniziare le faticose pulizie di fine giornata: banconi, specchi, vetrine, noi, novelle Cenerentole, lì, prima di andare stancamente a casa.
E’ finita così prof. Tutto qui. Malgrado quelle belle parole di un tempo, là, in classe,  sui diritti dell’individuo e la dignità dell’uomo. Ma è sicura, prof, che fosse tutto come lei ci diceva? E’ sicura? Dov’è quel mondo immaginato e fantasticato? Dov’è prof? Dov’è?

SILVANA LA PORTA






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