I contratti nel settore informatico stipulati dalla P.A.:
Data: Domenica, 06 ottobre 2002 ore 17:05:31 CEST
Argomento: Istituzioni


1) Caratteristica e struttura del contratto.

 L’acquisizione di strumenti informatici è un’attività che esige l’integrazione di competenze multidisciplinari (tecniche, giuridiche, amministrative), e richiede di adottare tutti i possibili accorgimenti per garantire la partecipazione di tutti i potenziali concorrenti, per stimolare la concorrenza nel fornire soluzioni di qualità e per valutarne in modo oggettivo ed obiettivo le proposte. Questo processo è un fondamentale momento di crescita delle Amministrazioni committenti, in quanto le costringe a focalizzare le proprie esigenze e le proprie capacità di governo delle scelte.

 Il rapporto di un committente con la tecnologia non si esaurisce del resto con la fase di sua acquisizione: le fasi del ciclo di vita di una tecnologia che seguono l’acquisto e l’installazione sono anzi quelle forse più importanti ai fini della sua efficacia. La capacità degli utilizzatori di fare un uso corretto e produttivo degli strumenti dipende, infatti, in gran parte dai servizi che vengono associati alla tecnologia acquisita: assistenza all’uso, formazione, manutenzione, forme di garanzia, monitoraggio delle prestazioni, sono aspetti da curare con altrettanto dettaglio della acquisizione.

 Nell’ambito delle Amministrazioni Pubbliche, l’informatica viene gestita presentando spesso ricorso all’impiego di risorse esterne, anche, e talvolta soprattutto, in quelle attività più critiche la cui diretta gestione dovrebbe assicurare alle Amministrazioni piena autonomia progettuale e di controllo dei processi di evoluzione e gestione del sistema informativo.

 La Pubblica Amministrazione stipula con soggetti privati e pubblici contratti di informatica, i quali hanno la peculiarità di non presentarsi quasi mai come schemi puri, ma di comprendere prestazioni di varia natura.

La fornitura di un sistema informatico non si esaurisce, infatti, in una mera locazione o in una mera compravendita, ma richiede, come condizione essenziale per consentire un godimento del bene effettivo e conforme ai bisogni dell’utente, anche la manutenzione del sistema e l’assistenza tecnica.

E’ chiaro che le varie prestazioni connesse alla utilizzazione di un sistema informatico possono essere disciplinate o in un unico contratto misto o in più contratti formalmente distinti ma funzionalmente e teleologicamente collegati.

Ad esempio, la fornitura di hardware e software non si esaurisce nell’installazione sic et sempliciter, ma comprende, nella prassi commerciale comune, l’esame delle misure di sicurezza e delle caratteristiche dei locali ed il training del personale.

I contratti nel settore informatico possono distinguersi a seconda che abbiano per oggetto l’hardware, il software ovvero la prestazione di servizi di varia natura.

L’hardware o struttura rigida dell’elaboratore deve essere considerato alla stregua di tutte le altre macchine, dato che non differisce da qualsiasi prodotto industriale di natura meccanica e trova così una sua precisa collocazione nella teoria dei beni; esso risulta costituito da un’unità centrale (C.P.U. - Central Processing Unit), in cui si trovano i circuiti elettronici che consentono l’elaborazione dei dati e da una o più unità periferiche (vale a dire tastiera, dischi, ecc.), che servono per introdurre i dati in entrata e che, insieme alla prima, formano la parte materiale del computer.

 Gli stessi contratti relativi all’hardware comprendono, oltre alla macchina ed ai suoi accessori (terminali, stampanti, ecc.), anche il sistema operativo di base (o software di base) che comunque può essere oggetto di un autonomo contratto.

Il software o struttura morbida dell’elaboratore, vista l’impossibilità a tutt’oggi di definirne in termini univoci la natura giuridica, è difficilmente riconducibile ad un preciso significato.

Dalla normativa ISO (International Organization for Standardization) si hanno queste definizioni:

software: “Creazione intellettuale che comprende i programmi, le procedure, le regole e la relativa documentazione, pertinenti al funzionamento di un sistema per l’elaborazione dati“ (ISO 9000-3);

prodotto software: “insieme di programmi, procedure e della documentazione e dei dati associati”(ISO/IEC 12207: 1995);

elemento software: “parte identificabile di un prodotto software, ad uno stadio intermedio od allo stadio finale di sviluppo” (ISO 9000-3);

servizio software: “risultati di attività connesse con un prodotto software, come lo sviluppo, la manutenzione, la gestione, etc……(ISO 9000-3).

In base alle indicazioni ed alle linee di tendenza emerse a livello internazionale, si può affermare che il programma è “......l’insieme di istruzioni scritte in qualsiasi codice, notazione o linguaggio, anche letterario, destinato direttamente o indirettamente a fare eseguire all’elaboratore una funzione, realizzare un compito od ottenere un risultato” (definizione che ricalca, in linea di massima, quella riportata nell’art. 1 delle “Disposizioni tipo sulla protezione dei programmi per elaboratore”, curata dall’Organizzazione mondiale della proprietà intellettuale - O.N.P.I.).

Va precisato che sussistono due tipi di software, ossia il programma macchina e quello scritto in linguaggio di programmazione, noto come programma sorgente o source.

Nell’ambito del software, si procede di solito ad un’ulteriore e più importante distinzione fra software di base e software applicativo.

Il primo è costituito dall’insieme di programmi destinati a far funzionare la macchina in maniera del tutto generica rispetto ad ogni altro tipo di impiego, permettendole di compiere le operazioni più elementari e favorendone il miglior uso; esso si caratterizza per la presenza del firmware, appartenente strutturalmente all’elaboratore, e dei programmi di utilità, chiamati a svolgere varie funzioni, fra le quali il coordinamento dell’unità centrale con i terminali, la selezione dei dati secondo determinati criteri, ecc.

Mentre il firmware viene fornito dagli stessi produttori delle apparecchiature e segue quindi la sorte del contratto principale, i programmi di utilità possono essere distribuiti dal costruttore dell’ hardware con il medesimo contratto o formare oggetto di un negozio separato, anche se quest’ultimo caso è piuttosto raro nella Pubblica Amministrazione.

Il software applicativo comprende, invece, una serie di programmi o pacchetti di programmi predisposti allo scopo di portare a termine una funzione specifica o di risolvere un particolare problema dell’utente nell’ambito gestionale, produttivo, tecnico.

Nell’interno di questo tipo di software, si possono distinguere due categorie: il proprietary package (o software applicativo standardizzato), cioè un programma commercializzato dalla ditta fornitrice secondo un modello generale e standardizzato e suscettibile di essere utilizzato dall’utente senza ulteriori modifiche e il tailored software (o software applicativo personalizzato), vale a dire un programma studiato e prodotto su ordinazione, allo scopo di soddisfare determinate esigenze di tipo operativo dei singoli utilizzatori.

La produzione e la fornitura del software, a seguito della crescente estensione delle sue possibilità operative e del raggiungimento di una certa autonomia rispetto agli elaboratori su cui deve intervenire, hanno finito con il formare oggetto di prestazione di imprese specializzate (software houses) o di singoli specialisti, uscendo dall’ambito esclusivo delle imprese costruttrici di hardware.

Oltre all’hardware ed al software, i contratti nel settore informatico possono avere ad oggetto anche “....la prestazione di servizi connessi, specificatamente, con l’uso delle stesse apparecchiature e prodotti e, più in generale, con il funzionamento di sistemi di elaborazione elettronica di dati e d’informazioni” [1].

In linea di massima, si può dire che le modalità delle prestazioni risultano essere differenti e difficilmente riconducibili in un’unica tipologia.

Volendo operare una classificazione dei servizi, cui più frequentemente ricorre la Pubblica Amministrazione, appare corretto distinguere tra servizi di natura tecnico-applicativa e servizi affidati a terzi.

I primi sono particolarmente diffusi in relazione all’utilizzo delle apparecchiature e dei programmi e si concretizzano in prestazioni di consulenza e di assistenza, come la progettazione di sistemi (studi di fattibilità), l’analisi e lo sviluppo di programmi applicativi specifici, l’ottimizzazione delle risorse hardware e software.

I secondi si riferiscono all’attività di consulenza e di programmazione offerta da un’impresa (service bureau), che si impegna ad elaborare i dati del cliente sul proprio sistema informativo, ricorrendo a software applicativi in forma standardizzata per semplici funzioni di tipo generico (per esempio, tenuta della contabilità, controllo dell’inventario, ecc.) e a fornire spesso prestazioni collaterali, quali la conversione dei dati stessi in linguaggio comprensibile alla macchina e la consulenza diretta all’individuazione delle specifiche esigenze di programmazione.

Una variante non molto dissimile dallo schema appena esaminato è il servizio di elaborazione, cui possono fruire simultaneamente più utenti collegati tramite terminali ad un potente sistema centrale (time-sharing service bureau).

La distinzione proposta fra hardware, software e servizi, oltre che estremamente utile ai fini di una corretta classificazione, risponde altresì alla necessità di tener conto, a livello contrattuale, della varietà ed eterogeneità dei beni e servizi nel settore informatico.

E’ chiaro che le varie prestazioni connesse alla utilizzazione di un sistema informatico, possono essere disciplinate o in un unico contratto misto o in più contratti formalmente distinti ma funzionalmente e teleologicamente collegati.

Nel caso in cui il complesso degli accordi sia redatto in testi separati (pluralità dei contratti), purché stipulati con lo stesso contraente, l’unitarietà dell’operazione, sotto il profilo economico, si riflette nel collegamento negoziale, funzionale e teleologico, tra le diverse parti dell’accordo [2].

Nel caso del regolamento contrattuale redatto in un unico testo (contratto unico) raramente è enucleata una sola prestazione, corrispondente ad uno schema tipico puro, ma il più delle volte si è di fronte ad una pluralità di schemi contrattuali tipici, nel caso di contratto misto, e atipici, nel caso di contratto complesso, fusi in un’unica causa, per la realizzazione di un interesse unitario sul piano pratico-economico.

Ad esempio, la fornitura di hardware e software non si esaurisce nell’installazione sic et simpliciter, ma comprende, nella prassi commerciale comune, l’esame delle misure di sicurezza e delle caratteristiche dei locali ed il training del personale.

In proposito, la giurisprudenza (App. Torino del 15 febbraio 1985), ragionando in termini di unico contratto misto, ha ritenuto che “quando, nella vendita di un elaboratore elettronico, il venditore assuma l’obbligazione di fornire al completo il sistema prescelto dall’acquirente, oggetto del negozio stipulato fra le parti non sia un semplice elaboratore, ma un vero e proprio sistema di elaborazione da adattare alle esigenze del compratore; pertanto la fornitura incompleta dei programmi dà luogo ad inadempimento contrattuale, sanzionabile con la risoluzione del contratto” [3].

Anche il Tribunale di Torino nella decisione del 13 marzo 1993 [4] preferisce parlare di un unico contratto.

Il problema dell’accertamento della natura di contratti misti o collegati è una res facti e come tale suscettibile di essere ancorata a valutazioni astratte e generali [5].

E’ il caso concreto che si presenta di volta in volta, il punto di partenza per le valutazioni dell’interprete. E’ chiaro, infatti, che nel caso di più fornitori non si potrà certo parlare di unico contratto misto ma più correttamente di contratti collegati.

Benché le due soluzioni si presentino entrambe come astrattamente idonee a soddisfare le esigenze contrattualmente complesse dei contratti di utilizzazione del computer, la dottrina pare preferire l’ipotesi dei contratti collegati. La giurisprudenza, come sopra visto, preferisce, invece, la figura dell’unico contratto misto.

La soluzione dei conflitti nascenti dallo svolgimento di rapporti consistenti nell’insieme di operazioni plurime andrebbe, infatti, rinvenuta, non tanto nell’individuazione dello schema applicabile in base a una valutazione di sintesi (principio dell’assorbimento o della prevalenza), quanto piuttosto dall’identificazione della singola prestazione (principio della combinazione), e quindi dello schema contrattuale ad essa applicabile, rispetto alla quale è sorto il contrasto [6].

La disciplina complessiva, perciò, non sarà quella di un unico schema tipico, corrispondente alla prestazione prevalente, quantitativamente o economicamente, bensì la somma di tante discipline specifiche quante sono le diverse utilità che formano il contenuto globale unitario della pluralità di negozi.

Pertanto in caso di controversia, dovrà essere applicata di volta in volta la disciplina della vendita (art. 1470-1547 c.c.) per le questioni concernenti i beni acquisiti, quella della locazione (art. 1571-1614 c.c.) per i beni in godimento, quella dell’appalto (art. 1655-1677 c.c.) per opere ed i servizi forniti e così via.

Il riferimento alla dottrina dei contratti collegati, che contempla una pluralità di contratti separati, non significa, ovviamente, che non si debba tener conto dell’unitarietà dell’operazione, e quindi del condizionamento reciproco tra le varie prestazioni, specie per quanto concerne validità ed efficacia del contratto e risarcimento dei danni. Seguire la strada della divisione contrattuale significherebbe assecondare “l’intento di circoscrivere responsabilità e garanzie del produttore alla fornitura delle singole parti, escludendo ogni sua responsabilità per l’eventuale inidoneità del sistema nel suo complesso” [7].

Per esempio, il contratto di assistenza, o manutenzione, di hardware o di software, anche se stipulato separatamente, è funzionalmente ed economicamente essenziale e deve considerarsi comunque parte integrante del rapporto che ha per oggetto l’acquisizione di un sistema informatico, perché soltanto idonee revisioni periodiche e tempestivi interventi per la riparazione dei guasti dell’hardware, nonchè aggiornamenti e correzioni del software, consentono un’utilizzazione sicura ed effettiva del sistema medesimo.

Ovviamente anche in questo caso la valutazione sul collegamento contrattuale dovrà essere ancorata ad un esame del caso concreto.

Non vi è tuttavia chi non abbia obiettato[8] che un tale tipo di impostazione tradisce una fiducia eccessiva nell’oggetto del contratto inteso come insieme delle prestazioni, che nel nostro ordinamento svolgerebbe un ruolo importante ma non esaustivo.

Il procedimento di qualificazione del contratto, per la sua riconduzione ad un tipo legale, passa, infatti, alla stregua dei principi generali, attraverso le procedure di interpretazione del contratto, di integrazione (con le clausole negoziali d’uso), di esame della causa e di valutazione della distribuzione dei rischi tra le parti nel rispetto del principio dell’equilibrio sinallagmatico e del criterio di buona fede [9].

2) La clausola aperta.

In merito ai contratti di informatica stipulati dalla Pubblica Amministrazione, la Commissione delle Comunità Europee (COM – 2000 - 275 def. del 10.5.2000) ha constatato la necessità del ricorso a tecniche che consentano ai committenti di beneficiare dell’evoluzione dei prodotti e dei prezzi. Essa ha osservato che in appalti in costante evoluzione come gli appalti di prodotti e servizi nel settore delle tecnologie dell’informazione, è difficilmente giustificabile, sotto il profilo economico, vincolare i committenti pubblici a prezzi e condizioni fissi. Di conseguenza, questo tipo di appalto deve essere improntato alla necessaria flessibilità, almeno nei suoi elementi essenziali.

La necessità di inserire una clausola contrattuale (c.d. clausola aperta) che disciplini tale ipotesi deriverebbe dal fatto che i vantaggi conseguibili nei riguardi del committente e connessi alle grandi quantità di prodotti forniti, restano spesso vanificate dalla lunga durata del rapporto contrattuale e dalla concomitante forte obsolescenza tecnica delle forniture dei prodotti previsti e non ancora consegnati.

In altri termini, anche se i prezzi unitari possono considerarsi particolarmente convenienti, nondimeno tale vantaggio non equivale ovvero non supera lo svantaggio dato dall’invecchiamento precoce delle singole unità di prodotto.

Sembra, pertanto, opportuno inserire nei contratti in oggetto una clausola contrattuale ( c.d. clausola aperta ) per effetto della quale sarebbe consentito all’Amministrazione, nei riguardi del soggetto prescelto, operare riscontri periodici del prezzo pattuito e, in presenza di scostamenti che dovessero superare determinate soglie, pretendere conseguentemente la riduzione del prezzo predetto.

L’operatività della clausola andrebbe abbinata ad una coerente scomposizione dell’acquisto del quantitativo complessivo in lotti diversi, nei riguardi dei quali sarebbe dato applicare il meccanismo revisionale.

La formula contrattuale dovrebbe altresì prevedere che, secondo una logica non dissimile da quella indicata, all’Amministrazione resterebbe consentito verificare periodicamente l’esistenza sul mercato di configurazioni di prodotto migliori o più convenienti - rispetto al prezzo contrattuale inizialmente pattuito – e, quindi, ove l’analisi di mercato desse riscontri favorevoli, mutare, in corso di contratto, l’ordinativo di lotti successivi di prodotto, passando così dalle configurazioni già identificate ad altre più confacenti. Il risultato utile sarebbe dato dalla possibilità di acquistare, per un prezzo complessivo predefinito, prodotti costantemente aggiornati alle esigenze dell’Amministrazione che dovessero evolvere nel corso dell’adempimento del contratto.

Trattasi di una normale fattispecie di revisione del prezzo; un istituto, questo, ora disciplinato dall’articolo 6, comma 4, della legge n. 537 del 1993, come modificato dall’articolo 44 della legge 724 del 1994, che ne pretende l’applicazione a tutti i contratti ad esecuzione periodica o continuativa.

Ovviamente, il prezzo di riferimento dovrebbe essere un parametro acquisito in via preventiva, attraverso l’analisi del mercato ed utilizzabile per definire il prezzo da porre a base d’asta. Mentre, evidentemente, i prezzi di riferimento assunti dopo la stipulazione possono essere utilizzati come parametro ricadente nella dinamica applicativa della clausola revisionale.

Inoltre, va evidenziato che, nell’ipotesi di scelta dell’affidatario avvenuta attraverso una procedura concorsuale, al fine di evitare la modificazione illegittima dell’oggetto del contratto d’appalto stipulato dopo l’aggiudicazione, la facoltà di variare la configurazione dei prodotti originariamente pattuiti deve essere esercitata attraverso la sostituzione di singoli oggetti all’interno della configurazione predefinita.

Infine, è da rilevare che la normativa comunitaria in materia sia di appalti di forniture che di servizi contempla la possibilità che i contratti rechino opzioni. Pertanto, la possibilità di modificare parzialmente l’oggetto dell’accordo, in corso di esecuzione, pare potersi ricondurre, appunto, ad una facoltà di opzione in favore dell’Amministrazione, riconosciuta a livello comunitario.

3) Gli studi di fattibilità.

Ogni Amministrazione, prima della stipulazione dei contratti per la progettazione, realizzazione, manutenzione e conduzione operativa dei sistemi informativi automatizzati, deve procedere all’esecuzione di studi di fattibilità, finalizzati alla definizione degli obiettivi organizzativi e funzionali dell’Amministrazione interessata (art. 13 D. lgs. n. 39/93), ossia delle finalità che si intendono perseguire e delle modalità da seguire per raggiungerle, tenendo conto dei tempi, dei costi previsti e delle risorse occorrenti, nonché dei vincoli (specie di carattere organizzativo) eventualmente da appianare.

E’ interessante osservare come tale meccanismo sia stato previsto per i contratti di grande rilievo, determinati come tali dall’ Autorità per l’Informatica nella Pubblica Amministrazione in sede di programmazione triennale degli interventi e di predisposizione dei provvedimenti che compongono la manovra di finanza pubblica.

La previsione di questa normativa è dovuta al fatto che non sempre le iniziative di informatizzazione e gli specifici progetti riescono a cogliere compiutamente gli obiettivi di miglioramento desiderati. Si registra infatti una notevole difficoltà ad avviare progetti e a concluderli secondo i piani, a concentrare gli investimenti sulle aree di attività legate alla missione istituzionale e sui processi di servizio più significativi, a integrare l’automazione con altri interventi organizzativi e normativi, ad individuare soluzioni tecnologiche coerenti con gli obiettivi di apertura ed integrabilità dei sistemi.

Lo studio di fattibilità può costituire uno strumento importante per ottenere un sostanziale miglioramento nell’utilizzo dei sistemi informativi e nell’efficacia e nell’efficienza delle nuove iniziative.

L’obiettivo fondamentale dello studio di fattibilità è quello di fornire ai centri di responsabilità dell’ Amministrazione l’insieme delle informazioni necessarie alla decisione per l’effettivo avvio della realizzazione di un progetto e quindi sull’investimento necessario. Queste informazioni riguardano la fattibilità tecnica e organizzativa, i benefici, i costi, i rischi, le scadenze temporali.

Per rispondere a questo obiettivo lo studio di fattibilità deve rendere esplicite le condizioni che rendono conveniente l’effettuazione di progetti di adeguamento dei sistemi informativi automatizzati, chiarendo i benefici attesi ed evidenziando come essi rispondono agli obiettivi di miglioramento individuati e valutando i rischi e correlando tutti questi elementi. Lo studio deve contestualmente dare concretezza all’ipotesi progettuale, verificando l’esistenza di un’adeguata soluzione tecnico-organizzativa situata all’interno dei vincoli economici e temporali dati, anche attraverso il confronto tra soluzioni diverse e la scelta tra esse sulla base di criteri esplicitati e predefiniti, nonché fornire elementi oggettivi per la definizione dell’eventuale ricorso al mercato ed alle sue modalità.

La necessità di effettuare uno studio di fattibilità nasce dal fatto che si è individuato un possibile progetto che per dimensione economica, complessità dell’intervento, incertezza sui requisiti e scelte da compiere sulle possibili alternative, richiede un approfondimento prima di avviare la fase realizzativa, pena la possibilità di avviare un progetto ad alto rischio di insuccesso.

Lo studio di fattibilità quindi nasce sempre in presenza di un’idea progettuale già esistente, che comprende gli elementi essenziali dell’individuazione del problema e dell’area di intervento, le principali linee di intervento previste, una definizione preliminare del progetto.

Non è quindi compito dello studio di fattibilità individuare le esigenze di fondo che stanno all’origine del progetto e quindi non ha senso caricare lo studio di fattibilità di teoriche necessità di definire, attraverso tecniche specifiche, le opzioni di fondo del “dove operare”, “cosa ricercare”, ecc.

Il problema vero è quello di dare concretezza all’idea progettuale e di fornire tutti gli elementi per l’avvio della fase realizzativa, sviluppando ciò che in precedenza era solo un’idea progettuale, inevitabilmente generica e non sufficientemente verificata e valutata. E’ attraverso lo studio che si dà sostanza all’ipotesi di sistema che si intende realizzare e se ne cominciano a definire contenuti, servizi da erogare, componenti; che si possono descrivere e misurare i benefici attesi; che si individuano gli impegni necessari alla realizzazione e i relativi costi, che si evidenziano e valutano i rischi che ci si accinge ad affrontare, definendo nel contempo le modalità di realizzazione e di controllo del progetto che consentiranno di ridurli.

La necessità di definire in termini generali i progetti e di formalizzare tale definizione attraverso la descrizione degli elementi essenziali del progetto di massima vale per tutti i progetti di informatizzazione. Tuttavia la realizzazione di un vero e proprio studio di fattibilità, che inevitabilmente implica impegno di risorse e di tempo, va prevista essenzialmente per progetti significativi, tesi alla realizzazione di sistemi informativi che impattano sui processi di servizio e di dimensioni medio-grandi.

Tra questi figurano in particolare i progetti di realizzazione o reingegnerizzazione di sistemi applicativi, di realizzazione o reingegnerizzazione di infrastrutture tecnologiche, i progetti globali di automazione d’ufficio, i progetti tesi alla esternalizzazione delle attività di conduzione dei sistemi.

Uno dei compiti principali dello studio di fattibilità è quindi quello di fornire tutti gli elementi essenziali per la definizione dell’approvvigionamento dei prodotti/servizi previsti dal progetto oggetto di studio.

Lo studio di fattibilità dovrà pertanto contenere tutte le indicazioni necessarie alla stesura del capitolato di gara e quindi sia le informazioni di base per la stesura dell’allegato tecnico, sia le informazioni utili alla determinazione del fornitore, alla definizione delle modalità di approvvigionamento e alla formalizzazione dei criteri di scelta delle offerte.

Obiettivo finale dell’utilizzo dei sistemi informativi automatizzati è quello di contribuire al miglioramento dei processi di servizio ed è evidente che, per ottenere risultati effettivi in termini di efficacia ed efficienza nell’erogazione dei servizi, è necessario che i progetti informatici si collochino in un contesto di razionalizzazione complessiva dei processi di servizio. Questo è ancor più importante nella Pubblica Amministrazione dove sono presenti rischi concreti che l’automazione intervenga su processi comunque obsoleti e mal organizzati e dove perdurano visioni esclusivamente tecnologiche dei sistemi informativi.

E’ quindi necessario che nella definizione di un progetto informatico si assuma un punto di vista complessivo sul processo (o sull’insieme omogeneo di processi su cui ci si propone di intervenire), esplicitando gli obiettivi di miglioramento ed indicando le necessarie iniziative collaterali all’intervento informatico.

Molto spesso, per ragioni di opportunità e/o convenienza, si impone la necessità di ricorrere all’esterno tramite apposito contratto di studio, soprattutto per la ricerca di prodotti nuovi e per la definizione delle specifiche tecniche, indispensabili per una corretta valutazione dei costi e dei benefici e quindi anche per un’efficace redazione dello studio di fattibilità.

Al riguardo, va precisato che, qualora lo studio di fattibilità sia affidato ad imprese specializzate, a quest’ultime è preclusa la possibilità di partecipare alla procedura per l’aggiudicazione dei contratti di realizzazione del sistema informativo (ivi compresa, se ne ricorrono i presupposti, la procedura negoziata, ossia la trattativa privata), mentre l’Amministrazione contraente dovrà rispettare le disposizioni comunitarie in materia di appalti pubblici di servizi, sempre che siano superati gli importi minimi di applicabilità di tali norme.

4) La scelta del contraente.

La fase di scelta del contraente si rivela alquanto delicata in campo informatico, dato che l’Amministrazione si trova ad operare in un mercato piuttosto eterogeneo, caratterizzato dalla presenza di diversi tipi di fornitori di elaboratori elettronici (produttori di hardware, software-houses, consorzi, società miste, ecc.) e da un quadro giuridico di riferimento complesso e articolato.

A ciò si aggiunga, il contrasto fra le varie normative, nazionali e comunitarie, che nel corso del tempo hanno tentato di uniformare i metodi di scelta dell’impresa con cui negoziare.

Al riguardo, va ricordato infatti che la L. 30 marzo 1981, n. 113, e successive integrazioni, che ha recepito la disciplina comunitaria in tema di adeguamento delle procedure di aggiudicazione delle pubbliche forniture, aveva stabilito, per le forniture di importo superiore ai 130.000 E.C.U., che i sistemi per l’aggiudicazione dell’offerta dovessero essere i pubblici incanti (procedura aperta), in virtù dei quali tutti possono partecipare alla gara indetta dalla Pubblica amministrazione o la licitazione privata e l’appalto concorso (procedura ristretta), secondo cui sono ammessi a concorrere soltanto soggetti prequalificati.

Il testo unico emanato con il D. lgs. 24 luglio 1992, n. 358, in attuazione delle direttive 77/62/CEE, 80/767/CEE e 88/295/CEE, ha cercato di fare ordine nella disciplina degli appalti pubblici di forniture, abrogando i precedenti provvedimenti legislativi in materia.

Esso stabiliva, in primo luogo, che la forma d’affidamento principale da adottare - nelle forniture d’importo superiore ai 200.000 E.C.U. - fosse, di norma ed in via generale, quella della gara aperta a tutti i concorrenti che sono in possesso dei requisiti richiesti (procedura aperta).

Il ricorso alla licitazione privata o all’appalto concorso (procedura ristretta) era invece possibile solo in presenza di specifiche condizioni, per lo più di ordine tecnico, non facilmente ed oggettivamente dimostrabili.

Molto più chiare sono le motivazioni del ricorso alla trattativa privata (procedura negoziata), una novità nella legislazione in materia: nella legge n. 113/81, essa non era, infatti, contemplata, pur essendo praticata dalle Amministrazioni, anche in relazione a casi di effettiva necessità.

Più precisamente, tale sistema d’asta può essere utilizzato solo nei casi tassativamente indicati nel decreto (fra l’altro, unico fornitore, speciali ed eccezionali circostanze, ecc.) ed impone comunque alle Amministrazioni aggiudicatrici di redigere un apposito verbale recante la motivazione del ricorso a detta procedura.

Il d. lgs. 20 ottobre 1998, n. 402, ha apportato rilevanti modificazioni ed integrazioni, tra queste si segnala, al riguardo, l’equiparazione tra gara aperta e ristretta. Il comma 5 dell’art. 8, che sostituisce l’art. 9 del d. lgs. n. 358/92 fa cadere la precedente gerarchia nelle procedure, in forza della quale la procedura aperta era da considerare la regola e la procedura ristrette l’eccezione; non occorre più, pertanto, giustificare perché sia scelta la procedura ristretta, ormai posta sullo stesso piano di quella aperta, così come previsto dalla normativa che disciplina gli appalti pubblici di servizi e di lavori. Per quanto concerne la disciplina della trattativa privata, questa è rimasta sostanzialmente invariata.

A questo punto, va ricordato come, il d. Lgs 17 marzo 1995, n. 157, emanato in attuazione della direttiva CEE 18 giugno 1992, n. 50, modificato ed integrato dal d. Lgs. 25 febbraio 2000, n. 65 che si applica agli appalti pubblici di servizi di importo superiore ai 200.000 diritti speciali di prelievo (D.P.S.) prevede, fra le fattispecie da regolamentare, anche i servizi informatici ed affini.

Essa individua, all’art. 6, quali sistemi di aggiudicazione degli appalti, tre tipi di procedure, ossia le procedure aperte, le procedure ristrette, le procedure negoziate, mentre all’art. 26 prende in esame i concorsi di progettazione.

La peculiarità della nuova disciplina riguarda proprio l’ultimo tipo di procedure, i concorsi di progettazione, che sono destinate ad individuare, con o senza l’attribuzione dei premi, l’affidatario degli incarichi in vari settori, fra i quali quello dell’elaborazione dei dati.

Tale affidatario deve essere prescelto, previo espletamento di una vera e propria gara, a cura di una commissione aggiudicatrice, in base a criteri selettivi chiari e non discriminatori.

Le normative nazionali e comunitarie appena descritte risultano parzialmente in contrasto con la disciplina contenuta nel Capitolato d’oneri in materia di informatica del Provveditorato generale dello Stato del 1986 e nella legge 11 novembre 1986, n. 770.

Infatti, il Capitolato prevede, in generale, il ricorso alla licitazione privata o all’appalto concorso ed in casi limitati (da motivare debitamente) alla trattativa privata, preceduta da un’esplorazione di mercato e da un invito a più imprese per la scelta delle quali si prevede di integrare e aggiornare l’Albo dei fornitori del Provveditorato stesso (art. 6, comma 6); esso non rivolge invece alcun cenno al metodo dei pubblici incanti che, secondo l’orientamento comunitario, dovrebbe essere la procedura normale da seguire.

La legge n. 770/86 contempla il ricorso alla trattativa privata con un preventivo confronto concorrenziale, per le acquisizioni di prodotti ad elevata tecnologia già disponibili sul mercato(art. 4, comma 3).

Per quanto concerne, infine, le disposizioni contenute nel D. lgs. n. 39/93 e, più in particolare, quelle che attengono alle procedure negoziali da seguire, l’art. 2 prevede, al riguardo che le Amministrazioni debbano di norma provvedere direttamente, con proprio personale, alla progettazione, allo sviluppo ed alla gestione dei propri sistemi informativi automatizzati.

Solo nel caso di particolari necessità di natura tecnica, adeguatamente motivate, le singole Amministrazioni possono rivolgersi a terzi, anche attraverso l’ istituto della concessione, sempre che la relativa proposta sia contenuta e venga accolta (dall’ Autorità) nel piano triennale di automazione.

Si è dell’avviso che la concessione di servizi ricada in una fattispecie di tipo meramente negoziale e, come tale, debba essere sottoposta all’applicazione delle disposizioni comunitarie in materia di appalti pubblici di forniture e/o di servizi, senza invece limitarsi all’esclusivo richiamo della trattativa privata.

Ciò appare confermato, seppur indirettamente, dalla direttiva n. 92/50, la quale conteneva, in una versione provvisoria, una definizione esclusivamente contrattuale della concessione di pubblici servizi, soppressa poi in sede di redazione definitiva del provvedimento.

A ciò si aggiunga che anche lo stesso parere del Consiglio di Stato dell’11 novembre 1991, n. 354/90 sembra confermare come l’informatica nella Pubblica Amministrazione non rivesta la natura di pubblico servizio, ma debba semmai essere considerata semplicemente come una modalità organizzativa di servizi e funzioni di prevalente natura tecnica, con la conseguenza che pure la concessione di progettazione, realizzazione e gestione di un sistema informativo pubblico andrebbe inquadrata in una fattispecie di natura contrattuale.

Il dibattito è comunque, al riguardo, piuttosto vivace e tutt’altro che chiuso, anche perché, in sede comunitaria, è in corso di elaborazione il progetto per la redazione di una carta europea dei servizi pubblici e si sta definendo una bozza di direttiva per regolamentare il delicato settore delle concessioni.

Da quanto si evince dal “Progetto di comunicazione interpretativa della Commissione su: le concessioni nel diritto comunitario degli appalti pubblici”, elaborato dalla Commissione Europea - Direzione Generale XV - Mercato interno e servizi finanziari - Politica degli appalti pubblici - pur nel silenzio della direttiva 92/50/CEE, che non contiene una definizione della nozione di concessione di servizi, gli elementi distintivi propri della nozione di concessione di lavori, definita dal legislatore comunitario nella direttiva 93/37/CEE, sono comuni anche alla nozione di concessione di servizi: “una concessione, infatti, riveste le stesse caratteristiche distintive indipendentemente dall’oggetto che le è proprio”. Pertanto, come per le concessioni di lavori, il criterio della gestione costituisce una caratteristica essenziale per determinare se si è in presenza di una concessione di servizi. In virtù di questo criterio, nella concessione di servizi l’imprenditore assume il rischio di gestione del servizio remunerandosi per una parte significativa presso l’utente, in particolare mediante la riscossione di canoni, sotto qualsiasi forma; se il rimborso dei finanziamenti fosse assicurato dall’Amministrazione senza l’alea connessa alla gestione, l’elemento rischio verrebbe meno ed il contratto dovrebbe essere considerato come appalto e non come concessione.

Tralasciando quindi, per il momento, le soluzioni adottate dalle normative in precedenza citate circa i metodi di aggiudicazione delle offerte nello specifico comparto dell’informatica pubblica, si ritiene opportuno procedere ad alcune considerazioni generali sulla loro validità e sui loro limiti.

Bisogna dire, innanzi tutto, che l’asta pubblica non sempre risulta essere adeguata allo scopo, in quanto sottopone l’Amministrazione ad una serie di adempimenti e di procedure che richiedono un lasso di tempo piuttosto lungo, in contrasto con la necessità di disporre tempestivamente degli elaboratori elettronici; inoltre, essa si basa su criteri di aggiudicazione eccessivamente legati al fattore prezzo ed alla comparabilità di beni e servizi offerti che, in ambito informatico, si dimostra essere difficilmente realizzabile, se si considera che gli Enti Pubblici sono in genere sprovvisti delle competenze tecniche indispensabili per distinguere o confrontare, ad esempio, software di diversa natura e provenienza.

Anche la licitazione privata appare scarsamente utilizzabile, poiché gli Organi amministrativi incorrono sovente in notevoli difficoltà nel predisporre prescrizioni tecniche o capitolati definiti nei minimi particolari e nel giudicare successivamente le proposte, sulla scorta dell’indicazione del prezzo più basso. Anche nell’ipotesi che si applicasse la normativa comunitaria, che prevede l’aggiudicazione in base all’offerta economicamente più vantaggiosa, permangono comunque dei problemi, dovuti alla necessità di effettuare valutazioni sui diversi elementi che compongono la prestazione ( valore tecnico, qualità, rendimento, ecc.) e di avere in seguito il coraggio di assegnare il contratto anche a chi non abbia presentato il prezzo più conveniente.

La procedura di scelta più consona nel settore informatico sembra essere l’appalto concorso che, oltre a mantenere le caratteristiche positive della gara ristretta (vista la presenza delle sole ditte ritenute idonee), consente all’Amministrazione un giudizio più meditato delle soluzioni proposte, attraverso una serie di comparazioni e verifiche di tipo economico e tecnico.

Tale procedura viene utilizzata per l’acquisizione di prodotti e servizi per i quali non si ritiene possibile stabilire capitolati tecnici; il soggetto pubblico, forniti gli obiettivi di massima e le indicazioni di fattibilità operativa, lascia alle imprese specializzate il compito di presentare, nei termini, modi e forme stabiliti nella lettera d’invito, i progetti tecnici relativi all’iniziativa di automazione, con l’indicazione dei rispettivi prezzi. Spetterà poi agli organi interni o ad apposite commissioni procedere, insindacabilmente, alla scelta della soluzione migliore, sulla base delle condizioni di esecuzione, tecniche ed economiche più convenienti e richiedendo, eventualmente, gli aggiornamenti e le rettifiche ritenuti opportuni.

Affinché l’appalto concorso risulti davvero efficace, bisogna che l’Amministrazione, in sede di gara, fornisca con chiarezza gli obiettivi di massima dei progetti, avvalendosi dei risultati delle ricerche condotte in via preliminare per la predisposizione degli studi di fattibilità. In tal modo, le offerte presentate risultano improntate a criteri di omogeneità, pur nel rispetto della creatività e originalità dei singoli contraenti e permettono, quindi, di effettuare valutazioni, comparazioni e scelte, realizzando contestualmente un certo contenimento dei costi ed un maggior sfruttamento della ricerca e dello sviluppo tecnologico, a livello di mercato.

In realtà, anche se l’appalto concorso sembrerebbe essere la procedura di scelta del contraente più adatta in campo informatico, la maggior parte delle Amministrazioni ha fatto ricorso, finora, alla trattativa privata, che consiste nello stringere un rapporto negoziale con una ditta, senza avere esperito nessuna gara o solo dopo aver sondato il mercato con una rapida indagine preliminare (confronto concorrenziale).

Le ragioni della preferenza per tale procedura sono varie, ma possono sinteticamente essere indicate nell’urgenza di provvedere celermente all’automazione dei servizi, nella mancanza all’interno di ogni singola realtà amministrativa delle indispensabili competenze tecniche per svincolarsi definitivamente dalle imprese che hanno stimolato le prime applicazioni informatiche e, infine, nell’esigenza di mantenere un continuo contatto con i fornitori, soprattutto nella fase di definizione di specificazione dei bisogni.

In effetti, il ricorso alla trattativa privata dovrebbe essere limitato ad alcuni casi eccezionali tassativamente previsti nella legge di contabilità generale dello Stato e nelle disposizioni comunitarie, ma molte Amministrazioni hanno potuto usufruire di normative ad hoc che ne consentono l’utilizzo, precisando addirittura il tipo di impresa con cui contrattare. E’ il caso della realizzazione, gestione e sviluppo di sistemi informativi affidata, in base a particolari convenzioni, a società a prevalente partecipazione pubblica (o statale) [10].

Il Trattato C.E.E. non limita la facoltà degli Stati membri di ricorrere alla concessione o ad altre forme analoghe di partnerariato pubblico-privato, purché le modalità di scelta siano compatibili con il diritto comunitario. Come affermato dalla Corte di giustizia nella giurisprudenza concernente le direttive in materia di appalti pubblici, gli Stati membri, pur rimanendo liberi di stabilire regole materiali e procedurali, sono tenuti ad osservare tutte le disposizioni pertinenti del diritto comunitario e, in particolare, i divieti che derivano dai principi sanciti dal Trattato in tema di diritto di stabilimento - articolo 52 e seguenti - e di libera prestazione di servizi - articolo 59 e seguenti - (sentenza del 9 luglio 1987, cause riunite 27/86, 28/86 e 29/86, Bellini). Pertanto, la Corte ha considerato contrarie a dette norme del Trattato ed al principio della parità di trattamento le disposizioni che riservano determinati appalti pubblici alle società a prevalente o totale partecipazione statale o pubblica (sentenza del 5.12.1998, C-3/88, Data Processing).

Al riguardo va ricordato che l’articolo 15 della legge 19.2.1992, n. 142 (Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità Europee) ha abrogato tutte quelle disposizioni che affidavano appalti di forniture nel settore dell’informatica a società costituite con prevalente partecipazione statale, anche indiretta.

 A conclusione dell’analisi critica circa i metodi di scelta del contraente più adatti per la Pubblica Amministrazione nel settore informatico, si può ribadire che l’appalto concorso sembra tener conto in misura maggiore della peculiarità dei negozi posti in essere ed appare, quindi, come la soluzione più indicata per un’estesa ed obiettiva esplorazione dei mercati.

5) Il controllo interno di gestione.

 La funzione del controllo nasce e si specifica in riferimento all’attività produttiva alla quale il controllo stesso si applica ed alle interdipendenze che sussistono tra il sistema controllato e gli altri soggetti economici che operano sul mercato.

 Il controllo esterno ha scopi e caratteristiche diversi dal controllo interno. Il controllo esterno risponde ad un’esigenza di informazioni da parte della generalità dei cittadini sulle attività pubbliche; esso è volto a far rispettare le regole, le procedure ed i vincoli che limitano le scelte degli amministratori e disciplinano i modi di porre in atto pubbliche attività.

 Il controllo interno ha, invece, la prevalente finalità di verificare e/o di elevare il livello di efficienza e di efficacia raggiunto nel corso della gestione; esso risponde ad esigenze di conoscenza interne ad ogni organismo produttivo che deve realizzare obiettivi prestabiliti.

 Tradizionalmente, nelle Pubbliche Amministrazioni è stato privilegiato l’esercizio del controllo esterno e si è tralasciato quello interno. Il primo è svolto da strutture specialistiche che hanno il compito di garantire la legittimità degli atti posti in essere dalla Amministrazione, mentre il secondo è esercitato all’interno delle Autorità Pubbliche al fine di far conoscere agli stessi organi di direzione i comportamenti operativi tenuti durante la gestione e gli effetti che essi abbiano prodotto sugli obiettivi perseguiti.

La funzione del controllo interno è volta a monitorare l’attività di gestione, a rilevare gli scostamenti tra ciò che si sta verificando e ciò che è stato programmato e ad analizzare le cause che hanno determinato detti scostamenti [11]. E’ un controllo di carattere informativo e collaborativo: di qui la sua essenza di funzione strumentale.

 In tale tipo di attività viene, dunque, fotografato l’andamento gestionale, mediante la verifica dell’efficacia, dell’efficienza e dell’economicità della stessa. In generale, il controllo di gestione si traduce in motivate osservazioni finalizzate ad indirizzare l’azione futura ed a correggere gli scostamenti determinatisi in quella in atto rispetto ai parametri revisionali.

 Più che in un giudizio, si traduce in una analisi, rappresentando un insieme di rilevazioni di risultati economici della gestione, in virtù dei quali è possibile trarre utili elementi di valutazione per la futura attività [12].

 In particolare, per quanto riguarda i contratti stipulati dalla Pubblica Amministrazione nella materia concernente i servizi per lo sviluppo e la conduzione di sistemi informativi, la forma di controllo interno, che potremo definire in itinere, è quella prevista dall’art. 13 del d. lgs. n. 39 del 1993 [13], il quale ha stabilito che l’esecuzione dei contratti in parola debba essere fatta oggetto di un periodico monitoraggio, secondo i criteri e modalità stabiliti dall’ Autorità per l’Informatica nella Pubblica Amministrazione.

Il monitoraggio e la verifica rispondono alla necessità di una adeguata e corretta gestione, da parte delle Pubbliche Amministrazioni, dei contratti in materia di sistemi informativi.

Per questo costituiscono uno strumento operativo di buona amministrazione che, applicato ai contratti di servizio ed ai progetti ad essi relativi, è finalizzato al perseguimento di efficacia, rappresentata come capacità di un progetto di raggiungere l'obiettivo contrattualmente assegnatogli; efficienza, intesa quale caratteristica di una gestione contrattuale di ottenere un dato risultato con i minori mezzi; economia, espressa dal grado di priorità dell'obiettivo progettuale nell'economia complessiva dell'amministrazione; trasparenza, attestata dalla disponibilità dell'informazione necessaria ai diversi attori interessati.

Per questa pluralità di intenti il monitoraggio e la verifica si distinguono dagli altri strumenti di controllo e valutazione che le organizzazioni applicano a progetti d'investimento.

 L’attività di monitoraggio, a differenza del collaudo, non si limita alla verifica a posteriori, finalizzata all'accettazione della fornitura, ma copre tutta la durata del contratto e ha l'obiettivo di scoprire ed evidenziare i problemi affinché siano risolti in tempo utile. Il monitoraggio per essere efficace non deve avallare l'accettazione di una fornitura, ma contribuire a che la fornitura stessa soddisfi in pieno le esigenze dell' Amministrazione committente.

 Rispetto alla direzione lavori, il monitoraggio non può essere affidato a un singolo professionista. L'efficacia desiderata richiede, infatti, risorse adeguate per un'attività di controllo la cui durata si estende anche oltre i tempi del contratto.

 Il monitoraggio sulla bontà dell'investimento può essere visto come una forma di controllo dei costi per l'informatizzazione, una verifica che le esigenze espresse dall'amministrazione rispecchiassero reali bisogni o effettive prospettive di miglioramento. Esso rappresenta, pertanto, una forma completa e innovativa di controllo efficace delle forniture, caratteristica che lo rende esportabile ad altri contesti, oltre quello della Pubblica amministrazione, per i quali l'informazione costituisca la materia prima del loro processo produttivo (settori bancario ed assicurativo).

 Tale tipo di controllo ha senso come azione di rilevamento dati, esclusivamente all'interno di un contratto. Ciò nonostante le sue risultanze possono travalicare il contratto stesso. Per questo, detta attività ha due obiettivi, a breve termine ed a lungo termine.

 L'obiettivo a breve termine riguarda l'identificazione di scostamenti dalle prescrizioni contrattuali. Da questo obiettivo discendono due tipi di azioni: da un lato, identificare azioni preventive e correttive atte a superare le anomalie rilevate; dall'altro, modulare l'adeguamento delle tariffe, inizialmente calcolate sulla base di una stima di volumi e prestazioni attese, per il tramite di meccanismi contrattuali di parametrazione ai volumi, e delle penali sullo scostamento rispetto ai valori prestazionali concordati (disponibilità, tempo di risposta, puntualità), sino ad un limite inferiore sotto il quale c'è un degrado del servizio inaccettabile all'interno del contratto in essere.

 L'obiettivo a lungo termine si lega all'evoluzione delle forme contrattuali. Da questo obiettivo discendono l'azione di rilevamento dei dati a consuntivo e la scelta dei volumi e dei livelli prestazionali da inserire nella rinegoziazione del contratto o nella stesura del contratto successivo, basate non più su stime, ma confortate da serie storiche di dati oggettivi.

6) Il monitoraggio informatico.

Il monitoraggio deve essere avviato immediatamente a seguito della stipulazione dei contratti ovvero entro 120 giorni dall’entrata in vigore del decreto [14] (ossia il 1° gennaio 1994) per i contratti in corso di esecuzione, a cura dell’Amministrazione o, su richiesta di quest’ultima, dall’ Autorità per l’Informatica nella Pubblica Amministrazione (A.I.P.A.). A tal fine, si può far ricorso alla consulenza di società specializzate incluse in un elenco predisposto dalla stessa A.I.P.A., attraverso le procedure previste dalla disciplina comunitaria in materia di appalti pubblici di servizi.

E’ prevista anche una particolare procedura d’impulso da parte dell’Autorità, alla quale è consentito sostituirsi d’ufficio all’amministrazione in caso di sua inerzia, sopportandone anche l’onere finanziario.

Di particolare rilievo appare inoltre la disposizione contenuta nel 3° comma dell’art. 13 del citato decreto legislativo, laddove è previsto che non è consentito procedere al rinnovo alla medesima impresa contraente dei contratti di grande rilievo, ove non sia stata dapprima effettuata la verifica dei risultati conseguiti in precedenza secondo quanto previsto dall’art. 7, comma 1, lett. d), dello stesso decreto legislativo n. 39.

Con riferimento al monitoraggio sono sorti quesiti in ordine alla possibilità che a svolgere l’attività in questione siano chiamate anche le associazioni e le fondazioni senza scopo di lucro nonché in ordine alle modalità di affidamento dell’incarico.

Per rispondere ai predetti quesiti, avendo il legislatore omesso qualunque indicazione circa il concetto di società specializzata come possibile affidataria dell’attività di monitoraggio e circa le procedure contrattuali da seguire per tale affidamento, appare opportuno procedere pregiudizialmente ad un’accurata analisi del termine monitoraggio, definendone contenuto e ambito applicativo, al fine di trarre utili notazioni per risolvere i quesiti posti.

In via preliminare, converrà intanto osservare che, sotto il profilo temporale, il monitoraggio è visto dal legislatore come un’attività coeva all’esecuzione del contratto, tant’è che ne è disposto l’avvio immediato non appena si sia provveduto alla stipulazione e, nel caso di contratti già in essere, l’avvio entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo n. 39.

Tale termine è peraltro da considerare meramente ordinatorio, e pertanto non preclusivo dell’avvio di un’attività di monitoraggio anche dopo la sua scadenza, ancorché appaia logico ritenere che il termine utile per l’avvio dell’attività in questione debba considerarsi esaurito con il completamento dell’esecuzione del contratto da monitorare.

Operando un collegamento tra la succitata prescrizione normativa e quella contenuta nell’art. 7 lett. d) del decreto legislativo - in virtù del quale all’Autorità per l’Informatica spetta, tra l’altro, di “verificare periodicamente, d’intesa con le amministrazioni interessate, i risultati conseguiti nelle singole amministrazioni, con particolare riguardo ai costi e ai benefici dei sistemi informativi automatizzati, anche mediante l’adozione di metriche valutazioni dell’efficacia e della qualità”- può trarsi una prima conclusione: il monitoraggio è considerato dal legislatore come un’attività continuativa, intessuta di una serie di operazioni tecniche e amministrative, intese a verificare, contestualmente all’esecuzione del contratto, se le risorse economiche e umane impiegate per realizzare l’opera o il servizio siano utilizzate in modo da conseguire i risultati preventivati o quelli ulteriori e, in ipotesi, diversi che fossero stati definiti in corso d’opera.

In altre parole, si tratta di un’attività di valutazione in corso d’opera, mirante, da un lato, a un controllo-conoscenza dei dati quantitativi rilevabili in sede di attuazione del progetto, per verificare il grado di aderenza ad eventuali scostamenti della realtà rispetto al modello di riferimento, dall’altro all’acquisizione di uno strumento di governo, guida e correzione continua del modello in parola in vista delle finalità perseguite.

Detta opera di valutazione potrà essere caratterizzata da una maggiore o minore complessità, non solo in relazione all’importanza del progetto, ma altresì in funzione del grado di analiticità e di dettaglio che si vuole dare all’attività di verifica, in relazione agli obiettivi e alle finalità perseguite.

Si potrà quindi oscillare tra un monitoraggio sommario – consistente in una mera valutazione del contratto nel suo complesso, teso a fornire indicazioni sul valore del bene e sulla congruità tecnico-economica della prestazione convenuta - ed un monitoraggio particolareggiato, consistente in una verifica approfondita, contestuale all’avanzamento dell’ esecuzione contrattuale, con la rilevazione degli adempimenti, degli eventuali scostamenti rispetto ai programmi, della ricerca delle cause e degli effetti stimati, fino a effettuare, in casi di particolare rilevanza, anche un controllo amministrativo-contabile (auditing), nel senso di una verifica della validità dell’intero sistema organizzativo realizzato, in termini di adeguatezza, efficienza ed efficacia dello stesso rispetto ai fini perseguiti. In tal caso si parla di monitoraggio analitico.

Così sommariamente descritto il monitoraggio, occorre ora individuare i soggetti che tale attività sono abilitati a svolgere sotto il profilo tecnico-professionale, l’unico in grado di dare contenuto e pregnanza alla previsione normativa che ne fissa i criteri di legittimazione sotto il profilo tecnico-giuridico.

Si è già detto infatti che il legislatore si è limitato a stabilire, in modo generico, che l’esecuzione del monitoraggio può essere affidata a società specializzata inclusa in uno speciale elenco predisposto dall’Autorità, evidentemente riconoscendo, all’inclusione nel suddetto elenco, effetto di legittimazione da un lato e preclusivo dall’altro, ai fini dell’identificazione dei soggetti quali possibili destinatari di incarichi di monitoraggio.

Poiché è lecito pensare che la discrezionalità dell’Autorità nella predisposizione dell’elenco stesso sia eminentemente tecnica, non può non discendere, sotto l’aspetto logico e giuridico, che solo quei soggetti che dimostrino particolari capacità tecniche nell’effettuare attività come quelle già descritte possono legittimamente aspirare a essere inclusi tra i possibili destinatari di un incarico.

Al riguardo va osservato, peraltro, che, oltre ai requisiti per così dire positivi, concernenti le capacità tecniche e organizzative già indicate, la legge fissa anche dei requisiti negativi, che consistono:

in una forma particolare di incompatibilità nel non poter partecipare all’assegnazione di contratti di monitoraggio da parte di quei soggetti che prestano la loro opera o siano comunque collocati con imprese appaltatrici impegnate in fasi di sviluppo di un sistema informativo automatizzato. Il richiamo all’art. 7 della legge 10 ottobre 1990, n, 287, attesa la sempre maggiore diffusione della pratica societaria delle partecipazioni azionarie incrociate, esalta e amplia notevolmente la portata del divieto sancito dall’art. 13 del decreto n. 39, ma sottolinea, nel contempo, il carattere neutro e imparziale dell’attività di monitoraggio, parzialmente vista anche come funzione, tanto che ne è previsto, in modo prioritario, lo svolgimento da parte della stessa Pubblica Amministrazione, che notoriamente è tenuta all’osservanza del principio di imparzialità, ex art. 97 Cost.;

nel divieto, sancito dal comma 3 dell’art. 13 del decreto, di rinnovare alla medesima impresa un contratto di grande rilievo ove non sia stata dapprima effettuata la verifica dei risultati conseguiti in precedenza: effetto preclusivo di grande significato, ove si ponga nella dovuta evidenza che allo svolgimento di una corretta ed efficace azione di monitoraggio è strettamente legato il conseguimento di quegli obiettivi di efficienza e di efficacia che costituiscono uno dei fini rilevanti perseguiti dal legislatore con la normativa sui sistemi informativi automatizzati.

Va inoltre aggiunto che il carattere tecnico e specialistico dell’attività e il potenziale accesso a procedure riservate o coperte da segreto d’ufficio giustificano, da un lato, la previsione di standard tecnici, elaborati dall’Autorità (“secondo criteri e modalità stabiliti dall’Autorità”, recita la norma), ai quali i soggetti prescelti si devono attenere nell’eseguire il monitoraggio; dall’altro l’individuazione di soggetti, oltre che dotati di capacità tecniche e di know-how adeguati – di cui rendere partecipe l’Amministrazione - pienamente affidabili sotto il profilo della correttezza e della onorabilità professionale, atti a garantire l’Amministrazione sulla corretta esecuzione delle obbligazioni contrattuali assunte dall’impresa contraente. Ciò implica anche la fissazione, da parte dell’Autorità, di requisiti tecnici e morali di grande rigore, se si vuole che il monitoraggio consegua gli scopi per cui è stato imposto dal legislatore.

Consegue, la necessità che le società aspiranti all’inclusione nell’elenco dei soggetti abilitati devono dimostrare le proprie capacità tecniche nel campo delle metodologie informatiche, attraverso la produzione di un adeguato curriculum delle esperienze effettuate nell’esecuzione di contratti di monitoraggio di sistemi informativi o, quanto meno, di attività di auditing in materia di investimenti produttivi ad alta tecnologia o di consulenza aziendale in settori produttivi avanzati.

 La prescrizione del legislatore circa la specializzazione della società che intende candidarsi all’assegnazione di un contratto di monitoraggio è, del resto, in linea con la normativa comunitaria, la quale (art. 32 della dir. 92/50 sugli appalti di pubblici servizi) stabilisce che la capacità dei prestatori a eseguire servizi può essere valutata, in particolare, con riferimento alla loro competenza, efficienza, esperienza ed affidabilità e, inoltre, che la prova della capacità tecnica può essere fornita, a seconda della natura, della qualità e dello scopo dei servizi da prestare mediante: l’indicazione dei titoli di studio e professionali dei dirigenti dell’impresa o delle persona responsabili della prestazione di servizi; l’elencazione dei principali servizi prestati ad amministrazioni, certificati dall’autorità competente; la dichiarazione relativa agli strumenti ed alle apparecchiature tecniche di cui il prestatore di servizi dispone; infine, qualora i servizi da prestare siano particolarmente complessi, una verifica compiuta dall’ Amministrazione o, per suo conto, da un organismo ufficiale competente.

 Inoltre, in base all’art. 35 della suddetta direttiva, “gli Stati membri che dispongono di elenchi ufficiali di prestatori di servizi riconosciuti devono adeguarli alle disposizioni dell’art. 29, lettere da a) a d) e g) e degli articoli da 30 a 32”, avendo presente che l’art. 29 disciplina i casi in cui un prestatore di servizi può venire escluso dal partecipare ad un appalto (per gravi inadempienze di legge o contrattuali), mentre gli articoli da 30 a 32 attengono alla dimostrazione della sua capacità finanziaria, economica e tecnica.

 Le osservazioni che precedono circa il rilievo preminente che le norme, sia nazionali che comunitarie, attribuiscono alla qualificazione tecnico-professionale del prestatore di servizi, oltre che alle sue qualità morali, inducono a ritenere non vincolante, sotto il profilo lessicale, il termine società adottato dal legislatore nazionale per individuare i possibili destinatari di un incarico di monitoraggio, con la conseguenza che anche le associazioni e le fondazioni debbono considerarsi potenziali soggetti contraenti di un contratto del tipo, sempreché le stesse diano dimostrazione di possedere le capacità tecniche necessarie per svolgere in maniera efficace l’attività che loro si richiede e siano in possesso degli altri requisiti prescritti dall’Autorità: ciò in quanto le associazioni e fondazioni possono svolgere anche attività imprenditoriali, che rispetto agli scopi istituzionali possono trovarsi o in rapporto meramente strumentale, in quanto volto al reperimento dei mezzi occorrenti per gli stessi, oppure in rapporto diretto, in quanto di per sé idonee alla immediata realizzazione degli scopi medesimi [15]. Sempre secondo la richiamata sentenza, in analogia con quanto dispone per gli Enti Pubblici economici l’art. 2001 cod.civile, associazioni e fondazioni acquistano la qualità di imprenditori commerciali, con conseguente applicazione del relativo status e della legge fallimentare, quando la gestione dell’impresa esaurisca l’attività dell’ente o sia prevalente rispetto ad altre attività, in modo da assurgere, ancorché di fatto, a oggetto esclusivo o principale dell’ente medesimo.

 Altro problema che si pone è quello concernente le procedure di affidamento che debbono essere seguite per dare corso al monitoraggio. Al riguardo, occorre, in via preliminare, osservare che, sulla scia di quanto si è detto in ordine alla modalità ed alla tecnica di esecuzione del monitoraggio, è lecito pensare che quest’ultimo si atteggi più come un servizio che come una funzione. La distinzione non è da considerarsi puramente accademica, atteso che da una diversa configurazione del monitoraggio possono derivare effetti diversi in ordine ai poteri trasferibili al soggetto affidatario e, conseguentemente, alle procedure di scelta di quest’ultimo da parte dell’ Amministrazione.

Sotto il primo profilo, benché il controllo costituisca, senza dubbio alcuno, una funzione propria della Pubblica Amministrazione, è tuttavia vero che esso si concretizza anzitutto in un’attività conoscitiva e, conseguentemente, propositiva da parte del monitore nei confronti della stessa Amministrazione: sicché la sua attività si concretizza presumibilmente nell’acquisire la maggiore quantità possibile di dati conoscitivi, nell’elaborare il significato e nel proporre all’Amministrazione uno strumento per la verifica dei risultati e di guida e indirizzo per la prosecuzione dell’intervento.

Essa appare perciò tipicamente strumentale all’attività definitoria dell’Amministrazione, cui soltanto compete ogni decisione operativa in ordine al contratto monitorato. Se quanto si è osservato risponde a realtà, appare difficile ipotizzare che l’affidamento del contratto di monitoraggio sia disposto attraverso un atto di concessione, benché il ricorso a tale procedura sia stato espressamente previsto nell’art. 2, comma 2, del decreto legislativo n. 39, laddove si legge che “ove sussistono particolari necessità di natura tecnica, adeguatamente motivate, le amministrazioni possono conferire affidamenti a terzi, anche tramite concessione, qualora la relativa proposta sia accolta nel piano triennale di cui all’art. 9”.

 Invero, benché la norma non specifichi, sembra lecito ritenere che la stessa faccia riferimento ai contratti per la realizzazione di sistemi informativi automatizzati di cui al 1° comma dello stesso art. 2, rispetto ai quali l’Amministrazione ritenga di dover esercitare un potere di intervento più penetrante, in relazione anche a taluni profili organizzativi che impongono una particolare cautela nel tutelare la riservatezza di progetti. E’ ben vero però che tale esigenza di riservatezza, potrebbe riguardare anche l’attività di monitoraggio, se non altro per motivi di connessione. In tal caso deve ritenersi che anche ai relativi contratti si possa procedere attraverso la procedura concessoria, ancorché subordinatamente a esplicita previsione da parte del piano triennale di cui all’art. 9 del decreto. In tutti gli altri casi sembra doversi accogliere la tesi che ravvisa in tali contratti un vero e proprio appalto di servizi.

 Tutto ciò premesso, deve ritenersi che, nella scelta delle procedure di aggiudicazione, le Amministrazioni interessate non possono che seguire la procedura ristretta, nell’ambito della quale possono presentare offerte soltanto i prestatori di servizio invitati dall’Amministrazione. A tale conclusione non induce soltanto l’ovvia considerazione di assicurare un minimo di concorrenzialità nell’offerta da parte del prestatore di servizi, ma la circostanza che, essendo questi ultimi legittimati a ricevere l’invito per la semplice circostanza di essere inclusi nell’elenco predisposto dalla Autorità a termini dell’art. 13 del decreto legislativo, un’eventuale esclusione dal partecipare alla gara rischierebbe di costituire oggetto di impugnativa davanti al giudice amministrativo.

 A conferma di quanto sopra, è forse utile ricordare che ormai in sede comunitaria la stessa concessione viene considerata alla stregua di un contratto e perciò soggetto alle regole della procedura ristretta, seppur limitata a soggetti in possesso di particolari requisiti, con la conseguenza che, in forza alle norme comunitarie, l’Amministrazione non è più libera di scegliere discrezionalmente il concessionario venendo così a mancare quella discrezionalità che costituisce il fondamento pubblicistico dell’atto concessorio.

 Ciò non esclude che in qualche caso possa configurarsi l’ipotesi formulata nella stessa direttiva comunitaria del ricorso alla procedura negoziata (sostanzialmente trattativa privata): anche qui, tuttavia, tranne il caso della estrema urgenza determinata da avvenimenti imprevedibili per l’Amministrazione, tali che non possano essere osservati i termini per la procedura aperta o ristretta, e dell’ipotesi della cosiddetta privativa, ossia del caso in cui una sola ditta sia in grado di offrire il servizio richiesto, deve ritenersi che anche la procedura negoziata debba essere preceduta dall’espletamento di una gara informale, previa pubblicazione di un bando di gara.

Recentemente, in data 9 maggio 2002. è stato approvato dal Consiglio dei Ministri uno schema di regolamento recante la soppressione dell’Autorità per l’Informatica nella Pubblica Amministrazione e del Centro Tecnico di cui all’articolo 17, comma 19, della legge 15 maggio 1997, n. 127 e l’istituzione dell’Agenzia nazionale per l’innovazione tecnologica.

L’Agenzia subentra in tutti i rapporti giuridici, attivi e passivi, dell’A.I.P.A. e del Centro Tecnico, e ad essa sono conferite le strutture e le risorse a qualunque titolo attribuite ai precedenti organismi.

Rimangono, pertanto, in vigore le circolari emanate dall’Autorità.

In particolare, per quanto riguarda il monitoraggio dei contratti informatici di grande rilievo, la circolare 28 dicembre 2001, n. AIPA/CR/38, ha precisato i compiti e le responsabilità riferiti all’azione di monitoraggio e alla verifica dei contratti informatici, ponendo in evidenza l’attività di direzione dei lavori.

Detta attività svolta dal monitore non si sostituisce alle funzioni di direzione lavori e di controllo interno del Fornitore (Assicurazione qualità del Fornitore e controlli qualità previsti dal ciclo di vita del Fornitore stesso), né alla funzione di direzione lavori svolta dal Committente al fine di garantire che i lavori siano effettuati in coerenza con il progetto ed a regola d’arte.

Essa integra le capacità di governo del contratto da parte del Committente, attraverso verifiche ed analisi di particolare profondità e complessità tecnica effettuate da una terza parte su incarico del Committente, per rilevare eventuali scostamenti dagli obiettivi contrattuali, se possibile nelle fasi alte del ciclo di vita della fornitura, collaborando alla risoluzione delle criticità anche con proposte di azioni correttive e seguendone l’eventuale applicazione.

L’interlocutore del monitore è il Responsabile dei Sistemi Informativi Automatizzati del Committente.

Il monitoraggio è affidato ad una squadra comprendente una pluralità di competenze.

Si osserva che la direzione dei lavori, di norma collegata ad un contratto di appalto, trova origine per i progetti di ingegneria, finalizzati alla realizzazione ed attuazione di un modello progettuale, nel quale sono definiti l’obiettivo da raggiungere, i metodi ed i calcoli per la costruzione dell’opera che realizza l’obiettivo, le attività necessarie e il loro calendario, i costi ed i vincoli contrattuali.

La direzione lavori è un ufficio dell’Amministrazione, normalmente rappresentato da un suo tecnico, con il quale la stessa Amministrazione, da un lato, controlla il positivo andamento dei lavori secondo i patti contrattuali, dall’altro, si tiene a disposizione dell’appaltatore per quella necessaria cooperazione tra appaltante e appaltatore nella esecuzione dei lavori.

Normalmente l’incarico è attribuito ad un funzionario della stessa Amministrazione appaltante, ma non è escluso che la nomina venga effettuata nei confronti di professionisti estranei all’Amministrazione, iscritti in albi professionali; la nomina avviene intuitu personae, vale a dire il soggetto viene scelto in quanto si riconoscono in capo allo stesso capacità e nozioni tali da renderlo tecnicamente particolarmente idoneo all’incarico. Per questi motivi la prestazione deve essere considerata non ratione officii e, pertanto, remunerata a parte.

In quanto garante, come si è detto, che i lavori siano effettuati in coerenza con il progetto ed a regola d’arte, il direttore dei lavori è responsabile per scadente esercizio della propria attività e per danno eventuale arrecato all’Amministrazione. Le conseguenze sono diverse a seconda che il direttore dei lavori sia o meno un dipendente pubblico.

Nel primo caso si ha una responsabilità disciplinare ed il danno è risarcibile nell’apposito giudizio davanti alla Corte dei Conti (responsabilità amministrativa per danno patrimoniale all’erario); nel secondo caso si può arrivare alla risoluzione anticipata del contratto e l’ipotesi di danno si inquadra nel risarcimento dei danni per inadempimento contrattuale, con competenza del giudice civile.

Le direzioni dei lavori prevista, invece, dalla citata circolare n. 38 deve essere intesa come attività di project management [16]: cioè come capacità di segmentazione dei progetti, di definizione degli obiettivi contrattuali, di pianificazione e controllo di tempi, costi, risorse utilizzate e risultati ottenuti, di sintesi e reporting.

Il monitoraggio e la verifica si distinguono dagli altri strumenti di controllo e valutazione, in quanto si dedicano all’intera problematica progettuale a partire dalla validità degli obiettivi.

Il monitoraggio si articola in diverse azioni, specifiche di ogni fase del ciclo di vita della fornitura. Esse sostengono il Responsabile dei Sistemi Informativi Automatizzati nella valutazione dell’impatto economico ed organizzativo, nel controllo dell’avanzamento dei progetti e nell’accertamento dei livelli di servizio e comprendono i seguenti cinque gruppi di attività: realizzazione dello studio di fattibilità, redazione degli atti di gara, direzione dei lavori, assistenza al collaudo e realizzazione del piano di continuità ed emergenza.

La verifica dei contratti informatici va effettuata dopo che la fornitura sia stata eseguita; eventualmente al termine di sue fasi significative. L’attività di verifica è effettuata con particolare riguardo ai costi ed ai benefici dei sistemi informativi automatizzati, mediante l’adozione di metriche di valutazione dell’efficacia, dell’efficienza e della qualità. Essa sostiene il Responsabile dei Sistemi Informativi Automatizzati nella valutazione dei risultati ottenuti mediante: comparazione tra l’analisi costi/benefici effettuata ex ante ed ex post; l’ analisi della relazione tra beni e servizi informatici ricevuti dal fornitore, altre risorse impiegate e risultati ottenuti; l’ analisi delle cause che abbiano eventualmente limitato o impedito il raggiungimento degli obiettivi.

In considerazione di quanto sopra evidenziato, si rileva che ai sensi della citata circolare n. 38, punti 5 e 6, le attività di monitoraggio e di verifica ex post devono, in ogni caso, essere affidate a soggetti diversi. Il successivo punto 7 dispone, poi, che i monitori interni svolgenti attività di verifica ex post devono operare in condizioni di indipendenza dal Responsabile dei Sistemi Informativi Automatizzati mentre l’attività ex ante, alla luce dei compiti precisati dall’A.I.P.A., dovrebbe essere preferibilmente collocato nell’ambito dell’Ufficio del predetto Responsabile.

7) Il controllo della Corte dei Conti.

I contratti ed i relativi atti di esecuzione in materia di sistemi informativi automatizzati sono sottoposti al controllo successivo della Corte dei conti, la quale comunica alla Autorità per l’Informatica nella Pubblica Amministrazione gli eventuali rilievi riscontrati (art. 14 decreto legislativo n. 39/93).

Il controllo successivo di cui al suindicato art. 14 deve essere considerato non isolatamente ma in un contesto normativo che regola appositamente tale attività di controllo.

Il combinato disposto dell’art 14 del decreto legislativo 12.2.1993, n. 39 e dell’art. 3 della legge 14.1.1994 n. 20 stabilisce che i contratti ed i relativi atti di esecuzione in materia di sistemi informativi automatizzati stipulati dalla Amministrazioni dello Stato sono sottoposti al controllo successivo della Corte dei conti. A tal fine la Corte riceve, entro 30 giorni dalla stipulazione, gli atti necessari ad aprire il procedimento relativo al controllo successivo nonché periodiche informazioni sulla gestione dei contratti stessi. La disposizione, quindi, qualifica tale tipo di controllo come successivo di gestione, e, pertanto, appare indubbio che tale attività deve svolgersi secondo le prescrizioni dettate dal comma 4 dell’art. 3 della legge n. 20 del 1994.

A seguito dell’entrata in vigore della legge n. 639 del 1996, il controllo della Corte dei conti sui contratti relativi all'acquisto di materiale informatico da parte delle Pubbliche Amministrazioni, ai sensi del combinato disposto dell'art. 14, comma primo, del decreto legislativo n. 39 del 1993, e dell'art. 3, comma ottavo, della legge n. 20 del 1994, va ricondotto nell'ambito del sistema generale del controllo nel senso cioè che ove gli importi superino i limiti previsti dall'art. 3 della legge n. 20 del 1994, comma primo, lett. g), i decreti approvativi sono soggetti a controllo preventivo di legittimità mentre i contratti aventi valore inferiore formeranno oggetto di un obbligatorio controllo sulla gestione, con esclusione, peraltro, di ogni valutazione di legittimità su singole fattispecie [17] .

La legge n. 20 del 14 gennaio 1994 rappresenta un complesso normativo di non facile interpretazione e applicazione. Le ragioni di tali difficoltà dipendono in larga misura dai diversi compromessi di ordine politico di cui la legge stessa è stata vittima in una girandola di decreti legge non convertiti, reiterati e poi abbandonati e trasformati [18].

Questa situazione ha avuto quanto meno il merito di focalizzare l’attenzione sulla necessità di aggiornare le tipologie dei controlli effettuati dalla Corte. Il punto principale di tale dibattito è il passaggio da una metodologia di controllo per atti a un sistema di verifiche che abbia per oggetto il complesso della gestione amministrativa. La legge n. 20 del 14 gennaio 1994 ha per l’appunto riformulato la normativa in materia di esercizio dei controlli e di azione di responsabilità. Con tale legge si è cercato di combinare al meglio il controllo preventivo, che investe la legittimità formale e che costituisce una condizione per l’efficacia dell’atto, con quello successivo, che riguarda appunto la gestione.

Per quanto riguarda il primo tipo di controllo, la legge ne ha disciplinato l’esercizio, introducendo il principio del silenzio assenso. Gli atti, di cui la Corte non dichiari la non conformità entro 30 giorni, divengono efficaci.

Quanto al controllo successivo, va rilevato che costituisce la parte più ricca di potenzialità per l’attività della Corte e per la possibilità di incidere positivamente sul funzionamento della Pubblica Amministrazione.

8) Il controllo preventivo di legittimità.

Attraverso la riforma dei controlli della Corte dei conti, attuata con l’emanazione della legge 14 gennaio 1994, n. 20, il legislatore ha cercato di configurare al meglio il controllo preventivo, che investe la legittimità formale e che costituisce una condizione di efficacia dell’atto, unitamente a quello successivo.

Per quanto riguarda il primo tipo di controllo, come è stato già riferito, la legge ne ha disciplinato l’esercizio introducendo il principio del silenzio assenso: gli atti, per i quali la Corte dei conti non dichiari la non conformità a legge entro trenta giorni dal ricevimento, divengono efficaci. Questa novità ha eliminato la lentezza dell’azione amministrativa causata dalle lungaggini delle procedure di registrazione da parte della Corte stessa.

Dalla relazione di accompagno al disegno di legge di conversione emergeva, appunto, che l’impegno assunto con i decreti-legge suindicati era quello di predisporre opportuni strumenti capaci di offrire al Paese appropriate misure atte a condurre la Pubblica amministrazione con principi di correttezza ed imparzialità nell’interesse esclusivo del cittadino. La ratio di detta normativa è quella, pertanto, di rendere più rapido e snello l’iter dei procedimenti amministrativi.

L’art. 3 della legge in argomento, richiamando quanto in precedenza definito dall’art. 7 dei reiterati decreti legge [19], ha notevolmente ristretto l’area di operatività del controllo preventivo di legittimità della Corte dei conti limitandolo ai soli atti tassativamente elencati nel comma 1, e, stabilendo, nel contempo, che il controllo successivo sarà svolto secondo programmi e criteri che la stessa Corte dovrà definire annualmente.

La nuova disciplina relativa alla funzione del controllo preventivo della Corte dei conti stabilisce la conclusione del procedimento stesso in tempi stretti, il cui inutile trascorrere dà luogo alla formazione del silenzio assenso. Questo istituto giuridico è stato di recente introdotto nel Diritto amministrativo per la tutela del cittadino contro l’indifferenza o l’arroganza della Pubblica Amministrazione. Esso, ove ricorrono i presupposti fissati dalla norma, assume significato giuridico costituendo momento conclusivo del procedimento amministrativo, a seguito del silenzio della Pubblica Amministrazione protratto oltre il termine stabilito.

La tendenza a qualificare in termini di positività il decorso di un termine determinato, costituisce, pertanto, nel piano della politica legislativa, un modo di privilegiare la speditezza del procedimento. Dal punto di vista giuridico, il silenzio accoglimento equivale alla pronuncia positiva dell’Organo di controllo in merito alla legittimità dell’atto.

9) I termini per l’esercizio della funzione di controllo esterno.

Passiamo ora ad esaminare i termini per l’esercizio del controllo, così come delineato dal comma 2 dell’art. 3 della legge n. 20 del 1994 successivamente modificato dall’art. 2 del decreto legge 8 agosto 1996, n. 441 [20].

La normativa suindicata stabilisce un termine generale per la definizione del procedimento di trenta giorni dal ricevimento dell’atto da parte della Corte, trascorso il quale senza che l’Organo abbia dichiarato l’atto stesso non conforme a legge o ne rimetta l’esame alla Sezione del controllo, ovvero abbia richiesto chiarimenti o elementi integrativi di giudizio, il provvedimento diviene efficace.

Ulteriore termine di trenta giorni decorre dal ricevimento delle controdeduzioni dell’Amministrazione: trascorso il quale senza che la Corte dichiari l’atto non conforme a legge ovvero ne rimetta l’esame alla Sezione del controllo, l’atto diventa efficace e, pertanto, idoneo a portare in esecuzione la volontà provvedimentale.

Qualora, invece, esso venga rimesso all’esame della Sezione del controllo, è previsto un ulteriore termine di trenta giorni. In questo caso, infatti, la normativa vigente stabilisce che la Sezione del controllo si pronunci definitivamente nei trenta giorni successivi dal ricevimento delle controdeduzioni. Anche in tale fattispecie l’inutile trascorso del termine rende l’atto sottoposto a controllo preventivo suscettibile di essere portato in esecuzione.

La prima parte del procedimento sopra descritto si svolge davanti al magistrato delegato; mentre le altre si svolgono davanti alla Sezione del controllo. Perciò, il Consigliere delegato, nei trenta giorni assegnati dalla legge, o dichiara l’atto non conforme a legge, o chiede chiarimenti all’Amministrazione. Decorsi trenta giorni dal ricevimento delle controdeduzioni dell’Amministrazione - prescrive l’articolo 3, comma 2, della legge 14 gennaio 1994, n. 20, così come modificato da ultimo dall’articolo 2 del decreto legge 8 agosto 1996, n. 441 - il provvedimento diventa esecutivo qualora non venga rimesso all’esame della Sezione del controllo. In quest’ultimo caso la pronuncia sulla conformità a legge dovrà aversi entro i trenta giorni dalla data di deferimento.

Quando la fase procedimentale concernente il controllo preventivo si conclude con esito positivo, esso si formalizza in un duplice atto: il visto che viene apposto sullo stesso testo dell’atto controllato e la registrazione di questo.

Se il provvedimento si conclude con esito negativo si verifica, per conseguenza, che l’atto sottoposto a controllo viene definito inefficace. Questo comporta una serie di conseguenze in ordine ai rapporti con i terzi nonchè ai rapporti con la Corte dei conti, come autorità di controllo, e le singole Amministrazioni dello Stato.

Infatti, il procedimento di controllo preventivo davanti alla Corte dei conti non si configura quale provvedimento autonomo rispetto all’atto ad esso sottoposto. Cosicché, come ha rilevato la giurisprudenza [21], il giudizio finale della Corte non può essere oggetto di impugnativa o di sindacato né da parte dell’Amministrazione controllata, ne da parte dei soggetti terzi.

L’unico provvedimento impugnabile resta quello sottoposto a controllo, una volta che esso sia divenuto efficace con l’apposizione del visto e con la registrazione.

In conclusione, è da rilevare che l’esclusione della quasi totalità degli atti adottati dall’Amministrazione attiva dal controllo preventivo della Corte ha reso pressoché esclusivo il controllo delle Ragionierie, con più conseguenze sul piano della responsabilità [22].

10) Il controllo successivo di legittimità da parte della Corte dei Conti: natura della dichiarazione di illegittimità dell’atto.

La legge 14 gennaio 1994, n. 20, ha attuato, con l’art. 3, una profonda modifica della funzione del controllo della Corte dei conti prevedendo, in aggiunta al controllo preventivo di legittimità, limitato come si è precedentemente evidenziato a determinate categorie di atti e sottoposto a termini di decadenza, il controllo successivo sulla gestione del bilancio e del patrimonio delle Amministrazioni pubbliche, finalizzato alla verifica della rispondenza dei risultati conseguiti dall’azione amministrativa agli obiettivi stabiliti dalla legge.

Va subito rilevato, però, che il controllo successivo non è svincolato dalla verifica della legalità dell’azione amministrativa: ché, anzi, a questa si aggiungono altre tipologie di controllo (efficienza, efficacia, economicità, produttività) comunemente classificate nell’ambito del controllo di gestione.

In definitiva, con la normativa n. 20 del 1994 si è operata una nuova ripartizione tra le aree del controllo preventivo e quello successivo. L’area di quest’ultimo risulta essere molto più vasta, non solo perché si è ridimensionata quantitativamente la funzione del controllo preventivo, ma anche perché, dal punto di vista soggettivo, esso riguarda tutte le pubbliche amministrazioni, e, dal punto di vista oggettivo, si esplica sulla intera attività di gestione delle risorse pubbliche.

Ai sensi della suindicata normativa, occorre, quindi, individuare i tipi di controllo vigenti, in relazione ai poteri cognitori e decisori della Corte, distinguendo i controlli di legittimità da quelli sulla gestione e aprendo, poi, nella categoria dei controlli di legittimità una ulteriore distinzione a seconda del momento in cui i controlli stessi vengono effettuati; e cioè se essi intervengono prima che l’atto possa produrre effetti ovvero se hanno come oggetto di cognizione atti che hanno già avuto esecuzione o la cui esecuzione è in corso.

Il controllo successivo di gestione non riguarda più tutti gli atti emanati, ma è operato sulla base di apposite scelte programmate periodicamente dalla Corte. Il nuovo sistema del controllo de quo comporta, infatti, di per sé, che esso, non potendo coprire sul piano operativo l’intera area di gestione rimessa all’Organo istituzionale, sia mirato e programmato secondo scelte preparate dalla stessa Corte. Ciò comporta pure, correlativamente, che sia questa, nell’ambito di dette scelte, a richiedere alle Amministrazioni controllate ed agli Uffici del controllo interno, gli atti, documenti e notizie che occorrano per l’esercizio delle sue funzioni.

Per altro verso, l’introdotto controllo sulla gestione non esclude che i programmati riscontri portino ad adottare determinazioni circa la conformità, o meno, a legge, di atti che vengono singolarmente in evidenza nell’ambito del controllo sulle attività e gestioni prescelte facendone, quindi, oggetto di specifiche pronunce.[23] Infatti, lo stesso comma 4 dell’art. 3, prima parte, della legge n. 20 del 1994 ha espressamente previsto il controllo successivo di legittimità su determinati atti.

Circa gli effetti giuridici del sistema del controllo successivo di legittimità sugli atti da parte della Corte dei conti, come delineato dalla normativa vigente, va chiarito che solo il giudizio finale sulla legittimità comporta l’obbligo dell’Amministrazione ad adottare i necessari procedimenti di ottemperanza, laddove, in presenza di semplice rilievo dell’Ufficio di controllo, la medesima Amministrazione ha la sola facoltà di far ricorso al potere di annullamento d’ufficio, valutando discrezionalmente la sussistenza di un pubblico interesse alla rimozione dell’atto [24].

Quanto sopra esposto pone in evidenza, a parere della giurisprudenza [25], che il rilievo oltre ad essere diretto all’acquisizione di chiarimenti, documenti e notizie, è rivolto anche a contestare all’Amministrazione profili di illegittimità dell’atto senza, beninteso, alcuna anticipazione del giudizio finale sul provvedimento ma soltanto al limitato fine, per appunto istruttorio, di conoscere le eventuali deduzioni contrarie. Quindi il giudizio finale sulla legittimità dell’atto sottoposto a tale controllo successivo è rimesso alla determinazione del Consigliere ovvero della Sezione del controllo.[26] Ne deriva, quanto agli esiti, che non può darsi più ingresso a formali pronunce sul visto e la registrazione degli atti, le quali permangono solo come tipico esito del controllo preventivo di legittimità. Tale tesi viene supportata dalla presunzione di legittimità degli atti amministrativi, la quale è da ritenersi implicita nell’ordinamento vigente in quanto, diversamente, verrebbe vanificato il principio di necessità dell’azione amministrativa con il conseguente rischio di paralisi dei pubblici poteri [27].

Il controllo successivo de quo sugli atti consente, invece, al soggetto controllante di intervenire anche dopo che l’atto abbia dispiegato, in tutto o in parte, i suoi effetti, ed ha come fine quello di impedire ogni eventuale ulteriore efficacia se l’atto si dimostri contrario alle regole poste dall’ordinamento.

In merito alla deliberazione di non conformità a legge ed alla natura del vincolo, da parte dell’Amministrazione, di ottemperare a quanto dichiarato dall’Organo di controllo, la Corte Costituzionale, con sentenza n. 226 del 1976 [28], ha affermato che la censura sulla legittimità dell’atto sottoposto al controllo successivo della Corte dei conti ha valore costitutivo e natura giurisdizionale. Pertanto, la decisione di annullamento comporta la successiva attività vincolata e non discrezionale di ottemperanza. Sussisterebbe, quindi, alla stregua dell’orientamento accolto nella richiamata sentenza n. 226 del 1976, un vero e proprio obbligo di ottemperanza conseguente al diniego di legittimità dell’atto soggetto a controllo successivo: obbligo che si tradurrebbe in un’attività vincolata dell’organo di amministrazione volta a porre nel nulla gli effetti dell’atto illegittimo.

L’orientamento in parola appare censurabile perché fondato su argomentazioni assolutamente carenti di dati normativi di supporto e perviene ad una assai problematica asserzione della natura costitutiva del diniego di legittimità del provvedimento in via successiva.

L’effetto di annullamento che alla delibera de qua si vorrebbe attribuire appare in contrasto con la estraneità della funzione di controllo rispetto alla funzione amministrativa, posto che non potrebbe negarsi un sostanziale coinvolgimento dell’Organo di controllo nell’attività dell’Amministrazione ove si accogliesse l’ordine di idee cui si ispira la tesi suddetta. Del resto, per ragioni non dissimili, al giudicato dell’autorità giudiziaria ordinaria (questo sì giurisdizionale) che pronunci l’illegittimità dell’operato dell’Amministrazione Pubblica si attribuisce carattere meramente dichiarativo, con effetti obbligatori limitatamente al caso deciso.[29] Ed in tal caso la dottrina è concorde nel ritenere che l’Amministrazione conservi i propri poteri di valutazione in ordine ai tempi e ai modi di eseguire il giudicato.[30]

E’ necessario portare il problema in discussione in un ambito più aderente alla realtà dell’ordinamento positivo. La decisione della Corte dei conti esaurisce il procedimento di controllo; alla pronuncia stessa denegatoria della legittimità conseguono responsabilità che insistono, normativamente e concettualmente, su un piano diverso da quello amministrativo.

In sostanza si vuole dire che una volta dichiarato illegittimo un atto assoggettato a riscontro in via successiva, ogni ulteriore profilo, compreso quello dell’eventuale rimozione dell’illegittimità, esula dalla sfera del rapporto di controllo (ormai esaurito) e ricade nel diverso ambito della responsabilità del soggetto agente (nei termini in cui questa può essere giurisdizionalmente accertata). Non sussiste alcun obbligo di dare adempimento specifico alla pronunzia, posto che questa è, strutturalmente, un atto di giudizio e non un atto d’imperio. Alla pronuncia di illegittimità, in sede di controllo successivo, non può essere riconosciuta attitudine maggiore e diversa da quella impositiva di un obbligo di rivalutazione, da parte dell’Amministrazione, per concorrenti profili di illegittimità riferibili all’attività di quest’ultima, ma tutto questo nel contesto di un autonomo apprezzamento collegato al pubblico interesse.

In definitiva, in sede di controllo successivo, nell’ipotesi di delibera di illegittimità da parte dell’Organo di controllo, gli effetti restano circoscritti all’accertamento definitivo ed irretrattabile dell’illegittimità ed al riferito obbligo di rivalutazione degli atti censurati, affinché sia considerata l’eventualità di rimuoverne i vizi ove ciò non contrasti con il pubblico interesse.

Pertanto, nell’ipotesi di atti sottoposti a controllo di legittimità in via successiva (il che comporta di solito che i relativi effetti si siano già prodotti e talvolta perdurino) ove l’Amministrazione intenda accogliere la delibera dell’Organo di controllo, deve fare uso, con efficacia ex tunc, del potere di annullamento d’ufficio, il quale, per il suo esercizio, presuppone l’esistenza di due requisiti: il vizio di legittimità nell’atto da annullare e l’interesse pubblico all’eliminazione dell’atto medesimo. Conseguentemente, l’annullamento d’ufficio degli atti illegittimi, che abbiano avuto esecuzione, viene attuato, da parte dell’Amministrazione con un provvedimento discrezionale.[31]

Per quanto sopra detto, va rilevato che la legittimità dell’azione amministrativa costituisce un dovere generale della Pubblica Amministrazione e ad un interesse pubblico alla cui realizzazione deve tendere l’attività dei soggetti pubblici. Ne consegue che, ove nei confronti di un atto della Pubblica Amministrazione sia stata dichiarata, da parte dell’Organo a ciò appositamente abilitato (Corte dei conti), un’illegittimità, in maniera definitiva ed irretrattabile, insorge nell’Amministrazione stessa il dovere di attivarsi al fine di assicurare, ove possibile, l’interesse pubblico primario connesso al principio di legittimità della propria azione.

Su questo argomento, parte della dottrina [32] ritiene che annullare d’ufficio gli atti amministrativi invalidi si configuri, per l’Autorità che ha posto in essere gli atti stessi (e dei superiori gerarchici, nonchè dell’autorità di vigilanza che disponga di poteri sostitutivi o di annullamento), come un vero e proprio dovere giuridico quando l’invalidità sia stata dichiarata da un’Autorità di controllo che non disponga essa stessa del potere di annullare l’atto amministrativo e parla in tal caso di autoannullamento doveroso in contrapposizione all’autoannullamento discrezionale. Nello stesso senso Cannada-Bartoli [33] sostiene che “l’annullamento connesso all’esercizio di una potestà di controllo non è facoltativo....ma obbligatorio” e non costituisce, in senso stretto, espressione di autotutela (che detto Autore riferisce solo all’annullamento d’ufficio discrezionale).

Il dovere di annullamento del quale si è prima parlato non sembra però aver carattere assoluto nel senso che l’Amministrazione deve in ogni caso assicurare automaticamente il ripristino della legittimità in esecuzione della pronuncia dell’organo di controllo. Possono infatti esistere delle ipotesi in cui accanto all’interesse pubblico espresso dall’esigenza di ripristino della legalità sussiste, nel caso concreto, un interesse pubblico contrario a che l’atto venga annullato (es. rispetto di situazioni consolidate): cioè un interesse a mantenere in vita l’atto [34]. In tali casi la giurisprudenza del Consiglio di Stato è concorde nel ritenere che l’Amministrazione deve sempre procedere ad una comparazione dei due descritti interessi, pervenendo all’annullamento attraverso la consapevole valutazione di essi e la prevalenza accordata in concreto al primo [35]. In particolare, il Consiglio di Stato ha affermato [36] che nel caso di un provvedimento che abbia già avuto esecuzione e che la Corte dei conti dichiari poi illegittimo (nella specie si trattava di atto soggetto a controllo preventivo, eseguito prima che la Corte ne ricusasse il visto) l’Amministrazione non può ritirare il provvedimento stesso adducendo solo la circostanza dell’esercizio negativo del controllo ma è tenuta, invece, ad effettuare una comparazione tra l’interesse pubblico al ritiro dell’atto ritenuto illegittimo e l’interesse inerente alle posizioni consolidatesi nel frattempo.

Tenuto conto di quanto sopra, sembra, nella buona sostanza, che la vincolatività dell’esercizio dell’annullamento di ufficio in seguito alla pronuncia dell’Organo di controllo vada intesa come obbligo di far luogo ad un procedimento necessario di riesame della fattispecie e delle situazioni oggetto della dichiarazione di illegittimità al fine di pervenire, di regola, alla loro eliminazione ove non esista un contrario interesse pubblico alle conservazioni degli atti e delle situazioni stesse.

Le riflessioni di cui sopra ricevono conferma da altro genere di argomentazioni afferenti la natura stessa della funzione di controllo attribuita alla Corte dei conti. Com’è noto, detta funzione ha, in linea generale, lo scopo di assicurare la legittimità dell’azione amministrativa, la cui tutela è, appunto, il contenuto ed il fine della funzione stessa. Tale scopo, nel controllo preventivo, è raggiunto direttamente, mediante la subordinazione della efficacia dell’atto controllato al visto di legittimità della Corte. Il rapporto controllo-sanzione è in questo caso immediato e la sanzione si configura come congegno che incide direttamente sull’atto controllato. Non si ha ragione di ritenere che nel controllo di legittimità di tipo successivo la natura della funzione sia diversa, dovendosi ammettere che essa sia egualmente preordinata alla tutela della legittimità dell’azione amministrativa. Nel controllo successivo, però, la sanzione non ha lo stesso rapporto di immediatezza con gli atti controllati, ma tende ad agire come strumento sollecitatorio, nei loro confronti, di misure e procedimenti già esistenti o comunque realizzabili nell’ordinamento [37]. Nella specie, l’anzidetto carattere si esprime nella posizione di uno specifico dovere di riesame a carico dell’Amministrazione, nel senso sopracitato.

La tesi sopra rappresentata ha trovato inveramento nella disposizione contenuta nell’art. 2 bis della legge 20 dicembre 1996, n. 639, la quale dichiara la soppressione delle parole “può altresì pronunciarsi sulla legittimità di singoli atti delle amministrazioni della Stato” contenute nel comma 4 deel’art. 3 della legge n. 20 del 1994.

Pertanto ora, ai sensi dell'art. 14, comma secondo, del decreto legislativo n. 39 del 1993, norma fatta salva dall'art. 3, comma ottavo, della legge n. 20 del 1994, la Corte dei conti esercita un controllo successivo di legittimità sui contratti (o meglio sui decreti approvativi) concernenti l'acquisto di beni e servizi in materia di sistemi informativi automatizzati. La funzione della Corte, in caso di esito positivo del controllo, consiste esclusivamente nella dichiarazione di conformità all'ordinamento giuridico di un atto già efficace, mentre nell'ipotesi contraria la dichiarazione di legittimità non inficia immediatamente la perfezione e l'efficacia del provvedimento, destinate a permanere sino a che l'Amministrazione non emetta provvedimenti di autotutela a seguito del doveroso riesame della fattispecie (annullamento, revoca, rettifica, ecc.) [38].

la giurisprudenza [39] ha rilevato, inoltre, che la disposizione contenuta nell'art. 14, comma primo, del D.Lgs. n. 39 del 1994, richiamata dall'art. 3, comma ottavo, della legge n. 20 del 1994, in base alla quale i contratti relativi ai sistemi informativi automatizzati sono soggetti esclusivamente al controllo successivo, non può essere intesa come riferita esclusivamente a quegli atti concernenti la progettazione e la realizzazione di programmi e all'acquisto e messa in opera delle apparecchiature, dovendosi ritenere estesa anche ai servizi di elaborazione e di immissione di dati qualora affidati all'esterno tramite atti negoziali; pertanto, un contratto relativo all'affidamento di una serie di attività finalizzate all'inserimento di dati e notizie all'interno di un sistema gia' operativo, è comunque, soggetto a controllo successivo, ai sensi della disposizione sopracitata.

11) Il controllo successivo sulla gestione da parte della Corte dei Conti.

I contratti ed i relativi atti di esecuzione in materia di sistemi informativi automatizzati sono sottoposti al controllo successivo della Corte dei conti, la quale comunica alla Autorità gli eventuali rilievi riscontrati (art. 14 D. lgs. n. 39/93).

Il controllo successivo di gestione non riguarda più tutti gli atti emanati, ma è operato sulla base di apposite scelte programmate periodicamente dalla Corte. Il nuovo sistema del controllo de quo comporta, infatti, di per sé, che esso, non potendo coprire sul piano operativo l’intera area di gestione rimessa all’Organo istituzionale, sia mirato e programmato secondo scelte preparate dalla stessa Corte. Ciò comporta pure, correlativamente, che sia questa, nell’ambito di dette scelte, a richiedere alle Amministrazioni controllate ed agli Uffici del controllo interno, gli atti, documenti e notizie che occorrano per l’esercizio delle sue funzioni.

L’essenza dei controlli sulla gestione è quella di esaminare il modo di operare della Pubblica Amministrazione al fine di individuare eventuali responsabilità nell’utilizzo delle risorse. Infatti, sono i controlli successivi a far emergere sprechi, lungaggini, disorganizzazione e inefficienze, suggerendo così le correzioni ed aggiustamenti da apportare. Lo sbocco naturale di tali controlli è il riferire sia agli organi di governo, in quanto vertici politici dell’Amministrazione, sia agli organi elettivi, in quanto titolari di poteri normativi e di indirizzo nei confronti del governo.

Nell’esercizio di questa funzione, dunque, la Corte dei conti mentre viene a trovarsi nei riguardi del potere esecutivo in contrapposizione dialettica, trova, invece, nel Parlamento il suo naturale e diretto interlocutore.

Il controllo successivo diventa sede di osservazione del contesto amministrativo e finanziario pubblico attraverso verificazioni programmate che mirano ad accertare, non tanto la legittimità formale di singoli atti (a presidio della quale rimane per i provvedimenti più importanti il controllo preventivo), quanto la regolarità delle gestioni pubbliche intesa come corrispondenza dei risultati agli obiettivi in rapporto ai tempi, modi e costi dell’azione amministrativa, secondo i parametri dell’efficacia, dell’efficienza e della economicità che caratterizzano i sistemi di controllo sulle pubbliche finanze in tutti i Paesi industrializzati.

L’art. 3, comma 4, della ricordata legge n. 20 intesta alla Corte dei conti due diversi tipi di controllo: il primo è qualificato come successivo sulla gestione, il secondo è accertativo del buon andamento.

Orbene, è sorta questione circa il significato da attribuire alla espressione “controllo successivo sulla gestione”. Le opinioni al riguardo sono le più diverse.

Alcuni Autori [40] ritengono trattarsi sempre di controllo di legittimità ancorché svolto dopo che gli atti hanno prodotto o cominciato a produrre i loro effetti. Altri [41], viceversa, opinano per qualcosa di molto diverso, che attiene all’attività globale svolta dall’Amministrazione controllata, a nulla rilevando le vecchie classificazioni relative alla legittimità o al merito.

In sostanza, le disposizioni contenute nel suddetto comma 4 ci indicano chiaramente come deve essere svolto il controllo successivo sulla gestione. Esse, infatti, dispongono che il controllo deve essere effettuato verificando la legittimità e la regolarità delle gestioni.

Il che significa che la verifica deve essere fatta tenendo conto non solo della legittimità ma anche della regolarità.

Infatti, l’uso di due diversi sostantivi per indicare il tipo di verifica, induce a ritenere che si è in presenza di due differenti parametri, il primo (la legittimità), attinente alla necessaria rispondenza dell’attività amministrativa a norme e principi giuridici (generalmente norme d’azione); il secondo (la regolarità) alla rispondenza e proporzione della stessa attività anche ad altre regole, che non possono che essere di natura diversa (generalmente norme contabili o tecniche).

Se così non fosse, la regolarità risulterebbe pleonastica rispetto alla legittimità. E ciò sarebbe incongruo, visto che le due espressioni legittimità e regolarità qui esaminate sono collocate, una accanto all’altra, nella medesima disposizione normativa.

In sostanza, la legittimità e la regolarità fanno insieme parte di una sorta di legittimità allargata, nella quale la regolarità afferisce generalmente a presupposti caratterizzati dall’osservanza di regole e procedimenti di natura tecnica o contabile.

Al controllo indicato nel primo alinea del comma 4 sono connessi precisi effetti giuridici che possono condurre alla declaratoria della legittimità o della illegittimità degli atti e, in quest’ultimo caso, alla loro cancellazione di fatto dal mondo del diritto [42].

Altra cosa, invece, è il controllo che sulle medesime Amministrazioni Pubbliche deve essere svolto dalla Corte ai sensi del secondo alinea del più volte citato comma 4, nel quale è disposto che la Corte accerta, anche in base all’esito di altri controlli, la rispondenza dei risultati dell’attività amministrativa agli obiettivi stabiliti dalla legge, valutando comparativamente costi, modi e tempi dello svolgimento dell’azione amministrativa.

Non pare dubbio che in questo caso si è in presenza di un controllo che attiene al buon andamento dell’azione amministrativa; controllo che deve essere effettuato sulla base di programmi definiti annualmente, non necessariamente concernenti tutte le attività svolte da ciascuna Amministrazione statale, e secondo criteri predeterminati. Non solo, ma svolto anche in base all’esito di altri controlli, evidentemente effettuati da organismi diversi a ciò deputati dalla legge.

Questi ultimi dovrebbero essere i servizi di controllo interno, o nuclei di valutazione, previsti dal decreto legislativo n. 29 del 3 febbraio 1993, come modificato dall’art. 6 del decreto legislativo n. 470 del 18 novembre dello stesso anno.

Il disegno di riforma del sistema dei controlli interni è stato portato a compimento con il decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 286.

Orbene, un controllo che tende ad accertare se l’Amministrazione controllata abbia o meno conseguito i risultati stabiliti dalla legge, e per fare ciò l’Organo di controllo deve valutare comparativamente costi, modi e tempi dello svolgimento dell’azione amministrativa, non può non ascriversi alla categoria dei controlli di merito e di buon andamento.

Ora, se un controllo esterno di tal genere fosse accompagnato anche da effetti diretti (di carattere sanzionatorio) nei confronti dell’Amministrazione pubblica controllata, costituirebbe una grave menomazione per quest’ultima e si porrebbe, per altro verso, al di fuori del quadro normativo di livello costituzionale [43].

L’attribuzione di questo controllo sulla gestione alla Corte dei conti vuol significare che l’esito del controllo sulla gestione porta ad un accertamento in relazione ai risultati che si sono conseguiti o non conseguiti. Pertanto, sembra potersi affermare che l’istituto della responsabilità amministrativa si arricchisce di un nuovo settore che è quello della responsabilità per il mancato perseguimento del risultato. Lo schema tradizionale della responsabilità amministrativa è quello della responsabilità aquiliana, nel senso di un danno subito per il quale, poi, si agisce per il risarcimento. Ora con l’introduzione nell’ordinamento del controllo successivo sulla gestione e con il decreto legislativo n. 29 del 3 febbraio 1993, il quale prevede la responsabilità manageriale del funzionario pubblico, il mancato perseguimento del risultato nella gestione della cosa pubblica costituisce inadempimento da parte del funzionario della Pubblica Amministrazione con conseguente responsabilità contrattuale.


 

[1] Ministero del tesoro-Provveditorato generale dello Stato, D.M. 8 febbraio 1986 (art. 2), in GURI 3 marzo 1986, n. 51.

[2] E. Tosi, I contratti di informatica, Pirola, 1993

[3] Così App. Torino, 15 febbraio 1985, in “Foro it.”, 1985, I, c. 2716, con nota di Marella, Vendita di “hardware” con “software” e risoluzione del contratto per inadempimento, ibidem; ID., Contratto unitario e collegamento negoziale nella “vendita” di hardware e di software: l’esperienza tedesca, in “Riv. crit. dir. priv.”, 81 ss. In senso conforme anche Trib. Roma 20 novembre 1987, in “Dir. Informazi. e informatica”, 1988, II, 492; ai soli effetti del risarcimento del danno, Trib. Rovereto, 28 febbraio 1985, in “Dir. informazi. e informatica”, 1986, II, 590, Contra, Trib. Salerno, 2 gennaio 1983, in Rass. dir. civ.”, 1983, II, 1131, con nota di Monina, Contratti informatici e inadempimento del venditore, ibidem, 1173 ss.

[4] La decisione citata è riportata in E. Tosi, I contratti di informatica, Pirola, 1993, 440.

[5] Sacco-De Nova, Obbligazioni e contratti, II in Trattato di diritto privato, diretto da Pietro Rescigno, Torino, 1988, 463.

[6] Sbisà, Profili generali dei contratti di utilizzazione dei computers, in AA. VV., I contratti di utilizzazione del computer, I, a cura di G. Alpa, Milano, 1984, 30; Bin, L’equilibrio sinallagmatico nei contratti informatici, in AA.VV., I contratti di informatica: profili civilistici, tributari e di bilancio, a cura di G. Alpa e V. Zeno-Zencovich , VII, Milano, 1987, 68 ss.

[7] Lanzillo, I contratti di fornitura di elaborati elettronici, in AA.VV., I contratti di utilizzazione del computer, I, a cura di G. Alpa, Milano, 1984, 40.

[8] De Nova, L’oggetto del contratto: considerazioni di metodo, in I contratti di informatica, 27 ss.

[9] Bessone, Adempimento e rischio contrattuale, Milano, 1975, 343 s.s.; Lanzillo, Regole del mercato e congruità dello scambio contrattuale, in “Contratto e impresa”, II, 1985; Alpa, Rischio contrattuale, in “Contratto e impresa”, II, 1986, 630 ss.; Costanza, Meritevolezza degli interessi ed equilibrio contrattuale, in “Contratto e impresa”, II, 1987.

[10] Vedi, per tutte: la Convenzione di Concessione stipulata dal Ministero delle finanze e la Società generale d’Informatica S. P. A. (SO.GE.I) nel 1992.

[11] F. Pica, l. D’Alessio, N. Giudicepietro - L’ordinamento contabile degli Enti locali - Giampichelli 1997

[12] G. N. Carugno –Orientamenti di diritto amministrativo – UTET 1999

[13] Sulla Gazzetta Ufficiale n. 2 del 3.1.2002 è stata pubblicata la circolare 28 dicembre 2001, n. AIPA/CR/38, inerente il monitoraggio dei contratti di grande rilievo, che precisa i compiti e le responsabilità inerenti l'azione di monitoraggio con particolare riferimento alla direzione dei lavori. Al tempo stesso si estende l'utilizzo delle competenze e professionalità dei monitori ad attività (realizzazione dello studio di fattibilità, redazione degli atti di gara, direzione dei lavori, assistenza al collaudo, realizzazione del piano di continuità ed emergenza) che, essendo collocate all'interno dello stesso ciclo di vita della fornitura cui l'esecuzione del contratto si riferisce, contribuiscono a rafforzare l'azione di governo dei contratti informatici migliorandone efficienza ed efficacia.

[14] Decreto legislativo 12 febbraio 1993, n. 39.

[15] Corte di appello di Palermo, n. 1693 del 7.4.89

[16] Circolari AIPA/CR/16 del 16/2/1998 e AIPA/CR/17 del 13/3/1998

[17] Sez. Contr., det. n. 4 del 09-01-1998, Ministero dell'industria

18 Decreti legge n. 143 del 15 maggio 1993, n. 232 del 17 luglio 1993, n. 359 del 14 settembre 1993, e n. 453 del 15 novembre 1993.

[19] V. nota n. 18.

20 Gaz. Uff. n. 199 del 26 agosto 1996.

[21] Cass. 8.10.1979, n. 5186.

[22] Decreto leg.vo n. 29 del 2 febbraio 1993, concernente la "Realizzazione dell'organizzazione delle amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in materia di pubblico impiego, a norma dell'art. 2 della legge 23 ottobre 1992, n. 421" - Gaz. Uff. del 6 febbraio 1993, n. 14.

[23] - Corte dei conti, sez. contr., 11 giugno 1993, n. 95, in Foro it., 1993, III, p. 518;

 - Corte dei conti, deliberazione n. 122/94, adunanza generale della Sezione del Controllo del 27 settembre  del 11 ottobre 1994.

[24] Corte dei conti, sez. contr., 23 novembre 1978, n. 913, in Foro ammin. 1979, pag. 178.

[25] T.A.R. Friuli-Venezia Giulia 7 maggio 1980, n. 123, Foro it., Rep. 1981, voce Corte dei conti, n. 24.

[26] Corte dei conti, sez. controllo 23 novembre 1978, n. 913 cit.

[27] - Galateria - Stipo, Manuale di diritto amministrativo, Torino, 1989;

 - Galli R., Corso di Diritto Amministrativo - Padova 1994, pag. 679 e seg.;

 - Satta F., Atto amministrativo, Enc. giur. Treccani vol. IV, 1988.

[28] Corte Cost. 12 novembre 1976, n. 226, in Foro ammin., 1976, I, pag. 2953.

[29] Art. 4, comma 2, della L. 20 marzo 1865, n. 2248, all. E.

[30] cfr. Sandulli A. M., Manuale di diritto amministrativo, Napoli, 1984, pag. 1256; - Satta F., Atto amministrativo, Enc. giur. Treccani, cit.; - Quaranta A., Lineamenti di diritto amministrativo, Novara, 1987, pag. 433; - Virga P., Diritto amministrativo - Atti e ricorsi -, Milano, 1992, pag. 239; - Nigro M., Giustizia Amministrativa, Bologna, 1983, pag 244 e seg.; - Anelli C., Rizzi F., Talice C., Contabilità pubblica, Milano, 1996, pag 789.

[31] G. Chiàntera, “La legge 14/1/1994, n.29, con particolare riguardo al controllo successivo di legittimità e al controllo successivo sulla gestione della Corte dei conti” – in Foro ammin., 1997, 2224

[32] - Sandulli A.M. - Manuale di diritto amministrativo, cit., pag. 710;

 - Quaranta A., Lineamenti di diritto amministrativo, cit., pag. 330;

 - contra, Cerulli Irelli V., Corso di Diritto amministrativo, Torino, 1994, pag. 245 e seg..

[33] - Cannada-Bartoli E., Annullabilità e annullamento, in Enc. dir., vol. II, pag. 493.

[34] - Cerulli Irelli V., Corso di Diritto amministrativo, cit., pag. 245;

 - Giannini M.S., Diritto amministrativo, Milano, 1988, pag. 1014;

 - Virga P., Diritto amministrativo - Atti e ricorsi -, cit., pag 137 e seg..

[35] Cfr. per tutte, C.d.S., Sez. VI, 31 marzo 1967, n. 201.

[36] C.d.S., Sez. VI, 14 gennao 1969, n. 722.

[37] Cfr. Guccione, Ricognizione dello stato attuale dei controlli e ipotesi ricostruttive nel quadro della finanza regionale, in Riv. trim. dir. pubbl. 1974, pag. 647; Anelli C., Izzi F., Talice C., Contabilità pubblica, cit., pag. 784.

[38] Sez. Contr., det. n. 101 del 08-07-1996, Ministero dell'industria

[39] Sez. Contr. Sic., det. n. 38 del 10-09-1997, Proc. della Repubblica di Siracusa.

[40] - Sandulli A.M. - Diritto amministrativo, cit., pag.400;

 - Virga P., Diritto amministrativo - Atti e ricorsi -, cit., pag 31;

 - Moretti B., Mastelloni A., Mancuso E., La Corte dei conti, Milano, 1985, pag. 151 e seg.;

 - Paone P., La natura giuridica del controllo della Corte dei conti, Riv. trim. dir. pubbl., 1960, pag. 178 e seg..

[41] - Galli R. - Corso di diritto amministrativo, cit., pag. 770 e seg.;

 - Sepe O., Enc. Giur. Treccani, voce: controlli amministrativi, vol IX.,1988;

 - Anelli C., Izzi F., Talice C., Contabilità pubblica,cit., pag. 780.

[42] Vedi ante paragrafo 10

[43] G. Chiantera op. cit.

GIUSEPPE CHIÀNTERA







Questo Articolo proviene da AetnaNet
http://www.aetnanet.org

L'URL per questa storia è:
http://www.aetnanet.org/scuola-news-613.html