Il buono-scuola: il sussidio per il diritto all’istruzione
Data: Domenica, 06 ottobre 2002 ore 16:39:57 CEST
Argomento: Rassegna stampa


In sintesi, seguendo lo schema proposto da J. Ashwort, I. Papps e B. Thomas [2], esso può assumere diverse forme:

 a) Buono d’un valore uguale per tutti gli studenti della medesima età, che può essere scambiato contro il pagamento totale o parziale della frequenza di una scuola, statale o non statale, scelta dai genitori. Questi ultimi possono pagare un’integrazione se lo desiderano, ma non sono rimborsati, se la frequenza possiede un costo inferiore a quello del buono. Si tratta della proposta di Milton Friedman, che ne ha fatto una prima presentazione nell’articolo Il ruolo del governo nell’educazione [3], pubblicato nel 1955, e ne ha sviluppato il concetto nell’opera Capitalismo e libertà [4] del 1962.

 b) Buono variabile in funzione del reddito dei genitori senza possibilità di integrazioni. Gli studenti che hanno bisogni particolari (handicappati, con difficoltà di apprendimento, ecc.) ricevono buoni di una valore superiore a quello dei buoni di base. Questo è il modello proposto da Jenks nel 1970 [5].

 c) Buono di valore variabile che tiene conto del reddito dei genitori e dei bisogni educativi degli studenti; i genitori però restano liberi di apportarvi un’integrazione.

 d) Buono di valore uguale per tutti gli studenti della medesima età, indipendentemente dal reddito dei loro genitori o di ogni altra circostanza e senza possibilità di integrazione.

 Un’altra forma, assimilabile al buono, è quella evocata in Francia da Alain Madelin [6] con i “punti – istruzione”. Si tratta di un sistema che distribuirebbe non buoni – scuola, ma punti – istruzione, che i genitori negozierebbero nella scuola di loro scelta. Questi punti non avrebbero il medesimo valore, ma varierebbero secondo i tipi di istruzione scelta. Il vantaggio di siffatto sistema consisterebbe nella più grande flessibilità in ragione della possibilità di utilizzare i punti in tempi differenti, in funzione dei bisogni.

Quale che sia la forma adoperata, il buono – scuola può essere definito, cogliendo la caratteristica essenziale, come un metodo di finanziamento dell’istruzione, che mira ad allargare la capacità di scelta ed a migliorare l’allocazione delle risorse destinate all’istruzione.

Il termine utilizzato: buono - scuola, rappresenta, con riguardo alla scuola, una specificazione dall’uso sostantivato dell’aggettivo “buono”.

Quest’ultimo deriva dall’espressione “buono per”, nel significato di “valevole per” (ottenere una determinata prestazione), la quale, con le successive qualificazioni, è adoperata tanto nel diritto privato – specie nel linguaggio commerciale – quanto nel diritto pubblico, specialmente per i buoni del tesoro.

In via generale, avendo riguardo ai requisiti oggettivi dei titoli o documenti nei quali viene usata la parola, il termine buono appare: a) come titolo di legittimazione [7] che dà diritto alla prestazione del bene o servizio in esso indicato; b) come titolo di obbligazione con cui una persona o ente promette una prestazione in danaro; c) come documento commerciale che può avere tanto la natura di titolo di legittimazione – come ad esempio il buono di imbarco e di sbarco – quanto quella di titolo di obbligazione – come il buono di cassa – nonché quella di titolo necessario per esercitare un diritto di natura diversa, come nel caso del buono di opzione; d) come titolo di spesa nel caso dei buoni emessi dai funzionari delegati per prelevamenti in proprio favore sulle somme ai medesimi accreditate [8].

L’art. 2002 del codice civile specifica che ai documenti di legittimazione e ai titoli impropri, «che servono solo ad identificare l’avente diritto alla prestazione, o a consentire il trasferimento del diritto senza l’osservanza delle forme proprie della cessione», non si applicano le norme dettate dal titolo V, del libro IV del medesimo codice, che disciplinano i titoli di credito [9].

Il buono – scuola, appartiene alla categoria o raggruppamento dei documenti (o titoli) di legittimazione [10], trattandosi di un titolo assolutamente non trasferibile, emesso a favore dell’avente diritto, nominativamente identificato, al quale riconosce il diritto alle prestazioni scolastiche, spendibile esclusivamente per usufruire delle medesime prestazioni nelle scuole statali o non statali, esercitando il diritto all’istruzione.

Che è un diritto soggettivo pieno e perfetto ed è finalizzato all’acquisizione di un bene, del quale Friedrich von Hayek ne ha tratteggiato l’importanza e scolpito la portata: «La scienza è forse il maggior bene che si possa avere, ma chi non la possiede ancora, spesso non sa capirne il vantaggio. Ancor più importante, l’accesso alle fonti della scienza necessaria per il funzionamento della società moderna presuppone la conoscenza di talune tecniche – prima fra tutte il saper leggere – che la persona deve acquisire prima di poter ben giudicare da sola cosa per lei sarà vantaggioso. Sebbene il nostro appoggio alla causa della libertà si basi in gran parte sull’opinione che la concorrenza è uno dei più potenti strumenti per la diffusione delle conoscenze e che, abitualmente, dimostrerà il valore della scienza a chi non la possiede, non c’è dubbio che mediante deliberati sforzi si può accrescere l’utilizzazione delle conoscenze. L’ignoranza è una delle principali ragioni per cui i tentativi degli uomini spesso non sono incanalati in modo da essere più utili ai loro simili, e varie sono le ragioni per cui può essere nell’interesse della comunità che la scienza sia portata a che ha un incentivo per cercarla per sé o per fare qualche sacrificio per acquisirla. Queste ragioni s’impongono particolarmente nel caso dei ragazzi, ma alcune di esse sono altrettanto importanti per gli adulti  [11]».

La fonte di tale diritto - il cui riconoscimento è ritenuto tipico dello Stato “sociale” [12], tant’è che viene annoverato espressamente nella maggior parte delle Costituzioni contemporanee che esprimono questa forma di Stato - si rinviene nell’art. 34 della Costituzione [13], il quale riconosce che lo stesso: «non è meramente formale (diritto ad ottenere l’iscrizione nella scuola), ma è un diritto a godere dell’istruzione necessaria “malgrado” ogni possibile ostacolo di ordine economico e sociale con cui i singoli possono scontrarsi di fatto e vale per rendere gratuito tutto ciò che è necessario per il suo soddisfacimento. La rimozione di tali ostacoli, in quanto siano tali da impedire il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti all’organizzazione politica economica e sociale del Paese, è già indicato quale compito della Repubblica dall’art. 3 Cost.; ma l’art. 34 ha voluto che a sollecitare l’azione dei pubblici poteri all’adempimento di tale compito fosse riconosciuto al cittadino, nel settore dell’istruzione, un vero e proprio diritto soggettivo, tale da incidere sull’ordinamento stesso del servizio [14]»

Infatti, il diritto all’istruzione non si riduce al mero diritto all’iscrizione nella scuola, come preteso in passato da una prospettazione ancorata alla visione dell’istruzione come fine proprio ed esclusivo dello Stato, ma è «chiaramente, un diritto non soltanto all’insegnamento, ma all’istruzione: e cioè a qualcosa di intrinsecamente unitario, che non è suscettibile nel suo ambito tra “elemento primario” e “prestazioni collaterali”, se non introducendo un fattore che si ricava solo dalla tradizione, dal modo cioè con cui lo Stato ha organizzato sinora il servizio, ma che non trova alcun fondamento giuridico [15]»

La gratuità [16] può ritenersi connaturata al diritto soggettivo del singolo ad essere istruito, e rappresenta il modo tipico con il quale lo Stato deve intervenire per assicurare l’effettività di siffatto diritto, che è originario e costitutivo della persona umana, non solo nella scuola dell’obbligo, ma anche nei gradi successivi, fino ai gradi più alti: l’istruzione, infatti, non è privilegio di alcuni, ma un diritto di tutti [17].

La sua misura deve coincidere con la misura dell’istruzione, ossia col diritto del singolo ad essere istruito, nella scuola di Stato o nella scuola non statale, posto che l’art. 3, comma 2, della Costituzione, che demanda alla Repubblica il compito di rimuovere i condizionamenti di natura economico – sociale, non contempla alcuna distinzione né autorizza alcuna discriminazione [18].

Tutti i citati principi sono stati riproposti e rafforzati dalla Corte Costituzionale, la quale con sentenza del 29 maggio 2002 n. 219, nel dichiarare illegittime le norme che prevedevano il divieto di accedere ai corsi di formazione specialistica a coloro che fossero già in possesso di un diploma di specializzazione, ha affrontato ancora il problema del diritto all’istruzione, chiarendo e ribadendo che: «Il diritto allo studio comporta non solo il diritto di tutti di accedere gratuitamente alla istruzione inferiore, ma altresì quello – in un sistema in cui “la scuola è aperta a tutti” (articolo 34, primo comma, della Costituzione) – di accedere, in base alle proprie capacità e ai propri meriti, ai “gradi più alti degli studi” (articolo 34, terzo comma): espressione, quest’ultima, in cui deve ritenersi incluso ogni livello e ogni ambito di formazione previsti dall’ordinamento. Il legislatore, se può regolare l’accesso agli studi, anche orientandolo e variamente incentivandolo o limitandolo in relazione a requisiti di capacità e di merito, sempre in condizioni di eguaglianza, e anche in vista di obiettivi di utilità sociale, non può, invece, puramente e semplicemente impedire tale accesso sulla base di situazioni degli aspiranti che – come il possesso di precedenti titoli di studio o professionali – non siano in alcun modo riconducibili a requisiti negativi di capacità o di merito.

A tale diritto si ricollega altresì quello di aspirare a svolgere, sulla base del possesso di requisiti di idoneità, qualsiasi lavoro o professione, in un sistema che non solo assicuri la “tutela del lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni” (articolo 35, primo comma, della Costituzione), ma consenta a tutti i cittadini di svolgere, appunto “secondo le proprie possibilità e la propria scelta”, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società (articolo 4, secondo comma, della Costituzione): ciò che a sua volta comporta, quando l’accesso alla professione sia condizionato al superamento di un curriculum formativo, il diritto di accedere a quest’ultimo in condizioni di eguaglianza.

Il diritto di studiare, nelle strutture a ciò deputate, al fine di acquisire o di arricchire competenze anche in funzione di una mobilità sociale e professionale, è d’altra parte strumento essenziale perché sia assicurata a ciascuno, in una società aperta, la possibilità di sviluppare la propria personalità, secondo i principi espressi negli articoli 2, 3 e 4 della Costituzione»

Riguardato sotto diverso profilo, il buono - scuola incorpora l’attribuzione assicurata dallo Stato, nell’ambito delle norme generali sull’istruzione di cui all’art. 33, comma 2, della Costituzione [19], sotto forma di sussidio [20], che ha il connotato incrementativo della sfera giuridica privata, mediante l’acquisizione di un vantaggio, conseguibile attraverso l’accesso ad un bene sottratto alla loro disponibilità, quale il danaro pubblico[21], strumentale all’assolvimento di una funzione di sostegno per l’esercizio di un diritto civico inalienabile, che si presenta, in base al dettato costituzionale, come una posizione soggettiva complessa, risultante dalla tutela e dal riconoscimento di una molteplicità di diritti e libertà: innanzitutto il diritto di apprendimento che appartiene al discente come destinatario e fruitore del servizio scolastico e formativo; quindi, il diritto alla libertà di scelta educativa e scolastica che spetta al discente, in concorso con la sua famiglia che è titolare del diritto-dovere di educare ed istruire i figli, che è legittima rappresentante dello studente minore e che, soprattutto, rientra tra le formazioni sociali primarie nelle quali ciascuno sviluppa la propria personalità; infine, il diritto alla libertà di istituire scuole, che è condizione indispensabile per garantire l'esercizio della libera scelta nel campo educativo, e che, in forza dell'articolo 33, comma 3, appartiene a chiunque, ente o privato ritenga di concorrere allo sviluppo materiale e spirituale della Nazione.

Il rapporto tra amministrazione e beneficiari si esaurisce con tale irretrattabile erogazione, che non rientra nel novero dei provvedimenti concessori [22], come invece devesi ritenere per le sovvenzioni [23], che vengono ricondotte allo schema funzionale delle concessioni, il cui provvedimento viene emesso al termine di un procedimento amministrativo, che si svolge sulla base di una valutazione “discrezionale” dell’amministrazione ed è funzionalizzato all’accertamento dei requisiti soggettivi ed oggettivi per la corresponsione del beneficio [24].

Il buono – scuola, nei termini prima specificati, è un sussidio, che è accordato in base ad un accertamento costitutivo [25], che promana da atti vincolati, nel senso che l’amministrazione è tenuta ad emanarli, qualora risulti accertata la sussistenza dei presupposti a cui la legge subordina la loro emanazione [26].

In sostanza constatano, mediante il compimento degli atti di accertamento - che costituisce un servizio pubblico, cioè un dovere di prestazione della pubblica amministrazione verso i privati - l’esistenza nei soggetti (nella specie: nei genitori o, in caso di maggiore età, degli stessi studenti) di determinati requisiti, cui consegue l’acquisto della situazione giuridica cristallizzata nel buono – scuola.

La posizione giuridica di questi ultimi alla percezione del buono – scuola è sufficientemente specificata nell’atto legislativo istitutivo, in ordine ai requisiti necessari e sufficienti per l’ammissione alla sua percezione, mentre residua in capo all’amministrazione esclusivamente un’attività di accertamento a contenuto vincolato della loro esistenza [27], che, peraltro, discende dal ruolo dello Stato in subiecta materia.

Un tale impostazione, oltre a rispondere ai dati normativi, è coerente con l’impianto costituzionale dell’istruzione non come fine dello Stato e, quindi come una pubblica funzione [28], bensì come servizio pubblico in senso oggettivo nonché con le previsioni degli artt. 33 e 35 del Decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80 [29], nei termini modificati ed ampliati dalla legge 21 luglio 2000, n. 205 [30], che escludono il sussidio dal regime giuridico sostanziale e processuale delle concessioni su beni o di servizi pubblici [31].

 Per l’attribuzione del buono – scuola, l’art. 12 della legge 7 agosto 1990, n. 241 [32] impone all’amministrazione l’osservanza di criteri e modalità predeterminate, anche in apposito regolamento, che si atteggiano a principio generale, in forza del quale l'attività di erogazione della p.a. deve in ogni caso rispondere a referenti oggettivi e pubblici, al fine di garantire il più alto livello di trasparenza della azione amministrativa, mentre l’art. 34, comma 3, del Decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 601 [33] esclude che possa essere assoggettato a tassazione [34].

 Le modalità concrete di attribuzione del sussidio, attraverso una procedura tipicizzata di tipo automatico, analogamente a quanto previsto dall’art. 4, comma 1, del Decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 123, «qualora non risulti necessaria, per l’attuazione degli interventi, un’attività istruttoria di carattere tecnico, economico e finanziario del programma di spesa», possono essere varie ed assumere la forma diretta, qualora il buono – scuola, al pari di un voucher, venga rimesso ai genitori o aventi diritto e da questi presentato all’istituzione scolastica prescelta, unitamente alla domanda di iscrizione alla scuola; ovvero la forma indiretta, qualora determini una attribuzione patrimoniale alla scuola prescelta, corrispondente all’importo del buono, a seguito della comunicazione della manifestazione di volontà espressa dai medesimi genitori o aventi diritto al momento dell’iscrizione [35].

In questa visione, che da risalto al pluralismo voluto dalla Costituzione e pone in rilevo i profili di autonomia e libertà delle istituzioni scolastiche per lo svolgimento di un servizio pubblico in senso oggettivo, a favore degli aventi diritto, ogni singola scuola nasce da un patto educativo tra genitori (titolari originari della domanda educativa e del diritto – dovere di educare e di istruire i figli) e gestori (enti e privati, titolari dell’offerta formativa), del quale patto e del servizio dell’istruzione erogato è garante lo Stato, e trovano concreta attuazione i principi costituzionali di parità e libertà e di efficienza dei servizi pubblici collettivi.

 


 

[1] D. Antiseri, Le ragioni delle scuole libere, in Riforma & Didattica tra formazione ricerca, Reggio Calabria, Falzea Editore, n. 1/2002, pp. 11: «Già negli anni Settanta Christopher Jenks - noto personaggio di sinistra - progettò la prima esperienza del sistema di buono -scuola. L' idea di buono - scuola è poi stata ripresa da D. Osborne e T. Gabler, ispiratori ambedue della politica di Bill Clinton. In Francia il buono-scuola è stato difeso da A. Madelin, il quale è stato ministro della pubblica istruzione. Nel 1973 Jacques Delors, allora Presidente della Commission internatìonale sur l'éducation pour le XXI siecle dell'UNESCO, propose il buono - scuola, convinto che “soltanto un simile sistema di finanziamento è in armonia con i provvedimenti tesi ad accrescere l'efficacia della scuola nella lotta contro l'ineguaglianza delle opportunità (chances)”. In Italia, Antonio Martino, da oltre vent'anni ha insistito, in più d'un saggio, sull'idea di buono - scuola, idea che tutti dobbiamo al maestro di Martino, e cioè a Milton Friedman, e che successivamente è stata ripresa pure da Friedrich A. von Hayek. ll buono-scuola è stato sperimentato nel Distretto di Alum Rock (California), nello Stato del Minnesota (dove, nel 1990, il sistema del buono era stato già adottato dal 10% degli alunni), a Porto Rico, in Nuova Zelanda, in Australia, a Cleveland (Ohio), a Milwaukee (Wisconsin), e in Svezia. Qui, in Svezia, fu il governo conservatore che nel 1990 introdusse il buono-scuola. Nel 1994 i conservatori hanno perso le elezioni; ma i socialisti, andati al potere, hanno lasciato in vigore la legge sul buono - scuola. Questa legge accredita a chi sceglie la scuola non statale l'85% del costo medio di un alunno delle scuole del Regno, con evidenti risparmi per il pubblico erario. Nel 1994, in Svezia, la scuola non statale era arrivata al 5%. Il governo socialista si aspetta che nel giro di 10 - 15 anni questa cifra si stabilizzi attorno al 10%». V. anche le argomentazioni a sostegno del buono – scuola, sviluppate da  A. Martino, Economia di mercato: fondamento delle libertà politiche, Borla, Roma, 1994, p. 123 «Il buono – scuola. Che la scuola italiana sia in “crisi” è fatto sostenuto da più parti: gli studenti e le loro famiglie, i politici, gli educatori, e l’opinione pubblica in genere sono concordi nell’ammetterlo. La “crisi” della scuola, tuttavia, non è un fenomeno solo italiano, ma riguarda anche altri paesi che hanno un sistema di finanziamento simile al nostro. Anche in questi paesi, la scuola “privata” ha mostrato un grado di efficienza superiore a quella statale: per esempio, il costo dell’istruzione per alunno è molto minore nelle scuole non statali che in quelle statali, per un servizio scolastico pari o migliore, in paesi come la Gran Bretagna e gli Stati Uniti. Ed è possibile sostenere che l’inefficienza delle scuole statali non sia un fatto esclusivamente negativo: la libertà nella scuola, infatti, è stata garantita dall’inefficienza delle scuole statali. Solo così si è compensato l’ingiusto vantaggio di cui la scuola statale gode nella concorrenza con la scuola “privata”, che altrimenti avrebbe dovuto scomparire del tutto. E’ auspicio generale, tuttavia, che la situazione attuale sia modificata, e che la scuola esca dalla “crisi” presente».

[2] J. Ashworth, I. Papps e B. Thomas, Increased Parental Choice?, IEA Education Unit, Londres, 1998.

[3] M. Friedman, The Role of Government in Education, in Economics and the Public Interest, a cura di R.A. Solo, Rutgers University Press, New Brunswick (N.J.I.), 1955.

[4] M. Friedman, Capitalismo e libertà, trad. it., Edizioni Studio Tesi, Pordenone 1987, pp. 138 e ss.

[5] C. Jenks, Education Vouchers: A Repport in financing Elementary Education by Grants to Parents, Centre for the Study of Pubblic Policy, Cambridge, 1970.

[6] A. Madelin, Pour libérer l'ècole, R. Laffont, Parigi, 1984, pp. 55.

[7] P. Perlingieri, Codice Civile annotato con la dottrina e la giurisprudenza, Libro IV, Torino, Utet, 1981, pp. 1526, riporta che è dibattuta la questione sulla classificazione e funzione dei vari documenti di legittimazione: «Un insegnamento (La Lumia, Corso di diritto commerciale, p. 275; Id., Appunti sulla natura giuridica dei titoli di credito impropri, in RPC, 1955, pp. 327-328) rileva che il concetto di documento di legittimazione appare unitario ed insuscettibile di distinzioni in sottocategorie, qualificandosi per la funzione costante di identificazione dell’avente diritto e, talora, anche, per la funzione di legittimazione attiva... Si oppone a detta costruzione la più recente dottrina (Fiorentino, o.c., p. 134 s.; Ferri, o.l.c.) ritenendo che un documento si classificherà nell’una o nell’altra categoria o in base alle norme di legge che lo disciplinano o in base all’intenzione delle parti

[8] S. Buscema, Buono, in Enc. del diritto, Giuffrè, Milano, 1961, XXIII, pp. 710. L’a., con riguardo all’uso sostantivato dell’aggettivo “buono”, rileva altresì che: «Molta incertezza e indeterminatezza notasi tuttora sul significato giuridico dell’espressione, e scarsa, se non quasi nulla, ne è l’elaborazione scientifica, intesa come contributo teorico che in qualche modo abbia tentato di delimitare il campo d’uso e di ricercare elementi comuni in una varietà almeno apparentemente disordinata. Una speculazione teorica sul “buono” avrebbe potuto essere affrontata tanto nel campo del diritto privato, quanto in quello del diritto pubblico».

[9] V.: A. Di Amato, I titoli di credito, in Trattato di diritto privato (diretto da P. Rescigno), Vol. 13 – Obbligazioni e contratti, Torino, Utet, 1985, , pp. 454; B. Libonati, Titoli impropri e documenti di legittimazione, in Noviss. Dig. It.,XIX, Torino, Utet, 1973, pp. 363.

[10] In dottrina e nella legislazione (art. 2002 c.c.) i titoli di legittimazione vengono anche chiamati titoli impropri, in quanto essi pur non essendo destinati a circolare, o a circolare nel modo proprio dei titoli di credito, conferiscono al loro possessore una legittimazione attiva e passiva, nel senso che senza di essi non si può pretendere la prestazione. Così: S. Buscema, Buono, in Enc. del diritto, Giuffrè, Milano, 1961, XXIII, pp. 707.

[11] F. v. Hayek, La società libera, trad. it., Vallecchi, Firenze, Edizioni Seam, 1999, pp. 465

[12] V. C. Mortati, Istituzioni di diritto pubblico, Padova, Cedam, 1969, pp. 133. U. Pototschning, Istruzione (diritto alla), voce Istruzione, in Enc. del diritto, XXIII, Giuffrè, Milano, 1961, pp. 96, che rileva altresì: «Si deve subito aggiungere tuttavia che esso corrisponde ad un’esigenza diffusa dell’attuale stadio di civiltà, tanto è vero che lo si è ricompreso nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (art. 26) votata dall’ONU ancora nel 1948, nonché nel protocollo addizionale alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmato a Parigi il 20 marzo 1952 (convenzione e protocollo ratificati e resi esecutivi in Italia con l. 4 agosto 1955 n. 848»; M. Mazziotti, Diritti sociali, in Enc. del diritto, XII, Giuffrè, Milano, 1961, pp. 802 e ss.. In altro senso: T. Martines, Diritto pubblico, Milano, Giuffrè, 2000, p. 523, che, muovendo dal presupposto che i diritti sociali «sono pur sempre espressione delle libertà nello Stato»,  include, riduttivamente, nei diritti sociali «il diritto allo studio e, per i capaci e i meritevoli, il diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi (art. 34)».

[13] Dal punto di vista interpretativo, l’art. 34 della Costituzione, letto comma per comma, alla luce della sentenza della Corte costituzionale, 30 dicembre 1994, n. 454 (in Foro it. 1995, I, 750), delinea i seguenti principi: a) la scuola è aperta a tutti: non solamente agli alunni che scelgono le scuole di Stato e non solamente la scuola di Stato; b) l’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita: non dunque unicamente l’istruzione statale, ma tutta l’istruzione, sia quella impartita nelle scuole dello Stato che in quelle non statali, sia, infine, in quelle meramente private; c) i capaci e i meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più elevati degli studi: i capaci e i meritevoli tutti, sia che frequentino le scuole di Stato o non statali, legalmente riconosciute oppure no; d) la Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie e altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso: borse di studio che hanno per destinatari gli aventi diritto, senza distinzione della scuola che frequentano.

[14] U. Pototschnig, Istruzione (diritto alla), in Enc. Dir., XLVI, Milano, Giuffrè, 1973, pp. 98.

[15] U. Pototschnig, Istruzione (diritto alla), in Enc. Dir., XLVI, Milano, Giuffrè, 1973, pp. 101. V. anche, dello stesso a.: Insegnamento, istruzione, scuola¸ in Scritti scelti, Padova, Cedam, 1999, pp. 709 ss. V. anche: A. Barbera – C. Fusaro, Corso di diritto pubblico, Bologna, Il Mulino, 2001, p. 148: «Il diritto all’istruzione non comprende solamente il diritto per tutti di essere ammessi a scuola, ma dev’essere inteso come diritto a ricevere un’adeguata istruzione ed educazione per la formazione della personalità e l’assolvimento dei compiti sociali della persona». V. anche: G. Balladore Pallieri, Diritto costituzionale, Milano, Giuffrè, 1976, p. 450: «Sono chiare le finalità democratiche dell’articolo in esame [art. 34 cost., ndr]: la scuola deve essere congegnata in modo da essere accessibile a tutti; tutti devono ricevere un minimo di istruzione; tutti devono poter raggiungere i gradi più alti dell’istruzione». Ancora, anche se con profili diversi, M. Fiore, Manuale di diritto pubblico e legislazione scolastica, Milano, Giuffrè, 1996, p. 408: «”La scuola è aperta a tutti” (art. 34, I comma cost.). Il sintagma esprime il concetto di un diritto all’istruzione che, peraltro, non è un vero e proprio diritto soggettivo ad ottenere in ogni caso istruzione, ovvero azionabile – per conseguire ad esempio l’apertura di una scuola – ma un diritto a ricevere istruzione, quando la scuola è costituita, secondo le regole poste dall’amministrazione scolastica».

[16] In passato la gratuità era connessa all’obbligatorietà (V. ad es.: N. Daniele, L’ordinamento scolastico italiano, in Trattato di diritto amministrativo (diretto da G. Santaniello), vol. XI, Padova, Cedam, 1988, p. 58: la scuola era gratuita in quanto obbligatoria, secondo la formulazione della legge Casati (l. 13 settembre 1859 n. 3725). Tale visione è oramai tramontata, per effetto delle previsioni costituzionali, che riconoscono il “diritto” dei singoli a godere dell’istruzione.

[17] Dai lavori preparatori e dal dibattito svoltosi in seno all’Assemblea costituente si deduce con certezza che il riconoscimento del diritto all’istruzione era un risultato cui i Costituenti tenevano moltissimo e proprio per il suo significato profondamente innovatore. Le proposte originarie, poi confluite nella formulazione definitiva dell’art. 34, sottolineavano anzi in termini ancor più espliciti il valore del diritto, inteso non come diritto di tutti ad essere ammessi alla scuola, ma come diritto di ognuno di “ricevere una adeguata istruzione ed educazione per la formazione della sua personalità e l’assolvimento dei compiti sociali”; diritto da riconoscersi ad ogni cittadino “senz’altra condizione che quella dell’attitudine e del profitto” e superando i limiti derivanti dalla sua appartenenza “ad un determinato ambiente sociale o ad una particolare condizione economica”. Rip. con ampi richiami, in: U. Pototschnig, Istruzione (diritto alla), in Enc. Dir., XLVI, Milano, Giuffrè, 1973, p. 98.

[18] In tal senso v. l’intervento della Corte Costituzionale che con la sentenza del 30 dicembre 1994 n. 454 (in Foro it. 1995, I, 750), ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli artt. 1, comma 1, della l. 10 agosto 1964 n. 719, e 156, comma 1, del d.p.r. 16 aprile 1994 n. 257, in riferimento all’art. 3 Cost., nella parte relativa alla esclusione della fornitura gratuita dei libri di testo agli alunni delle scuole elementari che, per adempiere l’obbligo scolastico, frequentino scuole non statali o non abilitate a rilasciare titoli di studio aventi valore legale.

[19] Il richiamo di tale base costituzionale assoggetta l’attività ad un regime di riserva, che preclude all’amministrazione di istituire il regime dei sussidi senza fondamento autorizzatorio a livello legislativo. Lo schema normativo tipico attribuisce alla legge la definizione degli elementi essenziali del sussidio: inerenti alle finalità da perseguire, alle risorse finanziarie coinvolte, agli strumenti da utilizzare. La pubblica amministrazione è competente, invece, a dar seguiti all’autorizzazione legislativa. V. in argomento: G. P. Manzella, Gli ausili finanziari, in Trattato di diritto amministrativo (a cura di S. Cassese), vol. III, Milano, Giuffrè, 2000, pp. 2861, che aggiunge: «La dottrina pone in rilievo l’importanza della piena osservanza del regime della riserva legale: per le implicazioni potenzialmente distorsive della concorrenza (o del principio di eguaglianza) inerenti alla concessione di misure di ausilio; per i più generali profili di legalità finanziaria coinvolti dall’erogazione di fondi pubblici». Sul contenuto, il significato e i limiti delle norme generali sull’istruzione di cui all’art. 33, comma 2, cost. v. U. Pototschnig, Insegnamento, istruzione, scuola¸ in Scritti scelti, Padova, Cedam, 1999, pp. 724 ss.

[20] Per M.S. Giannini in Diritto amministrativo, vol. II, Milano, Giuffrè, 1993, pp. 688: «Sussidi. E’ la denominazione con cui si indicavano in periodo meno recente le sovvenzioni assolutamente libere quanto all’an, al quid e al quantum. Sono rimasti nel settore detto dell’assistenza generica, cioè quella che viene erogata in casi nei quali le norme non prevedono altre più precise o specifiche specie di assistenza». Per A.M. Sandulli, Manuale di diritto amministrativo, vol. 1, Napoli, Jovene Editore, pp. 550, i sussidi rientrano tra i provvedimenti con i quali l’amministrazione si priva di propri beni, o assume obbligazioni a favore di terzi, ovvero rinunzia – nei non frequenti casi in cui ciò le è consentito – a propri diritti, liberando i terzi dai correlativi obblighi, o attribuisce comunque somme di sua spettanza, alle quali chi le riceve non vanta un diritto. Lo stesso a. ritiene altresì che i sussidi si ricollegano ai provvedimenti che «fanno sorgere nei destinatari nuovi diritti, o fanno venir meno preesistenti obblighi, e hanno perciò per i destinatari carattere “accrescitivo” (o, se si preferisce, “migliorativo) delle loro posizioni giuridiche, pur accompagnandosi frequentemente ad essi la nascita di corrispondenti obblighi dei destinatari verso l’Amministrazione (si tratta per lo più – ma non sempre – di atti basati su scelte discrezionali)». V. anche: M.S. Giannini, Istituzioni di diritto amministrativo, Milano, Giuffrè, 1981, p. 321.

[21] G. Landi – G. Potenza – V. Italia, Manuale di diritto amministrativo, Milano, Giuffrè, 1999, p. 560, ritengono che trattasi di una azione di redistribuzione dei redditi posta in essere dallo Stato, che rientra nel programma economico – sociale espresso dal bilancio e non comporta a favore dello Stato una diretta e corrispondente controprestazione.

[22] R. Galli – D. Galli, Corso di diritto amministrativo, Vol. II, Padova, Cedam, 2001, pp. 918 ss., che in ordine all’inquadramento nell’ambito del genus concessorio dei sussidi aggiungono: «Difetterebbe, inoltre, quel profilo incrementativo finale dell’interesse pubblico, rispetto al quale i vantaggi conseguiti dai privati con l’accesso al danaro pubblico, si porrebbero in funzione strumentale, in quanto deputati ad assolvere piuttosto ad una funzione solidaristica di sostegno o sussidio ovvero di premialità. Viceversa per altri (i contributi e le sovvenzioni) tali aspetti, anche se sfumati, ricorrono tutti, per cui i dubbi prospettati sembrano infondati».

[23] P. Virga, Diritto Amministrativo,vol. 2, Atti e ricorsi, Milano, Giuffrè, pp. 20, definisce la sovvenzione come: «L’atto con cui si attribuisce ad un soggetto un beneficio pecuniario. Tale beneficio può consistere o nella erogazione di una somma una tantum o nel pagamento periodico di assegni ovvero nel contributo al pagamento degli interessi. L’erogazione della sovvenzione può avvenire a fondo perduto ovvero con obbligo di rendiconto. La sovvenzione viene disposta o per ragioni di carattere assistenziale ovvero per incentivare attività economiche, ma sempre in base ad un apprezzamento discrezionale». V. anche: E. Croci – G. Pericu: Sovvenzioni (diritto amministrativo), in Enc. del diritto, vol. XLIII, Giuffrè, Milano, 1990, pp. 243 ss., che inquadrano le sovvenzioni e gli incentivi nella più ampia famiglia dei mezzi di ausilio finanziario, rilevando inoltre che: «D’altro canto, la nozione di incentivazione, intesa come quel complesso di atti giuridici e di operazioni materiali diretto allo scopo di agevolare ed aiutare il compimento di altre attività, è per certi aspetti più ampia, ma per altri più limitata di quella di sovvenzione. Più ampia perché abbraccia fenomeni del più vario tipo, come ad esempio, la predisposizione di infrastrutture urbanizzative di aree produttive, o la fiscalizzazione degli oneri sociali, che non sono correttamente riconducibili nel concetto di sovvenzionamento. Più limitata perché le sovvenzioni a loro volta comprendono atti sicuramente estranei alla incentivazione come le sovvenzioni cosiddette semplici o di mero conferimento»

[24] Per E. Casetta, Manuale di diritto amministrativo, Milano, Giuffrè, 2001, pp. 299 ss. «La terminologia usata dal legislatore non è sempre uniforme: in generale, le sovvenzioni riguardano lo svolgimento di attività imprenditoriali, i contributi attengono ad attività culturali o sportive, mentre i sussidi sono attribuzioni rientranti nella beneficenza generale. Il vantaggio può essere diretto (erogazione di somme) o indiretto (sgravi da alcuni oneri) e non sussiste, in capo al beneficiario, di pagare alcun corrispettivo, sicché si può ravvisare, a differenza delle altre ipotesi concessorie, un intento di liberalità».

[25] M.S. Giannini in Diritto amministrativo, vol. II, Milano, Giuffrè, 1993, pp. 546, evidenzia: «La teoria dell’accertamento costitutivo fu proposta da G.M. De Francesco, nello studio delle ammissioni (L’ammissione nella classificazione degli atti amministrativi, Milano 1962), e poi ripresa da M. Zotta, Gli accertamenti costitutivi nel quadro degli atti amministrativi, RDP 1940, 1, 135, e da G. Vignocchi, Gli accertamenti costitutivi nel dir. Amministrativo, Milano, 1950. Il periodo insito nella concezione lo si può vedere in scritti applicativi, come quelli di A. Torrente, Giur. Cass. Civ. XVII (1945), 111, a proposito dei riconoscimenti del carattere di stazioni di cura dei comuni, che tale A. ritenne accertamento “costitutivo”, sindacabile dal giudice ordinario, o di U. Giglio, RDP 1940, I, 338, a proposito dell’iscrizione negli albi professionali». Sulla nozione di accertamento costitutivo v. . Virga, Diritto Amministrativo,vol. 2, Atti e ricorsi, Milano, Giuffrè, pp. 20 ss.; Vignocchi, Gli accertamenti costitutivi, Milano, Giuffrè, 1950; Perini, Osservazioni sull’accertamento costitutivo nel diritto amministrativo, Padova, Cedam, 1953; G. Landi – G. Potenza – V. Italia, Manuale di diritto amministrativo, Milano, Giuffrè, 1999, p. 211, nei seguenti termini: «I cosiddetti accertamenti costitutivi, talvolta confusi con gli atti negoziali di ammissione, constatano l’esistenza nel soggetto di determinati requisiti, cui consegue l’acquisto di una capacità, d’uno status o situazione giuridica, d’un diritto; e si distinguono dall’ammissione perché interamente vincolati. Gli accertamenti costitutivi sono indispensabili per il sorgere della capacità, della situazione o del diritto: anche se i requisiti preesistono, l’atto formale dell’accertamento è richiesto ad substantiam».

[26] P. Virga, Diritto Amministrativo,vol. 2, Atti e ricorsi, Milano, Giuffrè, pp. 20 ss. esclude ogni valutazione discrezionale per la concessione dei sussidi, «con cui, al pari quanto avviene per le sovvenzioni, viene attribuito un beneficio pecuniario al destinatario nella misura stabilita dalla legge».

[27] Deve riconoscersi la giurisdizione del giudice ordinario in ordine alle controversie che, come nella fattispecie, ineriscono a posizioni di diritto soggettivo del privato alla percezione del beneficio. Sul punto la giurisprudenza è costante: v. Cass. SS. UU. 10 agosto 1996 n. 7405, in Giur. it. 1996, II, 414; Cass. SS.UU. 30 novembre 1992 n. 13706, in Mass. Giust. Civ., 1992; Cass. SS.UU. 7 luglio 1988 n. 4480, in Cons. Stato, 1988, p. 2133.

[28] U. Pototschnig, Insegnamento, istruzione, scuola¸ in Scritti scelti, Padova, Cedam, 1999, pp. 714: «L’opinione che considera l’istruzione come un fine dello Stato e quindi come una pubblica funzione, non può essere accolta soprattutto perché contrasta con gli stessi principi costituzionali in materia di “istruzione”. In base all’art. 30 infatti si deve ammettere che tra i soggetti che svolgono “istruzione” vi sono anche i genitori, i quali hanno appunto il diritto e il dovere di “mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori dal matrimonio”; orbene ritenere che l’istruzione sia una pubblica funzione, significherebbe ammettere che, nell’adempimento di questo loro compito, i genitori sono “funzionari” dello Stato, e che essi lo realizzano non in nome proprio ma in nome e per conto dello Stato; conclusione inaccettabile proprio perché in contrasto col dettato costituzionale, che fa dell’istruzione dei figli non soltanto un dovere ma anche un diritto dei genitori; i quali dunque vi provvedono considerandolo un compito proprio, al punto che esso rimane loro anche nel caso in cui i genitori siano incapaci e in cui la legge provveda a supplirli (art. art. 30, secondo comma)».

[29] In Suppl. ordinario n. 65/L, alla Gazz. Uff. n. 82, 8 aprile - Nuove disposizioni in materia di organizzazione e di rapporti di lavoro nelle amministrazioni pubbliche, di giurisdizione nelle controversie di lavoro e di giurisdizione amministrativa, emanate in attuazione dell'art. 11, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59

[30] In Gazz. Uff., 26 luglio, n. 173 - Disposizioni in materia di giustizia amministrativa.

[31] In termini: R. Galli – D. Galli, Corso di diritto amministrativo, Vol. II, Padova, Cedam, 2001, pp. 918 ss.

[32] In Gazz. Uff., 18 agosto, n. 192- Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi. Art. 12: «1. La concessione di sovvenzioni, contributi, sussidi ed ausili finanziari e l'attribuzione di vantaggi economici di qualunque genere a persone ed enti pubblici e privati sono subordinate alla predeterminazione ed alla pubblicazione da parte delle amministrazioni procedenti, nelle forme previste dai rispettivi ordinamenti, dei criteri e delle modalità cui le amministrazioni stesse devono attenersi.2. L'effettiva osservanza dei criteri e delle modalità di cui al comma 1 deve risultare dai singoli provvedimenti relativi agli interventi di cui al medesimo comma 1». Sui profili considerati, diffusamente, Cons. Stato, ad. Generali, parere 28 settembre 1995 n. 95, in Cons. Stato, 1997, p. 601. Per quanto riguarda le imprese, le predette indicazioni si completano con i principi dettati dal Decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 123 (in Gazz. Uff., 30 aprile, n. 99). - Disposizioni per la razionalizzazione degli interventi di sostegno pubblico alle imprese, a norma dell'art. 4, comma 4, lettera c), della legge 15 marzo 1997, n. 59. V. in proposito, con ampi riferimenti, G. P. Manzella, Gli ausili finanziari, in Trattato di diritto amministrativo (a cura di S. Cassese), vol. III, Milano, Giuffrè, 2000, pp. 2888 ss.

[33] In Suppl. ordinario alla Gazz. Uff., 16 ottobre, n. 268 - Disciplina delle agevolazioni tributarie, nei seguenti termini: «I sussidi corrisposti dallo Stato e da altri enti pubblici a titolo assistenziale sono esenti dall'imposta sul reddito delle persone fisiche e dall'imposta locale sui redditi nei confronti dei percipienti».

[34] La previsione è compatibile con la visione delle agevolazioni fiscali, giustificate con la scelta politica (tipico giudizio di valore) di rinunciare ad una parte del gettito tributario in nome di qualche altro interesse meritevole di tutela. V. sul punto: R. Lupi, Diritto Tributario, vol. I, Milano, Giuffrè, 1994, pp. 59.

[35] Devesi ritenere che la manifestazione di volontà del beneficiario costituisca presupposto essenziale del procedimento di attribuzione.

Documenti correlati:

TAR LOMBARDIA-MILANO, SEZ. II - Ordinanza 8 novembre 2000 n. 3636*

S. SCOPPA, L'illusione della parità scolastica nel sistema delle convenzioni.







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