BULLISMO, PEDOFILIA, VIOLENZA, ISOLAMENTO, CINISMO, INSUCCESSO, SEPARAZIONE, ABBANDONO, CONSUMISMO ...
Data: Luned́, 18 dicembre 2006 ore 20:41:10 CET
Argomento: Recensioni


Quanto è difficile fare l'insegnante lo sa solo chi giornalmente agisce per educare i giovani .I politici incalzati dagli eventi diffusi sul web e dai restanti mass media cercano soluzioni cartacee.Gli studiosi vedono la soluzione nella mediazione. Per fare il punto sulla ricerca si riporta la nota pubblicata su Ceripnews di oggi e lo studio eseguito dall'Ufficio Scolastico Regionale per il Veneto nella Formazione dirigenti scolastici - Materiali Seminario "Il conflitto come risorsa..."  

 

Nota pubblicata su Ceripnews. it

Bullismo vero e pannicelli caldi
di Elio Palumbo

 

Appare del tutto paradossale quanto affermato dall’assessore Silvia Costa della regione Lazio, secondo la quale il bullismo dilagante possa essere combattuto prioritariamente a scuola attraverso “un nuovo patto sociale tra giovani ed istituzioni” attraverso uno statuto degli studenti che gli stessi ed i rispettivi genitori devono sottoscrivere al momento dell’iscrizione dei figli, ed una commissione paritetica (alunni, presidi e docenti) che ne verifichi il rispetto.
Bello, se fosse possono ridurre il fenomeno a quattro fogli di carta ed un patto d’onore. Ma il problema è ben diverso e molto, molto più complesso!
Che volete che se ne faccia del patto d’onore quella famiglia che iscrive i figli a scuola solo per assolvere ad un obbligo di legge, per toglierselo da casa ed evitare che possa delinquere anticipatamente? Certamente nulla! Come pari a zero è il ruolo della auspicata commissione paritetica che dovrebbe vigilare sul rispetto del cosiddetto “patto sociale”.
Ebbene, dopo che la commissione ha rilevato la trasgressione, quali sono gli strumenti educativi che essa dispone e può mettere in essere per contenere il fenomeno ed evitare forme imitative e comportamenti difformi? A quanto pare nessuno, stante alle proposte. Di fatto la scuola continua a restare sola!
Restano i progetti educativi extracurricolari che potrebbero, in qualche modo, far percepire ai bulletti presenti in ogni scuola d’Italia ed in ogni ordine e grado di essa, una diversa immagine del sistema scuola e, quindi, per conseguenza, sperare che il mutato comportamento possa valere anche nelle ore del mattino. Ma anche questa è solo teoria.
La verità è che oggi la scuola non ha strumenti per contenere questi fenomeni e soprattutto evitare l’elevato tasso di inquinamento sociale che tali comportamenti determinano nel sistema classe ed istituto. A tanto va aggiunta anche la constatazione che le eventuali sanzioni (rischiando un’accusa di persecuzione nei confronti del ragazzo, da parte della famiglia!) non giovano a ridurre il fenomeno, anzi ne aggravano la portata, perché il bulletto sospeso potrà vantarsi anche di una bella sospensione; di contro se si assume un atteggiamento indulgente, egli potrà vantarsi di fare quello che vuole impunemente.

 

In MINORI E GIUSTIZIA 1/2005 Franco Angeli
Conflitti e mediazioni 

L'intelligenza emotiva:

dalla mediazione del conflitto alla relazione costruttiva

di Maria Martello

(Docente di Psicologia dei rapporti interpersonali presso l'Università Cà Foscari di Venezia, giudice onorario presso la Corte d'Appello di Milano) .

 

1. Il deterioramento delle relazioni interpersonali

Pare particolarmente allarmante l'accelerazione di un processo, in atto da tempo, di deterioramento e imbarbarimento delle relazioni interpersonali e collettive. Lo stile della convivenza civile si sfilaccia e lascia il posto ad un clima di giungla in cui il più forte o il più arrogante, il più ricco o il più furbo, il più potente o il più prevaricatore, anziché farsi ragione sforzandosi di convincere chi la pensa diversamente, semplicemente si impone, cosi facendo del suo comportamento l'etica dominante. Nella discussione si alzano i toni del linguaggio abbassando il livello del contenuto, si alimenta il culto dell'immagine e del successo, si esalta la competizione sfrenata e si osanna la violenza, l'aggressività, la volgarità del più forte. 

Il malessere e il disagio aumentano. Si parla molto di incomunicabilità, bullismo, pedofilia, violenza, isolamento, cinismo, insuccesso, separazione, abbandono, consumismo, per citare alcune forme che catalizzano buona parte delle risorse della società civile e impegnano vari professionisti esperti. "Alle parole" del malessere proponiamo di sostituire "la parola" del malessere. Alla folla di nomi, vogliamo contrapporre un solo nome: il conflitto. La disattenzione nei suoi confronti, la poca preparazione a gestirlo, la mancanza di educazione alla relazione, l'incapacità a comunicare, intaccano inesorabilmente, in modo subdolo, quasi impercettibile, le microsituazioni corrodendole. 

Si avvia un processo simile a quello del cancro, che appare evidente nel fisico quando esplode nella gravità estrema, nelle forme più drammatiche. Così quanto inizialmente appartiene alla dimensione normale del vivere, il sano confronto ed anche il conflitto, fa il suo ingresso nell'area della patologia, con gravi costi in termini di spesa, di sofferenza, di malessere e di insicurezza sociale. 

Urge tornare un po' indietro per poterci proiettare in avanti. Restituire attenzione all'etica, all'educazione alle relazioni, alla gestione del conflitto,apprendere l'alfabeto della comunicazione empatica fin dai primi anni di vita, significa dare risposte ai bisogni ontologici dell'uomo alle prese con l'angoscia del vivere e creare le condizioni per un futuro vivibile. 

Seguire criteri etici nella relazione interpersonale è certamente vantaggioso. Quando l'altro risponde sullo stesso piano, i risultati sono gratificanti a livello personale, ma anche fruttuosi per gli obiettivi professionali e, non ultimo, generatori di effetti benefici per la società intera. Si tratta di rapporti intelligenti in cui ad un'azione corrisponde un vantaggio per chi la fa e per chi la riceve. 

Ciò è utile ugualmente quando l'altro si dissocia tenendosi lontano da questa dimensione del vivere. Resta, infatti, salvaguardata la scelta etica dell'uno e, forse anche, sollecitata al cambiamento,  quella dell'altro: una testimonianza stimolante seppur a volte inquietante. 

Allo stesso modo risulta reciprocamente proficuo per risolvere un conflitto scegliere la mediazione, una tecnica basata sulla parresia dei greci, sul parlar chiaro, sull'essere franco e tentare di togliere di mezzo gli equivoci, non contraria alla ricerca della verità e non mero compromesso. Apprendere questa metodologia d'intervento significa aprirsi spazi professionali molto ampi ma anche un'opportunità per rivedere e sanare i propri conflitti, quelli conseguenti alla relazione con l'altro e quelli frutto del dialogo sempre difficile con se stessi.

 

2. La proposta chi una formazione dinamica alla mediazione 

Per questo motivo stiamo proponendo una formazione dinamica in cui man mano che si impara a fare i mediatori si diventa tali nel proprio vivere. Si sostituiscono modalità egoriferite, intolleranti della diversità dei punti di vista, con una rinnovata capacità di ascolto e di accoglienza dell'altro. Si ricerca un equilibrato scambio nel rispetto e nella valorizzazione delle differenze. 

In tal senso la formazione alla mediazione coincide con quella alla relazione costruttiva e al comportamento etico ed implica lo sviluppo dell'intelligenza emotiva. Oggi che le relazioni per molti motivi sono diventate complesse, e spesso mettono a dura prova il bisogno di qualità di vita, la capacità di orientarle in modo costruttivo non può essere affidata ad un apprendimento puramente occasionale, esperienziale, ma deve essere oggetto di attenzioni, modalità e tecniche specifiche. 

Partendo dalle strategie di formazione alla mediazione, abbiamo predisposto un percorso sperimentale rivolto ad un'utenza ampia, anche non interessata al compito di mediatore. Gli esiti non professionalizzanti sono applicabili subito per migliorare il proprio quotidiano e renderlo sempre più vicino all'aspettativa di ciascun essere umano di sentirsi riconosciuto nella sua dignità, capito nella sua originalità, soddisfatto nel suo bisogno di condivisione e complicità. Il percorso può poi essere approfondito fino all'acquisizione di un nuovo habitus, quello del mediatore. Una formazione per tutti, che molto ha da dire al mondo degli educatori. 

I vari progetti che abbiamo sperimentato rispondono pertanto ad una tipologia di soggetti e di situazioni diversi tra loro. Cambia il committente, cambia la durata, cambiano i finitori, cambiano le attività proposte. Resta fermo l'ambito, che sinteticamente è stato intitolato: ''L'intelligenza emotiva: dalla mediazione del conflitto alla relazione costruttiva". 

Chi mai penserebbe che l'intelligenza razionale sia qualcosa che si ha per nascita e non vada sviluppata? Eppure tale dubbio esiste per l'intelligenza emotiva. La constatazione di essere tutti impreparati, in quanto ben formati e strutturati solo nella dimensione razionale, crea una certa ansia e insicurezza che piuttosto che far scattare il fascino di ricercare in simil ambito, ancora misterioso, fa arroccare nella strenua difesa del già noto, del certo, negando ciò che non si padroneggia. Eppure è ovvio che ogni abilità dell'uomo può essere sviluppata, educata, orientata secondo i principi che in libertà ognuno stabilisce come buoni per la sua vita.

Non si può non prendere atto che il livello emotivo costituisce il criterio privilegiato in base al quale riconosciamo un valore positivo o negativo a quanto accade. Rendersene conto è il primo passo per lasciare che l'intelligenza emotiva si esprima sempre di più. Esercitazioni, specificamente ideate, costituiscono il volano per il suo sviluppo.

 

3. Generalizzare l'educazione alla relazione 

L'educazione alla relazione dovrebbe far parte del curriculum fin dai primi anni di scuola assecondando l'apertura che i bambini naturalmente hanno verso l'altro e contrastando l'isolamento dell'attuale stile prevalente di vita. Si accompagnerebbe così la nascita della dimensione sociale della persona e si eviterebbe che l'incompetenza e i conseguenti errori blocchino la fiducia verso l'esterno come disperata ed unica difesa dalle vulnerabilità emotive ed affettive. Inoltre l'infanzia è il periodo in cui si è più recettivi, non c'è ancora l'urgenza di acquisire strumenti operativi e professionali da spendere subito nell'inserimento nel mondo del lavoro. Si è ancora quindi pronti e disponibili a riflettere sul senso del fare come espressione dell'essere.

Questo apprendimento ritengo vada anche inserito, con corsi fondamentali, in ciascun percorso universitario costituendo un ponte tra la scienza di riferimento e la prassi, una sinergia tra la teoria e l'esperienza applicativa: una vera preparazione all'inserimento lavorativo dove, più che mai, il successo è legato alle competenze relazionali. Queste ultime, infatti, fanno la differenza tra un dipendente e l'altro, costituiscono la variabile che determina lo sviluppo della carriera di uno più dell'altro; mentre le competenze tecniche sono il dato di partenza che accomuna nel momento dell'assunzione tutti i lavoratori.

Uno spazio particolarmente ampio l'educazione alla relazione dovrebbe averlo nell'ambito dei corsi di laurea che preparano all'insegnamento, alla formazione e alle relazioni d'aiuto. Si deve trattare, però, di una formazione profonda che va ben oltre i programmi di tecniche di comunicazione, i quali, a volte, sembrano arenarsi ad un livello di superficie, di apprendimento di strategie simili a sovrastrutture che si sovrappongono alla persona, modi di essere formali non congruenti con il modo di sentire vero. È investendo sul sentire profondo che si ottiene naturalmente poi l'esprimersi efficacemente e non viceversa!

Base di tale formazione restano i principi della mediazione umanistica, intesa sia come ambito di studio e di apprendimento sia come servizio offerto all'utenza, a chi è in conflitto. Il modello umanistico, infatti, consente a chi lo accosta di approfondire la propria formazione umana e professionale, di rivedere ed elaborare i propri conflitti archiviati e di sviluppare le proprie capacità di relazione umana esercitandosi anche nell'espressione della propria intelligenza emotiva.

Senza questo lavoro preliminare si rischia di non essere generatori di benessere e di peggiorare la qualità della vita. Pur se si conosce la tecnica diventa anche pericoloso fare i mediatori per la risoluzione pacifica dei conflitti, in quanto i problemi degli utenti rischiano di riattivare il dolore del professionista per i suoi conflitti ancora aperti o latenti e non ben riconosciuti; non si può neanche portare una parte ad una ripresa del rapporti con l'altro, in una rinsaldata relazione fondata su principi realistici e su dati più profondi, perché la controparte rischia di restare il "nemico". 

Al di fuori di una formazione personale completa e complessa, del tipo sopra delineato, non si può assicurare a chi fruisce del setting di mediazione neppure l'esperienza unica di considerare il conflitto come un dato della vita molto eloquente e per questo da non sottovalutare: come un evento che, se considerato nel giusto modo e con giusti tempi, permette di comunicare con l'altro con cui si litiga, di cogliere elementi di conoscenza del suo mondo, di precisare a se stessi il senso profondo che ha determinato le proprie azioni e reazioni. Si fa perdere inoltre un'occasione per oltrepassare il livello razionale e oggettivo, che traspare alla superficie dei conflitti, per imparare a cogliere il livello più profondo, di tipo emotivo e affettivo, che ne è il motore. 

Vogliamo richiamare quindi all'urgenza di diffondere percorsi di formazione specifici, a tutte le età e in tutti i ruoli. Il modello che abbiamo creato, e stiamo attuando con risultati interessanti, è adeguabile a fasce d'età diverse, agli studenti dei vari ordini di scuola e dell'università, agli educatori, agli operatori sociali, ai dipendenti pubblici e privati, ai dirigenti, agli avvocati, agli operatori della giustizia, agli psicologi e al mondo del volontariato.

Tale formazione non può essere pensata in modo lineare ma circolare. Non fa "scoppiare la pace", né assicura l'armonia stabile nei rapporti interpersonali, né produce metamorfosi; ma sembra che innesti un circuito virtuoso che diventa promotore di ulteriori e continue modificazioni. Avvia un cammino lento ma possente, saldo e generatore di ulteriori dinamiche di cambiamento di cui quando meno ce lo si aspetta si prende atto. Fonda i presupposti per accreditare il ricorso alla mediazione.







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