PROCESSO A DON ABBONDIO E A CHI PAGA IL PIZZO
Data: Luned́, 18 dicembre 2006 ore 00:05:00 CET
Argomento: Rassegna stampa


Aula magna del liceo classico Michele Amari di Giarre: il 20 marzo del 1993 si celebra per mia iniziativa un processo a Don Abbondio. L'idea m'era venuta in mente riflettendo sul fatto che nella vita un po' tutti per qualche giorno abbiamo in noi stessi qualcosa che somiglia in certo modo alla rispettabile paura del curato manzoniano.
 Nell'aula gremita all'inverosimile ai primi posti i giurati, sul palco il sindaco della città Nino Incardona, Enzo Trantino, efficace difensore del celebre prete, don Nino Franco, sacerdote, Nicolò Mineo, letterato, Gaetano Lo Castro giurista, Nino Assennato, implacabile accusatore,Salvo Piro, lettore, il preside, moderatore.
 Per la vita del curato scrisse su una pagina del nostro giornale Patrizia Curatolo: «Il problema era quello della scelta. Il bivio era lì davanti ai suoi occhi e non c'era spazio per dilazioni temporali,l'opzione lo portò verso la via più facile e più umana,ma,proprio per questo,talmente gravida di conseguenze che ancora oggi lo si processa e lo si giudica».
 Il comico della paura trova nel letterato puntuali riferimenti,nel giurista la premessa alla colpa per la violazione di un diritto,nel sacerdote, docente di filosofia teoretica, la proposizione di un dilemma se sia più importante il diritto alla vita o quello al matrimonio.
 Don Abbondio sceglie la vita minacciata dalle ribalderie del tirannello presuntuoso don Rodrigo, in netto contrasto alla predicazione del cardinale Borromeo.
 La Grazia non interessa il curato, il quale confessa candidamente che uno se il coraggio non ce l'ha, non se lo può dare. Ma per il curato Assennato propone il massimo della pena, reo il sacerdote di un illecito perpetrato a danno di due poveracci che gli chiedono ciò che da pubblico ufficiale avrebbe dovuto fare senza dubbio alcuno.
 Il difensore, con la ben nota facondia, si chiede se una povera canna al vento come don Abbondio avrebbe potuto sfuggire alle pesanti minacce di don Rodrigo.
 «Saremmo ipocriti - aggiunge l'avvocato rivolto ai giurati- se negassimo la fragilità della natura umana che viaggia con un morboso,ma naturale attaccamento alla vita: don Abbondio è una canna non un soldato».
 «Non dolo dunque - spiega Trantino - ,ma uno stato di necessità imposto dalla forza che si rivela, alla resa dei conti cloroformio dei poteri inibitori. Risultato? Una rispettabilissima paura, davanti alla quale il sentimento della vergogna sbiadisce».
 Perdonare, dunque? No, assolvere perché don Abbondio siamo tutti o quasi: tanto che la giuria assolve tra gli applausi della platea.
 Moderare il dibattito non mi fu facile tanto era l'interesse degli ascoltatori che scandivano le battute più efficaci dei relatori con notazioni pronunciate ad alta voce.
 Mi torna sempre alla mente quel verdetto specie quando si invoca coraggio da tartassati per il "pizzo", da povere canne al vento agitate da venti infernali, i venti implacabili di passioni terrene.
 Le figure del capolavoro manzoniano sono tutte attuali. Ma don Abbondio è il più vicino al nostro modo esistenziale. Bravi a predicare coraggio agli altri, tragicamente pusillanimi quando le prepotenze degli altri ci toccano da vicino.
 Borromeo predica bene,merita incondizionata ammirazione, ma don Abbondio si annida negli spazi umani della nostra stessa vita.
 
Girolamo Barletta






Questo Articolo proviene da AetnaNet
http://www.aetnanet.org

L'URL per questa storia è:
http://www.aetnanet.org/scuola-news-6071.html