Dal sito Lavoce.info
Il messaggio del rapporto Stern
Guardiamo al grande clamore che la divulgazione del rapporto Stern ha provocato
a livello mondiale. (1) L’immaginario collettivo è sicuramente stato colpito da
affermazioni come quella secondo cui gli effetti dei cambiamenti climatici in
questo e nel prossimo secolo rischiano di sconvolgere l’attività economica e
sociale in misura paragonabile alle grandi guerre e alla grande depressione
degli anni Venti. O, ancora: nella prima metà del prossimo secolo vi sono il 50
per cento di possibilità che l’incremento della temperatura superi i cinque
gradi centigradi, lo stesso aumento che oggi si registra rispetto all’ultima
glaciazione.
Lo studio si distingue per ampiezza, finalità e raccomandazioni per l’attuazione
di politiche energetiche e ambientali. E tra queste propone: 1) l’uso di
strumenti di mercato per internalizzare il prezzo dei gas serra e definirne un
prezzo internazionale; 2) l’accelerazione dello sviluppo e della diffusione di
tecnologie a basso contenuto di carbonio; 3) l’implementazione di strategie di
adattamento; 4) forti istituzioni internazionali e impegno per ottenere la
stabilizzazione delle concentrazioni.
La conclusione centrale si può così riassumere. Un esame, approfondito, il più
possibile esaustivo e aggiornato del fenomeno suggerisce che dovremmo procedere
subito alla riduzione delle emissioni di gas-serra. Questo perché il non fare
nulla costerebbe tra il 5 e il 20 per cento del Pil mondiale adesso, mentre
intraprendere un’azione decisa e subito costerebbe solo l’1 per cento.
Questi numeri hanno fatto molto discutere, attirato molte critiche e suscitato
perplessità. (2) I costi in particolare sono parsi agli economisti del clima
esagerati, anche se Nicholas Stern si dice convinto che proprio tale costo sia
più elevato di quanto accertato finora. Cruciale è allora capire da dove
provengono questi numeri e come si confrontano con i benefici presunti
dell’azione di mitigazione.
Tre punti critici
Il primo punto riguarda il tasso di sconto utilizzato nel rapporto. Le stime del
danno appaiono elevatissime. Il risultato è dovuto al fatto che il rapporto
utilizza un tasso di sconto vicino allo zero – pari allo 0,1 per cento – per
valutare con il metro di oggi i danni del clima nel lontano futuro. Se il tasso
è zero, i danni futuri valgono quanto quelli di oggi. Da questa valutazione
grandemente amplificata scaturisce la conclusione della necessità di drastici
interventi oggi. Due qualificazioni vanno però aggiunte: la prima è che non si
tratta di un tasso che sconta il valore di beni e la moneta, bensì l’utilità o
benessere delle future generazioni, le quali quindi nel distante futuro sono
trattate dal rapporto in maniera uguale a quelle attuali. (3) La seconda è che,
nonostante una certa confusione, il costo del clima di cui parla il rapporto è
valutato pari a l’"equivalent of a 20 per cent cut in per-capita consumption,
now and forever". Ma "adesso" non significa "oggi". Grossomodo il rapporto
intende l’equivalente certo della perdita di consumo medio annuo da adesso nel
futuro infinito. E la perdita di consumo adesso nel senso di oggi è praticamente
zero. D’altra parte, il "per sempre" implica che la società non si abituerà mai
alle temperature più elevate, alle mutate precipitazioni, ai più alti livelli
dei mari. Questa visione dell’ingegno umano è alquanto riduttiva e contraddice
l’evidenza in materia di progresso tecnologico, adattamento ed evoluzione.
Il secondo rilievo riguarda la valutazione degli impatti dei cambiamenti del
clima e la conseguente stima del danno. Se questi sono elevati, l’analisi
costi-benefici effettuata dal rapporto pende a favore dell’intervento ampio e
immediato, a parità di costi di mitigazione. Ebbene, uno dei massimi esperti di
analisi degli impatti – Richard S.J. Tol dell’università di Amburgo – nota come
in tema di risorse idriche, cibo, salute, disastri naturali, assicurazioni, il
rapporto Stern selezioni sistematicamente gli studi più pessimistici della
letteratura. In sostanza, le stime riportate provengono da studi, alcuni dei
quali altamente speculativi, che le distorcono verso l’alto. Mentre William D.
Nordhaus dell’università di Yale, forse il più illustre economista del clima,
nota che tali valutazioni diventano poco attendibili, soprattutto dopo il 2100.
Le valutazioni degli impatti intervengono quando il rapporto deve quantificare
la famosa perdita del 20 per cento. Vengono considerate tre possibilità: un caso
"base" che tiene conto della possibilità di eventi catastrofici, un caso di
elevata sensibilità al clima, e un ultimo caso in cui si aggiungono i costi di
effetti "non di mercato" come l’impatto sulla salute umana. A quest’ultimo viene
infine aggiunta una valutazione soggettiva della maggiorazione di costo che le
regioni povere del pianeta devono subire. Mettendo insieme questi casi si arriva
alla tabella 1 qui sotto, che mostra come una valutazione media del 5 per cento
sale al 6,9, quindi al 14,4 e infine al 20 per cento inglobando l’effetto paesi
poveri. Poiché sono effetti che si fanno sentire anche e soprattutto in futuro,
diciamo nel 2200, si rammenta il ruolo di un tasso di sconto vicinissimo allo
zero. La maggior parte degli esperti della materia, per esempio Nordhaus,
utilizza tassi pari al 3 per cento. La tabella illustra cosa succede ai calcoli
se alziamo progressivamente il tasso: i costi si riducono e le conclusioni
centrali del rapporto evaporano.
L’ultima osservazione è di natura più metodologica. Le stime degli impatti
pubblicate nel rapporto sono tutte generate attraverso una serie di simulazioni
effettuate con uno specifico modello di valutazione integrata – si chiama
Page2002 – che per struttura è simile ad altri utilizzati in letteratura. (4) Le
varie simulazioni del modello danno luogo a una distribuzione delle stime del
danno e in tabella riportiamo il quinto e il novantacinquesimo percentile.
L’ampiezza dei valori dà conto della robustezza dei risultati. Il fatto più
rilevante, tuttavia, è che l’impiego di un singolo modello ha il vantaggio della
semplicità espositiva, ma implica una certa debolezza di risultati. Tanto più se
il modello appare assumere l’indipendenza della vulnerabilità ai cambiamenti del
clima dallo sviluppo economico, o se il rapporto non descrive in dettaglio
l’ipotizzato scenario di emissioni dal 2100 al 2200 né come sono modellati i
costi "non di mercato".
Il rapporto Stern costituisce un documento estremamente utile in quanto assai
più aggiornato dell’ultima versione ufficiale del rapporto del panel
intergovernativo sui cambiamenti climatici (Ipcc), il Third Assessment Report
che risale ormai al 2001 (il quarto dovrebbe uscire nel 2007). Ma come ogni
rapporto governativo non è soggetto ad alcuna valutazione di esperti
indipendenti sui metodi e sulle ipotesi. Se da un lato significativamente
espande l’ambito entro cui le stime del costo dei cambiamenti climatici vanno
valutate – come emerge dal confronto della figura 1 pubblicata nel rapporto
Stern che aggiorna la famosa figura del rapporto Ipcc qui riprodotta come figura
2 –, dall’altro arriva a conclusioni che non dipendono da significativi
progressi sul fronte della teoria economica, della scienza o della modellistica.
Dipendono essenzialmente da particolari ipotesi su un parametro fondamentale
dell’analisi, il tasso di sconto. Per dirla con Richard Tol, il rapporto va
abbandonato perché inutilmente allarmistico; per dirla con William Nordhaus, le
domande centrali della politica del clima – quanto, quanto velocemente e quanto
costosamente – rimangono aperte.
(1) Il rapporto Stern è scaricabile all’indirizzo
www.hm-treasury.gov.uk/independent_reviews/stern_review_economics_climate_change/stern_review_report.cfm.
(2) Tra le più significative critiche al rapporto Stern segnaliamo: Stephane
Hallegatte, "Comments on the Stern review and its assessment of the economic
cost of climate change" (http://blog.european-climate-forum.net/); Bjorn Lomborg,
"Stern Review: the dodgy numbers behind the latest warming scare"
(http://www.opinionjournal.com/extra/?id=110009182); William D. Nordhaus, "The
‘Stern Review’ on the Economics of Climate Change", National Bureau of Economic
Research working paper n. 12741 (dicembre 2006); Richard S.J. Tol, "The Stern
Review of the economics of climate change: a comment" (http://blog.european-climate-forum.net/);
Richard S.J. Tol, "Why Worry about Climate Change’ A Research Agenda",
Fondazione Eni Enrico Mattei working paper n. 136.2006 (novembre 2006); Gary
Yohe, "Some thoughts on the damage estimates presented in the Stern Review – An
Editorial, The Integrated Assessment Journal, 6 (2006), 65-72. Ad essi vanno
aggiunti: "Stern warning" e "It may be hot in Washington too", The Economist, 2
novembre 2006.
(3) In gergo questo saggio di sconto si chiama tasso sociale di preferenza
intertemporale.
(4) Uno dei più famosi è quello dello stesso Nordhaus, chiamato Dice o Rice, a
seconda delle versioni globale o multiregionale (http://nordhaus.econ.yale.edu/dicemodels.htm).
I ricercatori della Fondazione Mattei hanno sviluppato un sofisticato modello
per l’analisi delle politiche del clima, chiamato Witch (http://www.feem-web.it/witch/).
12-12-2006
Marzio Galeotti
Alessandro Lanza
Stern Review final report
The pre-publication edition of the Stern Review Report on the
Economics of Climate Change is available to be downloaded below
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