UNIVERSITA', SE IL CONCORSO DIVENTA UNA FARSA
Data: Mercoledì, 29 novembre 2006 ore 00:05:00 CET
Argomento: Comunicati


da Repubblica
Martedì, 28 Novembre 2006

Università, se il concorso diventa una farsa
Corrado Augias

G entile dott. Augias, desidero raccontarle una storia che, ahimè, non rappresenta di per sé una novità. Un esame per l'accesso al dottorato in «Sistemi sociali, organizzazione e analisi delle politiche pubbliche», presso le Facoltà di Sociologia dell'Università «La Sapienza» di Roma.

La prova scritta si è svolta il 6 novembre scorso. Per conoscere il voto telefono in Dipartimento il 7 novembre, giorno in cui sono state pubblicate sul sito del Dies i soli voti degli ammessi all'orale. La signorina al telefono mi comunica il mio voto: 45/60. Voto che non mi permette di accedere all'orale.

Giorni dopo vado in Dipartimento e faccio notare che, stando all'art. 9 del bando "E' ammesso al colloquio il candidato che abbia superato la prova scritta con una votazione non inferiore a 40/60". Apprendo poi (sempre per telefono, dalla stessa ragazza) che il mio punteggio, a distanza di una settimana, è cambiato: non è più 45/60, bensì 39/60. Da un giorno all'altro sono diventata la prima degli esclusi.

Ma come motivare la mancata pubblicazione delle graduatorie degli scritti? E' accettabile la comunicazione «informale» di un voto il 7 e di un altro il 15? E, ad oggi, con il mio 39/60, come posso trovare una motivazione logica e coscienziosa nel buco di 13 punti che mi separa (prima tra gli esclusi) dall'ultimo degli ammessi all'orale con 52/60?

Aspetto la graduatoria dello scritto (e quella definitiva dei vincitori, anche in soprannumero in base all'applicazione della norma), dove sarà evidente il vuoto, il buco e la commedia dell'esame di concorso cui ho partecipato e nel quale, in qualche modo, ho creduto.

D. L.


Ricevo molte lettere relative a concorsi universitari. Tutte di candidati esclusi ovviamente, i vincitori non scrivono, men che mai a un giornale. In genere si tratta di lamentele generiche sulla difficoltà della prova, sulle formalità o i disagi che l'hanno accompagnata. L'esperienza di D. L. sembra diversa e se tutte le circostanze riferite corrispondono ai fatti solleva ancora una volta le pesanti domande relative a un fenomeno noto e diffuso.

Quando si parla di università ci si limita in genere a reclamare più soldi per il suo funzionamento. La richiesta è sacrosanta, ma i soldi da soli non bastano a far ripartire un sistema sclerotizzato ancora governato per la gran parte da una piramide di caste alle quali si accede quasi sempre per cooptazione più che per merito.

Per non violare la legge che esige una graduatoria, si fanno i concorsi; ma per non rovinare il gioco delle reciproche influenze baronali si determina in anticipo l'esito di queste pseudo prove di selezione anche incrociando i rispettivi favori: io faccio passare questo, tu quello.

In Gran Bretagna, per limitare al massimo i favoritismi, gli elaborati d'esame di un'università vengono corretti e giudicati da un'altra università.

Tenendo giorni fa una 'lectio' proprio alla Sapienza, il governatore Mario Draghi invocava massicce dosi di competizione tra sedi e processi di formazione, unite a una forte autonomia organizzativa di ogni sede anche su obiettivi strategici.

Non sarà quella la panacea ma ancora una volta tornava ad affacciarsi il disperato bisogno di liberalizzare, sciogliere, aprire un Paese così chiuso, così vecchio.






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