LA MAGGIORANZA DEI DOCENTI ITALIANI SI E' ABILITATA CON I CONCORSI A CATTEDRA...
Data: Venerd́, 10 novembre 2006 ore 00:05:00 CET
Argomento: Opinioni


Egregio dott. Panebianco
 Sono un docente precario da ben quindici anni, fornito di varie abilitazioni all’insegnamento di cui alcune per concorso ed altre riservate ed anche specializzato (con corso SISS) nell’insegnamento per il sostegno.
 Le scrivo con riferimento agli articoli apparsi sul Corsera circa la sua scarsa informazione, in generale sulla Scuola italiana, ed in particolare sulle procedure abilitanti sostenute dai docenti che sono iscritti nelle graduatorie permanenti.
 La maggioranza, al contrario di quanto Lei sostiene, ha conseguito l’abilitazione a seguito della partecipazione a concorsi a cattedra. Non si tratta di semplici “non vincitori” ma di chi, avendo superato delle prove selettive finalizzate a quello che Lei ritiene necessario, ovvero all’effettivo accertamento del merito, ha conseguito l’abilitazione all’insegnamento.
 Tali procedure, che in talune discipline come la mia hanno comportato ben quattro prove selettive diverse (e quindi ben più impegnative del gioco a quiz per l’ammissione alle SISS), sono state superate sia nei concorsi del 90 sia in quelli del 2000, da solo un decimo dei partecipanti.
 Circa i tanto vituperati corsi abilitanti, le rammento che per parteciparvi era necessario aver accumulato una notevole esperienza nell’insegnamento e sono stati resi necessari per la mancanza di procedure concorsuali durata un decennio.
 Lei che ritiene sia meglio “stendere un velo pietoso sulla serietà dei corsi abilitanti” farebbe bene a stenderlo sulla serietà delle cosiddette Scuole di specializzazione all’insegnamento che hanno sfornato per sette annualità insegnanti talmente “bravi” da riuscire a conseguire tutti il titolo nel minor tempo possibile (alla faccia della selezione) e praticamente tutti con il massimo dei voti (alla faccia dell’effettivo accertamento del merito) con la conseguenza che, per evitare la palese disparità rispetto ad abilitazioni conseguite con altri canali, si è dovuto rivedere il criterio di attribuzione del relativo punteggio per titoli, riducendolo ad un terzo.
 Ritenere che un corso biennale, tenuto da docenti (o più spesso da assistenti selezionati con criteri che Lei conosce meglio di me) che per lo più non hanno mai messo piede in una scuola secondaria (ma che dispongono di “padrini” premurosi nel trovargli una “collocazione”) possa formare professori “bravi” o quantomeno migliori di chi, come gran parte del precariato, ha insegnato, anche per decenni, nelle realtà scolastiche più disparate, intervenendo talvolta ad anno scolastico già iniziato o in pieno svolgimento, spesso insegnando discipline diverse, è un’affermazione che può essere proferita solo da chi non conosce affatto la realtà della Scuola.
 Venga con qualcuno di noi precari, lasci per qualche tempo le sue comode poltrone sulle quali sicuramente è seduto per “effettivo accertamento del merito”, si renda conto di cosa vuol dire insegnare nella realtà della Scuola di oggi.
 Vedrà se valgono più le belle lezioni teoriche dei suoi colleghi o aver operato sul campo “facendosi le ossa”.
 L’insegnamento scolastico è ben diverso da quello cattedratico delle Università, è confrontarsi quotidianamente con le nuove realtà, con i nuovi modi di pensare e di essere dei giovani di oggi, è adeguarsi ai loro stili di apprendimento, è migliorare se stessi nelle modalità e nell’uso degli strumenti di insegnamento non semplicemente “acquisire un diritto per anzianità”.
 Venga con noi, poi potrà tornare, con cognizione di causa, a trastullarsi al gioco dei bravi e dei cattivi professori.
 Forse però Lei ha ragione! I Sissini sono davvero i più “bravi”, ed è per questo che sono premiati con votazioni generose e con la Sua alta considerazione, perché hanno il merito di aver lautamente contribuito a rimpinguare la casse degli Atenei (e soprattutto le tasche dei docenti) tant’è che ogni anno si scatena, tra le Università, la guerra per l’accaparramento dei corsi.
 Il precariato si è ingrossato in questi anni anche perché i corsi di specializzazione, che Lei tanto sostiene, sono stati istituiti per un numero di allievi sempre molto superiore (per il motivo di cui sopra) a quanto previsto dalla legge istitutiva che lo commisurava alle reali esigenze.
 Difendere la propria categoria professionale (quella dei docenti universitari che come è a tutti noto è molto peggio di una corporazione) o, per dirla in maniera più esplicita, difenderne la “pagnotta”, è cosa legittima se non altro per coerenza con il proprio cognome ma per lo meno cerchi di comportarsi da editorialista “bravo” e, per evitare di scrivere a vanvera, prima, parafrasando il grande Totò, “si informi”.







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