ADi Associazione Docenti Italiani- IL NUOVO CORSO DI VIALE TRASTEVERE
Data: Sabato, 16 settembre 2006 ore 17:29:34 CEST
Argomento: Associazioni


ADi Associazione Docenti Italiani

 

 

 

 

IL NUOVO CORSO DI VIALE TRASTEVERE

La presidente dell’ADI ne discute con N. Bottani e C. Marzuoli

 

“C'è qualcosa di nuovo oggi nel sole anzi d'antico”

 

Il nuovo corso e le tre priorità dell'ADi

 

 

A. Cenerini: La funzione dell'ADi è sempre stata quella di analizzare criticamente le politiche scolastiche dei vari governi, al di sopra e al di fuori di qualsiasi schieramento, e insieme di affiancare alle critiche proposte costruttive. Con questo stesso metodo, dunque, vorrei insieme esaminare il nuovo corso del ministro Fioroni.

 

Con il seminario internazionale del febbraio 2006, Tre nodi da sciogliere per la nuova legislatura, al quale voi avete fattivamente e generosamente collaborato, l'ADI ha indicato tre priorità:

 

1. la decentralizzazione dell'istruzione,

 

 

2. l'istruzione e formazione dai 14 ai 21 anni, con specifica attenzione all'istruzione tecnica e professionale,

 

3.   lo   stat giuridic de docent  dirigent scolastici co particolar riferiment a reclutamento e carriera docente.

 

Sono questioni intrecciate, che hanno segnato la storia della scuola italiana. E proprio dalla storia passata e dalla cronaca recente sappiamo quanto sia difficile sciogliere questi nodi.

 

Sappiamo anche, però, che si tratta di temi oggi presenti nell'agenda politica di quasi tutti i Paesi, e alcuni di essi, come la decentralizzazione, si presentano come processi irreversibili. Tutto questo richiederebbe, come voi avete tante volte sottolineato, la capacità e la volontà di gestire con tempestività e lungimiranza la fase di transizione.

 

Gli atti di indirizzo e i decreti firmati dal ministro sembrano invece ispirarsi a quel diffuso conservatorismo che aleggia sulla e nella scuola, e che è assolutamente trasversale, a destra, a sinistra e al centro. “Quaeta non movere, mota sedare pare la linea intrapresa dal nuovo ministro, instaurando quello che lui stesso ha definito il

“metodo del cacciavite”, con il quale ha, in verità, molto “svitato (sospensioni, disapplicazioni, proroghe), poco,

per ora, avvitato.

 

Rispetto alle tre priorità indicate dall'ADi, la situazione pare immobile , anzi a tratti regressiva. Di questo vorrei discutessimo insieme, cominciando dalla prima priorità insieme indicata: la “decentralizzazione”.

 

 

 

La decentralizzazione nel nuovo corso:

autonomia scolastica versus regioni

 

 

A. Cenerini: Nei documenti e negli atti finora prodotti dal ministero il ruolo delle Regioni, definito dal nuovo Titolo

V, è ignorato, anzi scongiurato. Ci sono costanti richiami all'unità del sistema che, in una situazione come quella italiana di perdurante centralismo statalistico, suonano come moniti contro la decentralizzazione. Ad esempio, la

Direttiva generale per l'anno 2006 recita ai primissimi punti”: a ssicurare (…) un sistema educativo unitario, di validità  nazionale,  senza  rischi  di  segmentazione  territoriale  che  produrrebbe  insostenibili  diseguaglianze  dei giovani e delle famiglie nell'accesso all'istruzione e nella qualità dei suoi processi e dei suoi risultati”. E' l'antico slogan contro la decentralizzazione, pur sapendo che il centralismo non ha sanato, ma mantenuto e accentuato, le differenze fra Nord e Sud (v. dati MPI su ritiri e abbandoni)

 

E ancora, si interviene sugli Istituti professionali, ignorando che il Titolo V assegna l”istruzione professionale (non solo la “formazione professionale”) alla legislazione esclusiva regionale. Non si coinvolgono le Regioni sul tema della valutazione, né su nessun' altra delle questioni trattate. Si rafforza il ruolo degli USR e dei CSA.

 

Ora, vorrei chiedere in primo luogo a Carlo Marzuoli se tutto questo sia compatibile con la Costituzione vigente.

 

C. Marzuoli: No. Le indicazioni del ministro sono concepite per un sistema “statale di gestione dell'istruzione. Con

il nuovo Titolo V , invece, statali sono alcune regole (le "norme generali sull'istruzione" i "livelli essenziali " e  "i principi fondamentali" ), ma queste non sono il servizio dell'istruzione.

 

Le  norme  sono  prescrizioni  di  carattere  generale,  sono  un  "prevedere".  Il  servizio  è  un  fare  in  concreto,  un

"provvedere": servizio vuol dire organizzare, erogare prestazioni, rilevare e soddisfare bisogni. Con il Titolo V la gestione del servizio e quindi del personale è quasi per intero regionale (e locale), ma questo richiede un quadro d'insieme che ora non c'è, e che non pare essere voluto.

 

A. Cenerini: nell'impostazione del ministro Fioroni c'è, a parole, un'esaltazione dell'autonomia scolastica che pare posta in contrapposizione alle nuove competenze regionali. Vorrei chiedere a Norberto Bottani, per la conoscenza comparata che ha dei diversi sistemi scolastici, se poteri regionali e autonomia delle scuole siano in contrasto o se invece debbano e possano coesistere.

 

N. Bottani: ci sono diverse configurazioni di decentralizzazione e autonomia scolastica a livello internazionale. In alcuni Paesi sono più accentuati i poteri delle Regioni e degli Enti Locali, in altri quelli delle scuole autonome, in altri ancora i due poteri sono in equilibrio. Rispetto al quadro internazionale l'Italia è un caso di ermafroditismo bizzarro:sulla carta massima decentralizzazione (v. Titolo V del 2001) e massima autonomia scolastica (v. DPR

275/1999), nella pratica e nella politica degli apparati minima decentralizzazione e minima autonomia delle scuole. Infatti, da un lato si promuove a parole e in modo demagogico l'autonomia degli istituti scolastici, perché non si stanziano  né  si  prevodono  i  mezzi  e  le  risorse  necessari  per  sostenerla,  dall'altro  si  pers iste nell'ignorare la questione della governabilità locale, territoriale, delle scuole.

 

Ora  d  eve  essere  chiaro  che  l'autonomia  va  sostenuta,  promossa,  monitorata,  e  che  in  Italia  un  impegno  del genere non può più essere assunto dall'amministrazione centrale e dai suoi apparati decentrati (USR e CSA da pochi  giorni  USP,  Uffici  Scolastici  Provinciali).  Una  delle  funzioni  vitali  degli  assessorati  regionali  potrebbe  e dovrebbe proprio essere il sostegno all'autonomia. Prendiamo la questione della “quota flessibile del curricolo. La norma che il ministro Fioroni ha ripreso dal decreto sul 2° ciclo prevede l'attribuzione alle istituzioni scolastiche del

20%  dei  piani  di  studio  “nell'ambito  degli  indirizzi  definiti  dalle  regioni”.  Ora  sarebbe  grave  che  le  Regioni

rinunciassero  a  questa  competenza.  Fino  ad  oggi  le  scuole  non  hanno  utilizzato  nemmeno  il  15%  di  cui dispongono dal 2000. E' più che mai urgente una politica che sostenga questa flessibilità e che solo le Regioni possono promuovere. Vorrei concludere dicendo che chi continua a contrapporre l'autonomia scolastica a quella regionale  e  degli  enti  locali,  in  realtà  ha  una  sola  finalità:  perpetuare  il  centralismo  statalistico,  bloccare l'innovazione e mantenere lo status quo.

 

C. Marzuoli:  In materia di “autonomia scolastica vale anche la pena ricordare sia la sentenza n. 13/2004 della Corte  costituzionale,  che  ha  ben  chiarito  che  l'autonomia  non  può  risolversi  nella  incondizionata  libertà  di autodeterminazione delle scuole, sia le dichiarazioni della Conferenz a Unificata delle Regioni che nel documento del  14  luglio  2005  hanno  sottolineato  che  per  “esprimere  compiutamente  la  sua  potenzialità  ed  il  suo  valore,

 

 

 

l'autonomia scolastica necessita del pieno esercizio da parte delle Regioni della funzione di governo territoriale del

sistema, articolato nelle diverse fasi di programmazione, di indirizzo, di coordinamento, di allocazione delle risorse,

di  valutazione,  a  garanzia  della  crescita  e  dello  sviluppo  di  una  rete  di  relazioni  sul  territorio  che  consentano l'affermarsi dell'autonomia in un sistema organico”.

 

A. Cenerini: Vorrei chiedere ad entrambi perché le Regioni non rivendicano con più forza i loro poteri.

 

C.   Marzuoli I   motiv son molteplic  son stat be evidenziat dall Indagine   prodotta  dall'ADi:  c'è impreparazione ad assumere questi compiti e, poi, vi è la questione del finanziamento. Finché non sarà risolto questo  problema  è  politicamente  più  “vantaggioso per  le  Regioni  porsi  insieme  alle  scuole  in  posizione rivendicativa  nei  confronti  dello  Stato  anziché  di  governo  del  sistema,  un  esempio  per  tutti:  la  questione  degli organici. Ma è un'impostazione priva di respiro istituzionale e dunque consentirà solo, al massimo, di rallentare il declino

 

N. Bottani:  Carlo ha toccato un nodo fondamentale: la gestione del personale. E' questa sicuramente una delle questioni più spinose in Italia. Come risulta dai dati internazionali, ampiamente convalidati da almeno una decina d'anni, l'Italia ha uno dei sistemi scolastici più “onnivori tra quelli dell'OCSE, nel senso che utilizza una grande quantità di personale senza che ciò si traduca né in buoni risultati scolastici, né in soddisfazione del personale,

in una diminuzione equamente distribuita del numero di alunni per classe, che in molti casi continua ad essere superiore a 25. La questione è pertanto di assoluta rilevanza, tenuto conto che la spesa per il personale assorbe oltre  il  95%  del  bilancio  del  Ministero  dell'istruzione a  danno  degli  investimenti,  mentre  le  retribuzioni  si mantengono  basse,  perché  “vaporizzate su  un  numero  larghissimo  di  addetti.  La  decentralizzazione  può rappresentare un modo per uscire da questo circolo vizioso, purché non si decentralizzi solo la capacità di spesa, mantenendo  centralizzato  il  finanziamento.  Non  si  può  cioè  rendere  le  amministrazioni  locali  politicamente responsabili dell'erogazione dei servizi, senza renderle anche fiscalmente responsabili.

 

Sono anche d'accordo con Carlo quando dice che non c'è convenienza per le Regioni ad essere attive nel campo dell'istruzione. In Italia le politiche educative non sono politicamente gratificanti, non portano voti. E' questa una questione  culturale  grave.  Se  l'impegno  a  rendere  l'istruzione  più  equa, cioè più giusta socialmente, portasse riconosciment   vot a dirigent politici avremm già   politich scolastich regional dinamiche visibili, pubblicizzate.  Nulla  di  tutto  ciò.  La  scuola  è  l'ultima  ruota  del  carro,  non  la  priorità  numero  uno  come  lo è in Inghilterra, in Francia, in Spagna, in Svezia.

 

 

 

 

Il segmento 14-21 anni nel nuovo corso

 

 

A. Cenerini:  E' noto che il solo segmento dell'istruzione che, da Gentile ai giorni nostri, non ha mai avuto una riforma   organic è   quell dell'istruzion secondari superiore d cu l'istruzion tecnic  professionale rappresenta la parte più rilevante.

 

E' su questo segmento che si intrecciano alcune questioni cruciali, dai nuovi poteri regionali all'obbligo scolastico fino all'istruzione terziaria non universitaria.

 

Il Ministro Fioroni pare voler confermare lo status quo, anche se per ora il dlgs 226/05 è solo prorogato.

 

Si ripropone, pur con molte ambiguità, l'obbligo scolastico ai 16 anni, si dichiara di valorizzare l'istruzione tecnica e professionale, m a semplicemente consolidando l'esistente (gli istituti professionali quinquennali nell'alveo statale e con sbocco all'università), mentre la formazione professionale mantiene, separata dall'istruzione professionale,il su caratter addestrativo Infin l'istruzione   tecnico-professional postsecondari ( terziari com è internazionalmente definita) non universitaria pare non andare oltre gli attuali IFTS. L'ADi criticò profondamente la

riforma  Moratti  del   ciclo, ma certo non per mantenere lo status quo. Vorrei allora chiedere in primo luogo a

Norberto Bottani che di questi problemi si è a lungo occupato e continua ad occuparsene a livello internazionale, cosa pensa in proposito.

 

N. Bottani:  innanzitutto una considerazione di carattere generale. Le politiche scolastiche in Italia non sono mai pilotate sulla base di dati, ma di principi general-generici che il più delle volte sono clamorosamente contraddetti dalla realtà. Non ci sono elaborazioni rigorose sulle transizioni orizzontali e verticali nei sistemi formativi e, ancor più importanti, sulla transizione al mondo del lavoro. Se non si collega il diritto allo studio al diritto al lavoro e non

si pilotano insieme queste due politiche, non si possono fare operazioni autenticamente democratiche. I dati per l'Italia sono assolutamente allarmanti, come ci indicano una serie di elaborazioni statistiche prodotte da ISTAT, ISFOL, da specifici lavori del ministero del lavoro e da enti privati . Ma di questo non ci si preoccupa. E si rimane attaccati al principio che un'istruzione democratica deve offrire percorsi scolastici uniformi il più a lungo possibile, impostati su una cultura di tipo liceale, considerata la sola cultura degna di questo nome, e tutti rigorosamente sfocianti nell'oceano universitario. Non importa se tutto questo produce una vera e propria ecatombe. I principi sono salvi.

 

A. Cenerini: Rientra in questa filosofia anche l'obbligo scolastico a 16 anni?

 

N. Bottani:  La faccenda dell'obbligo scolastico è in Italia un inciampo che condiziona pesantemente il dibattito politico con il richiamo a posizioni di principio di valore simbolico ma ormai prive di significato, superate come sono dalle scelte e dai comportamenti delle famiglie e dei giovani. Il fatto eclatante è che non ci si concentra su cosa sia importante  e  indispensabile  che  tutti  i  ragazzi  apprendano  e  su  come  riuscire  a  farlo  apprendere,  ma sull'istituzione che impartisce l'istruzione: gli istitut i scolastici e i centri di formazione professionale. Va detto allora con  grande  chiarezza  che  questo  conflitto  non  ha  nulla  a  che  vedere  con  questioni  educative,  pedagogiche  o formative, è solo una faccenda corporativa, di soldi, di interessi divergenti, di monopoli. Così come la perdurante gravissima assenza in Italia di un'alta formazione tecnico-professionale non universitaria è dovuta al monopolio accademico che ne ha ostacolato e impedito la diffusione. Fin quando non si chiarirà questo punto non si verrà mai a capo di contrasti puramente interpretativi e cavillosi.

 

C. Marzuoli: Vorrei aggiungere una considerazione sulla decisione assunta di mantenere gli istituti professionali in capo  allo  stato.  Su  questa  scelta  ha  pesato  senza  dubbio  la  resistenza  degli  insegnanti  al  passaggio  a  una gestione regionale, considerata marginalizzante rispetto a quella di tutti gli altri docenti. Si può allora affermare che finchè la gestione di tutti gli insegnanti non diventerà regionale, il dilemma dell'istruzione tecnica e professionale non verrà sciolto. La prospettiva si porrà allora solo in termini di mantenimento dello status quo o di licealizzazione anche degli istituti professionali come è avvenuto per gli istituti tecnici.

 

A.   Cenerini Una   considerazione pe concludere,  sull'alta  formazione  tecnico-professionale  terziaria  non universitaria.

 

N. Bottani:  E'  noto  che  il  Presidente  del  Consiglio,  Romano  Prodi,  è  stato  il  primo  in  Italia  a  parlarne  con cognizione  di  causa  fin  dall'inizio  degli  anni  Novanta  ,  e  l'ha  ripetuto  con  convinzione  in  questa  campagna elettorale.  A  Viale  Trastevere,  però,  si  continua  a  non  avere  percezione  dell'importanza  strategica  di  questo segmento alto dell'istruzione, che è presente da oltre trent'anni negli altri Paesi. Si continua a pensare che l'alta

 

 

formazione tecnico professionale terziaria non universitaria coincida con gli IFTS,e che sia sufficiente intervenire (

non si sa come) su questi corsi. Ma non è assolutamente così, gli IFTS sono un aborto, che nulla hanno a che fare con percorsi strutturati e stabili di alta specializzazione, collegati alla ricerca applicata.

 

 

 

Lo stato giuridico nel nuovo corso

 

 

A. Cenerini: su questa materia abbiamo la fortuna di discutere con un giurista, che di questo si è personalmente occupato. Mi rivolgo pertanto, in primo luogo, a Carlo Marzuoli.

 

L'ADi ha indicato fra le tre priorità di questa legislatura, il varo di un nuovo stato giuridico degli insegnanti. E' noto che il precedente governo non ha affrontato la questione per non scontrarsi con le Organizzazioni Sindacali, e il tema  è  stato  unicamente  oggetto  di  iniziativa  parlamentare  di  singoli  deputati  del  centrodestra  ,  mentre  il centrosinistra si è allineato, in posizione subalterna, ai sindacati. Ora negli atti del nuovo ministro non solo non c'è

il minimo cenno alla questione dello stato giuridico, ma addirittura sono state disapplicate con accordi sindacali norme di legge riguardanti i docenti. Che dire?

 

C. Marzuoli: Vale la pena andare subito al cuore del problema: legge o contratto? E' opport uno ancora una volta ricordare   l'art 9 dell Costituzione L norma d grand riliev da punt d vist dell democraticità dell'ordinamento costituzionale della Repubblica, vuole che le linee essenziali delle organizzazioni e delle attività pubbliche siano regolate con legge o sulla base della legge. La ragione è evidente:l'Amministrazione è volta a perseguire l'interesse della collettività, interesse che può essere in contrasto con le richieste dei suoi dipendenti, e dunque il potere pubblico deve poter operare, se indispensabile, anche in via unilaterale e autoritativa (come si fa,

ad esempio, nel caso dell'espropriazione per pubblica utilità). Occorre dunque liberarsi dell'idea che, nei rapporti con la P.A., la contrattazione collettiva sia necessariamente sinonimo di maggiore democraticità dell'ordinamento. Nel caso, poi, dell'istruzione e del personale docente, la specificità del servizio e la necessità di garantire la libertà d'insegnamento  esigono  che  lo  spazio  attribuito  alla  contrattazione  sia  rivisto e ridotto rispetto alla disciplina vigente e alle prassi che ne sono seguite. Soprattutto perché la contrattazione collettiva ha invaso spazi che non le competono, neppure ai sensi della legislazione vigente

 

A. Cenerini: In che rapporto si pone un nuovo stato giuridico con la legge di privatizzazione, in particolare con il d.lgs 165/2001?

 

C. Marzuoli: La legge di privatizzazione affida alla contrattazione collettiva la disciplina del rapporto di lavoro e i minori atti di organizzazione. Dunque la contrattazione collettiva dovrebbe rimanere in detto ambito. Così non è.

Ad esempio, la definizione della funzione docente non è materia di rapporto di lavoro ma di determinazione di quel compito  pubblico  che  (per  di  più)  caratterizza  la  pubblica  istruzione  (equivale a stabilire la competenza di un ufficio) e che è investito direttamente da aspetti di costituzionalità (la libertà d'insegnamento). Di funzione docente parla  infatti,  correttamente,  l'art.395  d.lgs  n.297/1994.  Ma  di  funzione  docente  parla  anche  l'art. 24 del CCNL

2002-2005 . Il che puo' determinare il seguente dilemma: nell'ipotesi di contrasto fra l'art. 395 e l'art. 24 chi vince e

chi perde?

 

A. Cenerini: Mi pare indubbio che secondo l'impostazione del ministro Fioroni vinca il contratto, visto che con un accordo sindacale ha disapplicato norme di legge quali la funzione del tutor, i contratti di prestazione d'opera non riconducibili a profilo docente, la mobilità legata ai periodi dei cicli .

 

C. Marzuoli:   E'  purtroppo  così,  secondo  le  prassi  prevalenti  .  Ma  tutto  questo  è  molto  preoccupante.  La disapplicazione della norma che limitava la mobilità annuale dei docenti e garantiva la continuità didattica almeno per i singoli periodi dei cicli è un esempio lampante di come la contrattazione possa andare contro l'interesse della collettività.  Una  vicenda  che  coinvolge  in  modo  centrale  il  diritto  all'istruzione  di  tutti  i  cittadini  (e  che  certo interessa  ancor  più  i  meno  abbienti)  è  stato  tratta  come  un  problema  aziendale,  nel  chiuso  di  un  rapporto  fra datore di lavoro (che    non  si  dimentichi    è  naturalmente  spinto  a  conquistare  il  consenso  politico  dei  suoi dipendenti, diversamente da ciò che accade nei rapporti di lavoro fra privati) e sindacati. In un simile contesto, è difficile immaginare che si pos sano avere esiti differenti. Ma un sistema giuridico che si presta a tutto ciò, a mio avviso, è costituzionalmente inaccettabile e ciò in nome del principio democratico e dei diritti dei cittadini.

 

A. Cenerini: Come è potuto accadere che una norma di legge sia disapplicata da un accordo sindacale?

 

 

 

 

 

C. Marzuoli:  E'  avvenuto  in  forza  di  una  disposizione  che  aggrava  il  quadro  che  ho  sopra  descritto.  Si  tratta

dell'art.2,c.  2,  d.lgs.  n.  165/2001,  che  consente  di  disapplicare  specifiche  disposizioni  legislative  in  base  a successivo accordo sindacale. E' ciò che ha fatto il ministro in carica: ha cancellato una serie di disposizioni con valore  e  forza  di  legge  semplicemente  mediante  accordo  con  soggetti  privati  (  il  sindacato),  senza  bisogno  di ricorrere ad alcuna procedura quantomeno altrettanto pubblica e trasparente e più immediatamente riconducibile alla sovranità popolare come quella che si esprime con la legge e con il decreto legislativo.

 

A. Cenerini: E allora che fare?

 

C. Marzuoli:  Se non si affronta questo problema è inutile parlare di condizione giuridica del personale docente come  problema  che  coinvolge  profili  indisponibili  ad  opera  di  chiunque  o  come  problema  che  coinvolge direttamente tutti i cittadini e non solo i rapporti fra Governo e Sindacati.

 

A. Cenerini: Intravedi possibili soluzioni al problema?

 

C. Marzuoli: Si può intraprendere una delle strade seguenti:

 

Soluzione radicale  - a) Si rovescia il sistema delineato dalla normativa vigente (v. art. 2 d.lgs. n.165/2001) e si determinano, con elenco tassativo, le materie affidate alla contrattazione; b) si prevede  che  comunque  le  disposizioni  adottate  con  legge  (legge  nazionale)  prevalgano  su eventuali contrastanti norme contrattuali, anche quando il contrasto sia implicito, salva diversa indicazione di legge.

 

Soluzione meno dirompente, ma più praticabile - a) non si toccano le linee del sistema quale

in generale risultante dal d.lgs. n. 165/2001, salvo la necessità di escludere l'operatività, almeno nel  settore  in  oggetto,  del  citato  art.  2,  c.2,  d.lgs .  n.  165/2001,  per  evitare  troppo  facili disapplicazioni ed una specie di delega in bianco; b) si interviene con legge sugli specifici aspetti che  interessano,  con  ciò  automaticamente  sottraendo  spazio,  pur  se  per  singoli  aspetti,  alla contrattazione collettiva.

 

 

 

 

LE PROPOSTE ADi

 

 

 

 

L'ADi e la decentralizzazione

 

A. Cenerini: cerchiamo ora di mettere sinteticamente in fila le proposte dell'ADi rispetto alle tre priorità indicate, proposte che voi avete in grandissima misura contribuito a elaborare. Ricominciamo dalla decentralizzazione.

 

N. Bottani:   Non  ci  sono  dubbi  sul  fatto  che  alcune  riforme  fondamentali,  come  quella  del  secondo  ciclo  e dell'istruzione terziaria non universitaria saranno possibili solo se si procederà ad una seria decentralizzazione del sistema istruzione.

 

A. Cenerini:   Abbiamo  visto  però  con  l Indagine  svolta  in  15  Region -un  campione  quindi  assolutamente significativo- che le Regioni non sono ancora preparate ad assumere questi compiti. Nella maggioranza dei casi non ci sono competenze adeguate, mancano elaborazioni, progetti, e non si percepisce nemmeno la volontà di assumere nuove pesanti responsabilità. Sembra tutto ancora sospeso.

 

C. Marzuoli:  In  parte questo  è  dovuto  al  fatto  che  il  Titolo  V  non  è  stato  attuato  e  che,  dopo  la  bocciatura referendaria della riforma costituzionale del centrodestra, è in corso- parrebbe- un lavoro volto ad “aggiustare la riforma costituzionale del 2001. E' anche vero, però, che sono trascorsi cinque anni dall'entrata in vigore del nuovo Titolo V, e che le norme in esso contenute erano state in parte già anticipate dalla legge 59/1997 e dal d.lgs. n.112/1998.  In  questa  situazione  le  Regioni  hanno  lo  spazio,  se  vogliono,  per cominciare ad attrezzarsi e ad esercitare le funzioni e le responsabilità che loro competono. Appare dunque singolare che sia stato possibile emanare, ieri, un atto come il D.P.R. n.319/2003, con cui si stabilizza la gestione centralistica dell'istruzione e si rafforzano i poteri degli Uffici Scolastici Regionali, e, oggi, un atto come la recentissima Direttiva sul ruolo e sui compiti degli Uffici Scolastici Provinciali”, firmata dal ministro Fioroni il 7 settembre 2006, con cui si sono di fatto riesumati i vecchi Provveditorati. Senza un'azione convinta delle Regioni volta a rivendicare i propri poteri e gli strumenti  per  realizzarli,  la  decentralizzazione  dell'istruzione  non  può  decollare.  L'autonomia  è  come  la  libertà: controvoglia non si è liberi, e nemmeno autonomi.

 

N. Bottani :  Sono  ovviamente  d'accordo  con  Carlo,  vorrei  aggiungere  che  credo  che  si  debba  tenere  vivo  il dibattito  su  questo  tema,  che  in  Italia  è  assolutamente  asfittico.  A  questo  fine  penso  che  l'  Indagine  prodotta dall'ADi sia molto importante e vada valorizzata. Ma non ci si deve fermare a quanto è già stato fatto. L' indagine è stata chiamata Quick Survey, perché non è stata concepita come indagine scientifica vera e propria, pur essendo assolutamente attendibile. Si è trattato di una sorta di sondaggio, che aveva il duplice obiettivo di verificare la pertinenza dei temi affrontati e degli snodi evidenziati e di raccogliere un paniere accettabile d'informazioni per capire come le regioni si stessero muovendo in questo campo, senza la pretesa né di confrontarle tra loro né di produrre  un  quadro  esaustivo  dell'evoluzione  in  corso.  Si  tratta  ora,  come  ho  sempre  detto,  di  reimpostare  le domande, alla luce delle informazioni e osservazioni raccolte, e di procedere in modo scientifico ad una vera e propria  indagine  in  tutte  le  Regioni.  Questo  è  un  compito  importante  che  l'ADi  può  assumersi  per  favorire  e sostenere il processo di decentralizzazione.

 

 

A. Cenerini:  E' un lavoro che richiede tempo e molte energie, ma credo che siamo nelle condizioni di farlo. Ci daremo tempi e strumenti per realizzarlo.

 

 

 

L'ADi e l'istruzione dai 14 ai 21 anni

 

 

A.Cenerini: Le elaborazioni dell'ADi sul secondo ciclo sono numerose. Abbiamo prodotto documentate analisi del decreto  226/05  seguendolo  nelle  sue  varie  fasi  di  realizzazione,  abbiamo  fatto  specifici  convegni  e  anche esaminato in modo approfondito le riforme e le tendenze in atto nei principali Paesi europei (Inghilterra; Francia; Spagna )  Nell'ultimo  convegno  internazionale  dell'ADi  hai  avuto  tu,  Norberto,  il  compito  di  esporre  le  tesi

dell'associazione, quindi a te la parola.

 

N. Bottani:  Voglio  in  premessa  dire  che  mi  auguro  che  le  indicazioni  del  ministro,  che  tu  illustravi  all'inizio, vengano  in  qualche  modo  messe  in  discussione  dalle  Regioni.  Nessuno  si  nasconde  che  i secondo  ciclo

 

 

costituisce  uno  dei  terreni  più  scivolosi  sui  quali  opera  la  politica  dell'istruzione,  e  che  qualsiasi  intervento  è

destinato  a  suscitare  polemiche  e  reazioni.  Ma  il  ritardo  culturale,  tecnologico,  organizzativo  e  pedagogico dell'Italia in questo campo è tale da non consentire più rinvii e immobilismi.

 

A. Cenerini: Non c'è dubbio che sia così. Ti chiedo allora di fornire alcune schematiche indicazioni.

 

N. Bottani: La questione dirimente è la  centralità dell'istruzione tecnica e professionale, un obiettivo che è al primo posto nell'agenda dei governi dei principali Paesi europei, e che in Italia può attuarsi solo ad alcune condizioni, e cioè:

 

   •  decentralizzazione della gestione di tutta la scuola alle regioni;

   •  superamento delle scissioni tra formazione professionale, istruzione professionale e istruzione tecnica;

   •  permeabilità tra formazione/istruzione tecnica- professionale e liceale;

   •   costruzione  dei  curricoli  di  tutto  il  2°  ciclo  (licei  e  istruzione/formazione  tecnico-professionale) su un

“nucleo di competenze essenziali comuni  fino ai 16 anni, che deve coprire almeno il 50% del curricolo

(a.lettura,   scrittura comunicazion funzionale b.matematic funzionale c.TI funzionali d lingua

straniera, e.competenze trasversali); e su  apprendimenti di indirizzo,  che sono le discipline e gli ambiti specialistici- riferiti sia alla cultura accademica che professionale- che differenziano i vari indirizzi liceali o i vari  percorsi  tecnico-professionali  e  che  devono  rappresentare  circa  i  2/3  delle  qualifiche  triennali,  dei diplomi quadriennali e quinquennali;

   •   creazione di un nuovo apprendistato, mai decollato in Italia, che renda accessibili qualifiche e diplomi attraverso la formazione duale ( una reale alternanza scuola-lavoro),

   •   La  creazione  ex  novo  d istituti  postsecondari  non  universitari  di  alta  specializzazione  tecnico- professionale,  triennali,  che  costituiscono  un  punto  davvero  strategico  nel  panorama  italiano,  insieme all'avvio di un “nuovo apprendistato.

 

A. Cenerini: Tutto questo senza toccare, almeno per ora, e come ha già dichiarato il ministro Fioroni, i cicli definiti dalla legge delega 53/03. Rimane sempre il problema della conclusione dell'istruzione secondaria di 2° grado alla maggiore età (18 anni), come in tutti i Paesi europei.

 

N. Bottani: Certo, ma non è il problema chiave oggi. Sarebbe sufficiente per il momento utilizzare il 5 ° anno come l'ADi ha indicato nella sua proposta sull' esame di stato

 

A. Cenerini: Per concludere la questione dell'obbligo scolastico a 16 anni, di cui abbiamo in parte già detto.

 

N. Bottani:  Non posso che ripetere che l' obbligo  “scolastico" ai 16 anni costituisce oggi un arretramento: è già avviato per tutti il diritto-dovere all'istruzione e alla formazione per almeno dodici anni o sino al conseguimento di una qualifica entro il diciottesimo anno. Occorre ragionare sui contenuti e non sugli interessi delle “corporazioni .

 

 

 

 Associazione Docenti Italiani

 

 

 

L'ADI e un nuovo stato giuridico

 

 

A. Cenerini: Siamo arrivati alla terza e ultima priorità: lo stato giuridico del personale docente e dirigente. L'ADi ha posto  per  prima  nella  scorsa  legislatura  questo  tema,  ne  ha  fatto  oggetto  di  convegni,  di  elaborazioni  e  di proposte.  Fin  dal  2002  l'associazione  ha  potuto  usufruire  della  guida  generosa  di  Carlo  Marzuoli,  che  ha consentito un approfondimento e una trattazione sempre più puntuale e argomentata del tema. Nessuno meglio di

te, Carlo, può quindi indicare alcuni dei punti salienti di uno stato giuridico innovativo e adeguato al nuovo assetto

costituzionale del sistema d'istruzione. Sul tema dirimente legge e contratto abbiamo già detto. Un altro fra i punti più controversi attiene al “datore di lavoro”. Possiamo cercare di fare chiarezza su questo punto?

 

C. Marzuoli: Il modello più coerente con il carattere non più statale dell'istruzione e con i principi di imparzialità e

di  buon  andamento  induce  ad  un  mutamento  del  soggetto  datore  di  lavoro  che  non  può  più  essere  lo  Stato.

L'alternativa che merita maggiore attenzione è quella fra Regioni ed Istituti scolastici. Per poter scegliere, occorre innanzitutto chiarire che cosa si deve intendere per datore di lavoro. Si intende essenzialmente:

 

 

   •  il soggetto titolare di un potere di intervento normativo, nei limiti consentiti dalla normazione nazionale e con salvezza degli ambiti rimessi alla contrattazione collettiva;

   •   il  soggetto  che  partecipa  a  quell'organismo  che  sarà  chiamato  a  dare  direttive  per la contrattazione all'ARA  ch partecip quind all determinazione innanzitutto dell risors d destinar alla contrattazione a livello nazionale.

 

Il  datore  di  lavoro  non  coincide  invece,  necessariamente,  con  l'organismo  presso  il  quale  si  presta l'attività e dunque  con  l'organismo  da  cui  si  dipende  per  i  profili  funzionali  (concernenti  lo  svolgimento  dell'attività),  che rimane l'istituto scolastico.

 

Con   quest precisazion l scelt più   plausibil cad sull Regioni no sull'Istitut scolastico che   si trasformerebbe in una ”statalità mascherata”.

 

A. Cenerini: In questa ipotesi quale ruolo potrebbe rivestire l'istituto scolastico nel reclutamento?

 

C. Marzuoli:  Il problema si pone in termini non molto dissimili per il reclutamento e per i trasferimenti. Parlerei pertanto  in  generale  di  modalità  di  attribuzione  dei  posti.  Occorre  certamente  considerare  il  particolare  valore dell'autonomia dell'Istituto, che bisogna però subito contemperare con l'esigenza di evitare rischi (non secondari, data la no vità) di troppo radicale “personalizzazione degli Istituti. Per questo io porrei una distinzione puramente quantitativa (in ipotesi 50%) a cui agganciare la diversità del soggetto responsabile dell'attribuzione dei posti.

 

A. Cenerini:   Quindi  la  responsabilità  della  copertura  dei  posti  vacanti  (sia  per  immissione  in  ruolo  sia  per trasferimento)  sarebbe  in  parte  attribuita  all'Istituto  scolastico  e  in  parte  alla  Regione.  Stabilito  questo  e  la percentuale  di  posti  su  cui  i  due  diversi  soggetti  hanno  facoltà  di  intervenire,  si  tratta  di  definire  con  quali procedure.

 

C. Marzuoli:  Stabilito,  ovviamente,  che  possono  concorrere  solo  i  docenti  in  possesso  dei  requisiti  di  legge

(specifica abilitazione), si tratta di scegliere la procedura concorsuale da utilizzare da parte della Regione e da

parte  dell'Istituto  scolastico.  Per  quanto  concerne  la  Regione  si  tratta  di  un  concorso:  per  i  trasferimenti sicuramente in base a titoli, sottoposti a valutazioni non discrezionali, per quanto riguarda l'immissione in ruolo si tratta invece di ragionare in maniera complessiva su “formazione e reclutamento”. Per quanto concerne l'Istituto scolastico, la procedura concorsuale non dovrebbe essere dissimile per le due operazioni: immissione in ruolo e trasferimento. Ritengo che si potrebbe utilizzare quella che all'Università viene definita “valutazione comparativa”.

La valutazione comparativa potrebbe essere così caratterizzata:

 

   •  titoli di merito e colloquio,

   •  requisiti di specie indicati dall'Istituto,

   •   commissione di valutazione mista che si potrebbe ipotizzare costituita da (almeno) il Dirigente o suo delegato  e  due  docenti  di  pari  livello  e  in  prospettiva  appartenenti  alla  fascia  dei  docenti  “esperti (un termine che qui vuole semplicemente indicare la diversificazione della carriera e delle tipologie di docenti),

di cui uno appartenente all'Istituto ed uno esterno

   •  competenza per la parte procedurale burocratica alla Regione

 

 

 

A. Cenerini: Hai toccato un altro dei punti nevralgici, irrisolto da decenni, che è quello della carriera docente. Su

questo  punto  si  scontrano  da  sempre  due  linee.  La  prima  ritiene  che  vada  per  così  dire  “premiato il  merito all'interno dell'”unicità della funzione. Per intenderci quella che normalmente viene definita “merit pay”. Si dà cioè

un  premio  alla  “produttività”,  che  nel  nostro  caso  sarebbe  la  qualità  dell'insegnamento,  la  didattica  ecc.  Un

aggiornamento, in breve, dell'antico “merito distinto”. L'altra linea, ed è quella che ha sempre sostenuto l'ADi, si richiama alla individuazione di  nuove  figure  professionali  del  personale  docente previste,  ma  mai  realizzate, dalla legge 59/97, art. 21, c. 16.

 

C. Marzuoli:  Teoricamente le due proposte possono convivere, ma non vi è dubbio che attualmente l'esigenza irrinunciabile è la determinazione di uno sviluppo di carriera che abbia il carattere della stabilità, che comporti diritti

e responsabilità ulteriori, senza che questo implichi necessariamente distacco dall'insegnamento, e che preveda

una retribuzione di base maggiore. In questo senso è necessario definire una fascia differenziata, quella che ho definito dei “docenti esperti”. Vanno poi determinate le percentuali di posti da assegnare e le modalità di accesso.

 

A. Cenerini: Sulle modalità di accesso che ipotesi si possono fare?

 

C. Marzuoli: Propenderei per l'utilizzo della “valutazione comparativa”, ma si può approfondire, ovviamente.

 

A. Cenerini:  Credo che abbiamo toccato le questioni nodali, prossimamente una definizione puntuale dell'intero stato giuridico!

 

Un  grazie  caloroso  a  entrambi  per  questo  ulteriore  contributo  che  ci  avete  offerto,  insieme  alla  speranza  e all'augurio che il dibattito sulle priorità che insieme abbiamo individuato possa diffondersi e arricchirsi.

 

 

 

 







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