ADi Associazione Docenti Italiani
IL NUOVO CORSO DI VIALE TRASTEVERE
La
presidente dell’ADI
ne
discute
con
N.
Bottani
e
C.
Marzuoli
“C'è
qualcosa
di nuovo
oggi
nel
sole
anzi
d'antico”
Il
nuovo
corso
e
le
tre
priorità
dell'ADi
A.
Cenerini: La
funzione
dell'ADi
è
sempre
stata
quella
di
analizzare
criticamente
le
politiche
scolastiche
dei
vari governi,
al
di
sopra
e
al
di
fuori
di
qualsiasi
schieramento,
e
insieme
di
affiancare
alle
critiche
proposte
costruttive.
Con
questo
stesso
metodo,
dunque,
vorrei
insieme
esaminare
il
nuovo
corso
del
ministro
Fioroni.
Con
il
seminario
internazionale
del
febbraio
2006,
Tre nodi da sciogliere per la
nuova legislatura,
al
quale
voi
avete
fattivamente e
generosamente
collaborato,
l'ADI
ha
indicato
tre
priorità:
1.
la
decentralizzazione
dell'istruzione,
2.
l'istruzione
e
formazione
dai
14
ai
21
anni,
con
specifica
attenzione
all'istruzione
tecnica
e
professionale,
3.
lo
stato
giuridico
dei
docenti
e
dirigenti
scolastici,
con
particolare
riferimento
a
reclutamento
e
carriera
docente.
Sono
questioni
intrecciate,
che
hanno
segnato
la
storia
della
scuola
italiana. E
proprio
dalla
storia
passata e
dalla cronaca
recente
sappiamo
quanto
sia
difficile
sciogliere
questi
nodi.
Sappiamo
anche,
però,
che
si
tratta
di
temi
oggi
presenti
nell'agenda
politica
di
quasi
tutti i
Paesi, e
alcuni
di
essi, come
la
decentralizzazione,
si
presentano
come
processi
irreversibili.
Tutto
questo
richiederebbe,
come
voi
avete
tante
volte sottolineato,
la
capacità
e
la
volontà
di
gestire
con
tempestività
e
lungimiranza
la
fase
di
transizione.
Gli
atti
di
indirizzo e i
decreti
firmati
dal
ministro
sembrano
invece
ispirarsi a
quel
diffuso
conservatorismo
che
aleggia
sulla
e
nella
scuola,
e
che
è
assolutamente
trasversale,
a
destra,
a
sinistra
e
al
centro.
“Quaeta
non movere,
mota
sedare
”
pare
la
linea
intrapresa
dal
nuovo
ministro,
instaurando
quello
che
lui
stesso
ha
definito
il
“metodo
del
cacciavite”,
con
il
quale
ha,
in
verità,
molto
“svitato”
(sospensioni,
disapplicazioni,
proroghe),
poco,
per
ora,
avvitato.
Rispetto
alle
tre
priorità
indicate
dall'ADi,
la
situazione
pare
immobile ,
anzi
a
tratti
regressiva.
Di
questo
vorrei discutessimo
insieme,
cominciando
dalla
prima
priorità
insieme
indicata:
la
“decentralizzazione”.
La
decentralizzazione
nel
nuovo
corso:
autonomia
scolastica
versus
regioni
A.
Cenerini: Nei
documenti e
negli
atti
finora
prodotti
dal
ministero
il
ruolo
delle
Regioni,
definito
dal
nuovo
Titolo
V, è
ignorato, anzi
scongiurato.
Ci
sono
costanti
richiami
all'unità
del
sistema
che,
in
una
situazione
come
quella
italiana
di
perdurante
centralismo
statalistico,
suonano
come
moniti
contro
la
decentralizzazione.
Ad
esempio, la
Direttiva
generale
per
l'anno
2006
recita
ai
primissimi
punti”:
“a
ssicurare
(…)
un
sistema
educativo
unitario,
di validità
nazionale,
senza
rischi
di
segmentazione
territoriale
che
produrrebbe
insostenibili
diseguaglianze
dei
giovani
e
delle
famiglie
nell'accesso
all'istruzione
e
nella
qualità
dei
suoi
processi
e
dei
suoi
risultati”.
E' l'antico
slogan
contro
la
decentralizzazione,
pur
sapendo
che
il
centralismo
non
ha
sanato,
ma
mantenuto e
accentuato,
le differenze
fra
Nord
e
Sud
(v.
dati
MPI
su
ritiri
e
abbandoni)
E
ancora,
si
interviene
sugli
Istituti
professionali,
ignorando
che
il
Titolo
V
assegna
l”istruzione
professionale”
(non solo
la
“formazione
professionale”)
alla
legislazione
esclusiva
regionale.
Non
si
coinvolgono
le
Regioni
sul
tema
della
valutazione,
né
su
nessun'
altra
delle
questioni
trattate.
Si
rafforza
il
ruolo
degli
USR e
dei
CSA.
Ora,
vorrei
chiedere
in
primo
luogo a
Carlo
Marzuoli
se
tutto
questo
sia
compatibile
con
la
Costituzione
vigente.
C.
Marzuoli:
No.
Le
indicazioni
del
ministro sono
concepite
per
un
sistema
“statale”
di
gestione
dell'istruzione.
Con
il
nuovo
Titolo
V ,
invece,
statali
sono
alcune
regole
(le
"norme
generali
sull'istruzione" i
"livelli
essenziali
" e
"i
principi
fondamentali"
),
ma
queste
non
sono
il
servizio
dell'istruzione.
Le
norme
sono
prescrizioni
di
carattere
generale,
sono
un
"prevedere".
Il
servizio
è
un
fare
in
concreto,
un
"provvedere":
servizio
vuol
dire
organizzare,
erogare
prestazioni,
rilevare
e
soddisfare
bisogni.
Con
il
Titolo V
la gestione
del
servizio e
quindi
del
personale
è
quasi
per
intero
regionale
(e
locale),
ma
questo
richiede
un
quadro
d'insieme
che
ora
non
c'è,
e
che
non
pare
essere
voluto.
A. Cenerini:
nell'impostazione
del
ministro
Fioroni
c'è,
a
parole,
un'esaltazione
dell'autonomia
scolastica
che
pare
posta
in
contrapposizione
alle
nuove
competenze
regionali.
Vorrei
chiedere
a
Norberto
Bottani,
per
la
conoscenza
comparata
che
ha
dei
diversi
sistemi
scolastici,
se
poteri
regionali e
autonomia
delle
scuole
siano
in
contrasto o
se
invece
debbano e
possano coesistere.
N. Bottani:
ci
sono
diverse
configurazioni
di
decentralizzazione e
autonomia
scolastica
a
livello
internazionale.
In
alcuni
Paesi
sono
più
accentuati i
poteri
delle
Regioni
e
degli
Enti
Locali,
in
altri
quelli
delle
scuole
autonome,
in
altri
ancora
i
due
poteri
sono
in
equilibrio.
Rispetto
al
quadro
internazionale
l'Italia
è
un
caso
di
ermafroditismo bizzarro:sulla carta
massima
decentralizzazione
(v.
Titolo
V
del
2001)
e
massima
autonomia
scolastica
(v.
DPR
275/1999),
nella
pratica e
nella
politica
degli
apparati
minima
decentralizzazione e
minima autonomia delle scuole.
Infatti,
da
un
lato
si
promuove a
parole
e
in
modo
demagogico
l'autonomia
degli
istituti
scolastici,
perché
non
si
stanziano
né
si
prevodono
i
mezzi
e
le
risorse
necessari
per
sostenerla,
dall'altro
si
pers
iste
nell'ignorare
la questione
della
governabilità
locale,
territoriale,
delle
scuole.
Ora
d
eve
essere
chiaro
che
l'autonomia
va
sostenuta,
promossa,
monitorata,
e
che
in
Italia
un
impegno
del
genere
non
può
più
essere
assunto
dall'amministrazione
centrale
e
dai
suoi
apparati
decentrati
(USR
e
CSA
da
pochi
giorni
USP,
Uffici
Scolastici
Provinciali).
Una
delle
funzioni
vitali
degli
assessorati
regionali
potrebbe
e
dovrebbe
proprio
essere
il
sostegno
all'autonomia.
Prendiamo
la
questione
della
“quota”
flessibile
del
curricolo.
La norma
che
il
ministro
Fioroni
ha
ripreso
dal
decreto
sul
2°
ciclo
prevede
l'attribuzione
alle
istituzioni
scolastiche
del
20%
dei
piani
di
studio “nell'ambito
degli
indirizzi
definiti
dalle
regioni”.
Ora
sarebbe
grave
che
le
Regioni
rinunciassero
a questa
competenza.
Fino
ad
oggi
le
scuole
non
hanno
utilizzato
nemmeno
il
15%
di
cui
dispongono
dal
2000.
E'
più
che
mai
urgente
una
politica
che
sostenga
questa
flessibilità
e
che
solo
le
Regioni
possono
promuovere.
Vorrei
concludere
dicendo
che
chi
continua
a
contrapporre
l'autonomia
scolastica
a
quella regionale
e degli
enti
locali,
in
realtà
ha
una
sola
finalità:
perpetuare
il
centralismo
statalistico,
bloccare
l'innovazione
e
mantenere
lo
status
quo.
C.
Marzuoli:
In
materia
di
“autonomia
scolastica”
vale
anche
la
pena
ricordare
sia
la
sentenza n.
13/2004
della
Corte
costituzionale,
che
ha
ben
chiarito
che
l'autonomia
non
può
risolversi
nella
incondizionata
libertà
di
autodeterminazione
delle
scuole,
sia
le
dichiarazioni
della
Conferenz
a
Unificata
delle
Regioni
che
nel
documento del
14
luglio
2005
hanno
sottolineato
che
per
“esprimere
compiutamente
la
sua
potenzialità
ed
il
suo
valore,
l'autonomia
scolastica
necessita
del
pieno
esercizio
da
parte
delle
Regioni
della
funzione
di
governo
territoriale
del
sistema,
articolato
nelle
diverse fasi
di
programmazione,
di
indirizzo,
di
coordinamento,
di
allocazione
delle
risorse,
di
valutazione,
a
garanzia
della
crescita
e
dello
sviluppo
di
una
rete
di
relazioni
sul
territorio
che
consentano
l'affermarsi
dell'autonomia
in
un
sistema
organico”.
A.
Cenerini:
Vorrei
chiedere
ad
entrambi
perché
le
Regioni
non
rivendicano
con
più
forza
i
loro
poteri.
C.
Marzuoli:
I
motivi
sono
molteplici
e
sono
stati
ben
evidenziati
dall'
Indagine
prodotta
dall'ADi:
c'è
impreparazione
ad
assumere
questi
compiti
e,
poi,
vi
è
la
questione
del
finanziamento.
Finché
non
sarà
risolto questo
problema
è
politicamente
più
“vantaggioso”
per
le
Regioni
porsi
insieme
alle
scuole
in
posizione
rivendicativa
nei
confronti
dello
Stato
anziché
di
governo
del
sistema,
un
esempio
per
tutti:
la
questione
degli
organici.
Ma
è
un'impostazione
priva
di
respiro
istituzionale
e
dunque
consentirà
solo,
al
massimo,
di
rallentare
il declino
N.
Bottani:
Carlo
ha
toccato
un
nodo
fondamentale:
la
gestione
del
personale.
E'
questa
sicuramente
una
delle
questioni
più
spinose
in
Italia.
Come
risulta
dai
dati
internazionali,
ampiamente
convalidati
da
almeno
una
decina
d'anni,
l'Italia
ha
uno
dei
sistemi
scolastici
più
“onnivori”
tra
quelli
dell'OCSE,
nel
senso
che
utilizza
una
grande quantità
di
personale
senza
che
ciò
si
traduca
né
in
buoni
risultati
scolastici,
né
in
soddisfazione
del
personale,
né
in
una
diminuzione
equamente
distribuita
del
numero
di
alunni
per
classe,
che
in
molti
casi
continua
ad
essere superiore
a
25.
La
questione è
pertanto di
assoluta rilevanza,
tenuto
conto
che
la
spesa
per
il
personale
assorbe
oltre
il
95%
del
bilancio
del
Ministero
dell'istruzione,
a
danno
degli
investimenti,
mentre
le
retribuzioni
si
mantengono basse,
perché
“vaporizzate”
su
un
numero
larghissimo
di
addetti.
La
decentralizzazione
può
rappresentare
un
modo
per
uscire
da
questo
circolo
vizioso,
purché
non
si
decentralizzi
solo
la
capacità
di
spesa,
mantenendo
centralizzato
il
finanziamento.
Non
si
può
cioè
rendere
le
amministrazioni
locali
politicamente
responsabili
dell'erogazione
dei
servizi,
senza
renderle
anche
fiscalmente
responsabili.
Sono
anche
d'accordo
con
Carlo
quando
dice
che
non
c'è
convenienza
per
le
Regioni
ad
essere
attive
nel
campo dell'istruzione.
In
Italia
le
politiche
educative
non
sono
politicamente
gratificanti,
non
portano
voti.
E'
questa
una questione
culturale
grave.
Se
l'impegno
a
rendere
l'istruzione
più
equa,
cioè
più
giusta
socialmente,
portasse riconoscimenti
e
voti
ai
dirigenti
politici,
avremmo
già
politiche
scolastiche
regionali
dinamiche,
visibili,
pubblicizzate.
Nulla
di
tutto
ciò.
La
scuola
è
l'ultima
ruota
del
carro,
non
la
priorità
numero
uno
come
lo
è
in
Inghilterra,
in
Francia,
in
Spagna,
in
Svezia.
Il
segmento
14-21
anni
nel
nuovo
corso
A.
Cenerini:
E'
noto
che
il
solo
segmento
dell'istruzione
che,
da
Gentile
ai
giorni
nostri,
non
ha
mai
avuto
una riforma
organica
è
quello
dell'istruzione
secondaria
superiore,
di
cui
l'istruzione
tecnica
e
professionale
rappresenta
la
parte
più
rilevante.
E'
su
questo
segmento
che
si
intrecciano
alcune
questioni
cruciali,
dai
nuovi
poteri
regionali
all'obbligo
scolastico
fino
all'istruzione
terziaria
non
universitaria.
Il
Ministro
Fioroni
pare
voler
confermare
lo
status
quo,
anche
se
per
ora
il
dlgs
226/05
è
solo
prorogato.
Si ripropone, pur con molte ambiguità,
l'obbligo
scolastico
ai
16
anni,
si
dichiara
di
valorizzare
l'istruzione
tecnica
e
professionale,
m a
semplicemente
consolidando
l'esistente
(gli
istituti
professionali
quinquennali
nell'alveo
statale
e con
sbocco
all'università),
mentre
la
formazione
professionale
mantiene,
separata
dall'istruzione
professionale,il
suo
carattere
addestrativo.
Infine
l'istruzione
tecnico-professionale
postsecondaria
(o
terziaria
come
è
internazionalmente
definita)
non
universitaria
pare
non
andare
oltre
gli
attuali
IFTS.
L'ADi
criticò
profondamente
la
riforma
Moratti
del
2°
ciclo,
ma
certo
non
per
mantenere
lo
status
quo.
Vorrei
allora
chiedere
in
primo
luogo
a
Norberto
Bottani
che
di
questi
problemi
si
è
a
lungo
occupato e
continua
ad
occuparsene a
livello
internazionale, cosa
pensa
in
proposito.
N.
Bottani:
innanzitutto
una
considerazione
di
carattere
generale.
Le
politiche
scolastiche
in
Italia
non
sono
mai pilotate
sulla
base
di
dati,
ma
di
principi
general-generici
che
il
più
delle
volte
sono
clamorosamente
contraddetti
dalla
realtà.
Non
ci
sono
elaborazioni
rigorose
sulle
transizioni
orizzontali e
verticali
nei
sistemi formativi
e,
ancor più
importanti,
sulla
transizione
al
mondo
del
lavoro.
Se
non
si
collega
il
diritto
allo
studio
al
diritto
al
lavoro
e
non
si
pilotano
insieme
queste
due
politiche,
non
si
possono fare
operazioni
autenticamente
democratiche. I
dati
per
l'Italia
sono
assolutamente
allarmanti,
come
ci
indicano
una
serie
di
elaborazioni
statistiche
prodotte
da
ISTAT, ISFOL,
da
specifici
lavori
del
ministero
del
lavoro
e
da
enti
privati .
Ma
di
questo
non
ci
si
preoccupa. E
si
rimane
attaccati
al
principio
che
un'istruzione
democratica
deve
offrire
percorsi
scolastici
uniformi
il
più
a
lungo
possibile,
impostati
su
una
cultura
di
tipo
liceale,
considerata
la
sola
“cultura”
degna
di
questo
nome,
e
tutti
rigorosamente
sfocianti
nell'oceano
universitario.
Non
importa
se
tutto
questo
produce
una
vera
e
propria
ecatombe. I
principi
sono
salvi.
A.
Cenerini:
Rientra
in
questa
filosofia
anche
l'obbligo
scolastico
a
16
anni?
N. Bottani:
La
faccenda
dell'obbligo
scolastico è
in
Italia
un
inciampo che
condiziona
pesantemente
il
dibattito
politico
con
il
richiamo a
posizioni
di
principio
di
valore
simbolico
ma
ormai
prive
di
significato,
superate
come
sono
dalle
scelte e
dai
comportamenti
delle
famiglie e
dei
giovani.
Il
fatto
eclatante è
che
non
ci
si
concentra
su
cosa
sia
importante
e
indispensabile
che
tutti
i
ragazzi
apprendano
e
su
come
riuscire
a
farlo
apprendere,
ma
sull'istituzione
che
impartisce
l'istruzione:
gli
istitut
i
scolastici
e i
centri
di
formazione
professionale.
Va
detto
allora
con
grande
chiarezza
che
questo
conflitto
non
ha
nulla
a
che
vedere
con
questioni
educative,
pedagogiche
o
formative,
è
solo
una
faccenda
corporativa,
di
soldi,
di
interessi
divergenti,
di
monopoli.
Così
come
la
perdurante gravissima
assenza
in
Italia
di
un'alta
formazione
tecnico-professionale
non
universitaria
è
dovuta
al
monopolio
accademico
che
ne
ha
ostacolato
e
impedito
la
diffusione.
Fin
quando
non
si
chiarirà
questo
punto
non
si
verrà
mai
a
capo
di
contrasti
puramente
interpretativi
e
cavillosi.
C.
Marzuoli:
Vorrei
aggiungere
una
considerazione
sulla
decisione
assunta
di
mantenere
gli
istituti
professionali
in
capo
allo
stato.
Su
questa
scelta
ha
pesato
senza
dubbio
la
resistenza
degli
insegnanti
al
passaggio
a
una
gestione
regionale,
considerata
marginalizzante
rispetto a
quella
di
tutti
gli
altri
docenti.
Si
può
allora
affermare
che finchè
la
gestione
di
tutti
gli
insegnanti
non
diventerà
regionale,
il
dilemma
dell'istruzione
tecnica
e
professionale non
verrà
sciolto.
La
prospettiva
si
porrà
allora
solo
in
termini
di
mantenimento
dello
status
quo
o
di
licealizzazione anche
degli
istituti
professionali
come
è
avvenuto
per
gli
istituti
tecnici.
A.
Cenerini:
Una
considerazione,
per
concludere,
sull'alta
formazione
tecnico-professionale
terziaria
non
universitaria.
N.
Bottani:
E'
noto
che
il
Presidente
del
Consiglio,
Romano
Prodi,
è
stato
il
primo
in
Italia
a
parlarne
con
cognizione
di
causa
fin
dall'inizio
degli
anni
Novanta
,
e l'ha
ripetuto
con
convinzione
in
questa
campagna
elettorale.
A
Viale
Trastevere,
però,
si
continua
a
non
avere
percezione
dell'importanza
strategica
di
questo
segmento
alto
dell'istruzione,
che
è
presente
da
oltre
trent'anni
negli
altri
Paesi.
Si
continua
a
pensare
che
l'alta
formazione
tecnico
professionale
terziaria
non
universitaria
coincida
con
gli
IFTS,e
che
sia
sufficiente
intervenire
(
non
si
sa
come)
su
questi
corsi.
Ma
non
è
assolutamente
così,
gli
IFTS
sono
un
aborto, che
nulla
hanno a
che
fare
con
percorsi
strutturati e
stabili
di
alta
specializzazione,
collegati
alla
ricerca
applicata.
Lo
stato
giuridico
nel
nuovo
corso
A. Cenerini:
su
questa
materia
abbiamo
la
fortuna
di
discutere
con
un
giurista,
che
di
questo
si
è
personalmente
occupato.
Mi
rivolgo
pertanto,
in
primo
luogo, a
Carlo
Marzuoli.
L'ADi
ha
indicato fra
le
tre
priorità
di
questa
legislatura,
il
varo
di
un
nuovo
stato
giuridico
degli
insegnanti.
E'
noto
che
il
precedente
governo
non
ha
affrontato
la
questione
per
non
scontrarsi
con
le
Organizzazioni
Sindacali,
e
il
tema
è
stato
unicamente
oggetto
di
iniziativa
parlamentare
di
singoli
deputati
del
centrodestra
,
mentre
il
centrosinistra
si
è
allineato,
in
posizione
subalterna,
ai
sindacati.
Ora
negli
atti
del
nuovo
ministro
non
solo
non
c'è
il
minimo
cenno
alla
questione
dello
stato
giuridico,
ma
addirittura
sono
state
disapplicate
con
accordi
sindacali
norme
di
legge
riguardanti i
docenti.
Che
dire?
C.
Marzuoli:
Vale
la
pena
andare
subito
al
cuore
del
problema:
legge
o
contratto?
E'
opport
uno
ancora
una
volta
ricordare
l'art.
97
della
Costituzione.
La
norma,
di
grande
rilievo
dal
punto
di
vista
della
democraticità
dell'ordinamento
costituzionale
della
Repubblica,
vuole
che
le
linee
essenziali
delle
organizzazioni
e
delle
attività
pubbliche
siano
regolate
con
legge
o
sulla
base
della
legge.
La
ragione
è
evidente:l'Amministrazione
è
volta
a perseguire
l'interesse
della
collettività,
interesse
che
può
essere
in
contrasto
con
le
richieste
dei
suoi
dipendenti,
e
dunque
il
potere
pubblico
deve
poter
operare,
se
indispensabile,
anche
in
via
unilaterale
e
autoritativa
(come
si
fa,
ad
esempio,
nel
caso
dell'espropriazione
per
pubblica
utilità).
Occorre
dunque
liberarsi
dell'idea
che,
nei
rapporti
con
la
P.A.,
la
contrattazione
collettiva
sia
necessariamente
sinonimo
di
maggiore
democraticità
dell'ordinamento. Nel
caso,
poi,
dell'istruzione
e
del
personale
docente,
la
specificità
del
servizio
e
la
necessità
di
garantire
la
libertà
d'insegnamento
esigono
che
lo
spazio
attribuito
alla
contrattazione
sia
rivisto
e
ridotto
rispetto
alla
disciplina
vigente
e
alle
prassi
che
ne
sono
seguite.
Soprattutto
perché
la
contrattazione
collettiva
ha
invaso
spazi
che
non
le
competono,
neppure
ai
sensi
della
legislazione
vigente
A. Cenerini:
In
che
rapporto
si
pone
un
nuovo
stato
giuridico
con
la
legge
di
privatizzazione,
in
particolare
con
il
d.lgs
165/2001?
C. Marzuoli: La
legge
di
privatizzazione
affida
alla
contrattazione
collettiva
la
disciplina
del
rapporto
di
lavoro
e
i
minori
atti
di
organizzazione.
Dunque
la
contrattazione
collettiva
dovrebbe
rimanere
in
detto
ambito.
Così
non
è.
Ad
esempio,
la
definizione
della
funzione
docente
non
è
materia
di
rapporto
di
lavoro
ma
di
determinazione
di
quel
compito
pubblico
che
(per
di
più)
caratterizza
la
pubblica
istruzione
(equivale a
stabilire
la
competenza
di
un ufficio) e
che
è
investito
direttamente
da
aspetti
di
costituzionalità
(la
libertà
d'insegnamento).
Di
funzione docente parla
infatti,
correttamente,
l'art.395
d.lgs
n.297/1994.
Ma
di
funzione
docente
parla
anche
l'art.
24
del
CCNL
2002-2005 .
Il
che
puo'
determinare
il
seguente dilemma:
nell'ipotesi
di
contrasto
fra
l'art.
395 e
l'art.
24
chi
vince
e
chi
perde?
A. Cenerini:
Mi
pare
indubbio
che
secondo
l'impostazione
del
ministro Fioroni
vinca
il
contratto,
visto
che
con
un accordo
sindacale
ha
disapplicato
norme
di
legge
quali
la
funzione del
tutor,
i
contratti
di
prestazione
d'opera
non
riconducibili
a
profilo
docente,
la
mobilità
legata
ai
periodi
dei
cicli
.
C. Marzuoli:
E'
purtroppo
così,
secondo
le
prassi
prevalenti
.
Ma
tutto
questo
è
molto
preoccupante.
La disapplicazione
della
norma
che
limitava
la
mobilità
annuale
dei
docenti
e
garantiva
la
continuità
didattica
almeno
per
i
singoli
periodi
dei
cicli
è
un
esempio
lampante
di
come
la
contrattazione
possa
andare
contro
l'interesse
della
collettività.
Una
vicenda
che
coinvolge
in
modo
centrale
il
diritto
all'istruzione
di
tutti
i
cittadini
(e
che
certo
interessa
ancor
più
i
meno
abbienti)
è
stato
tratta
come
un
problema
aziendale,
nel
chiuso
di
un
rapporto
fra
datore
di
lavoro
(che
–
non
si
dimentichi
–
è naturalmente
spinto
a
conquistare
il
consenso
politico
dei
suoi
dipendenti,
diversamente
da
ciò
che
accade
nei
rapporti
di
lavoro
fra
privati)
e
sindacati.
In
un
simile
contesto,
è
difficile
immaginare
che
si
pos
sano
avere
esiti
differenti.
Ma
un
sistema
giuridico
che
si
presta
a
tutto
ciò,
a
mio avviso,
è
costituzionalmente
inaccettabile
e
ciò
in
nome
del
principio
democratico
e
dei
diritti
dei
cittadini.
A.
Cenerini:
Come
è
potuto
accadere
che
una
norma
di
legge
sia
disapplicata
da
un
accordo
sindacale?
C.
Marzuoli:
E'
avvenuto
in
forza
di
una
disposizione
che
aggrava
il
quadro
che
ho
sopra
descritto.
Si
tratta
dell'art.2,c.
2,
d.lgs. n.
165/2001,
che
consente
di
disapplicare specifiche
disposizioni
legislative
in
base
a
successivo
accordo
sindacale.
E'
ciò
che
ha
fatto
il
ministro
in
carica:
ha
cancellato
una
serie
di
disposizioni
con
valore
e
forza
di
legge
semplicemente
mediante
accordo
con
soggetti
privati
(
il
sindacato),
senza
bisogno
di
ricorrere
ad
alcuna
procedura
quantomeno
altrettanto
pubblica
e
trasparente
e
più
immediatamente
riconducibile
alla
sovranità
popolare
come
quella
che
si
esprime
con
la
legge e
con
il
decreto
legislativo.
A.
Cenerini: E
allora
che
fare?
C.
Marzuoli:
Se
non
si
affronta
questo
problema è
inutile
parlare
di
condizione
giuridica
del
personale
docente come
problema
che
coinvolge
profili
indisponibili
ad
opera
di
chiunque
o
come
problema
che
coinvolge
direttamente
tutti
i
cittadini
e
non
solo
i
rapporti
fra
Governo
e
Sindacati.
A.
Cenerini:
Intravedi
possibili
soluzioni
al
problema?
C.
Marzuoli:
Si
può
intraprendere
una
delle
strade
seguenti:
Soluzione
radicale
-
a)
Si
rovescia
il
sistema delineato
dalla
normativa
vigente
(v.
art.
2
d.lgs.
n.165/2001) e
si
determinano,
con
elenco
tassativo,
le
materie
affidate
alla
contrattazione;
b)
si prevede
che
comunque
le
disposizioni
adottate
con
legge
(legge
nazionale)
prevalgano
su
eventuali
contrastanti
norme
contrattuali,
anche
quando
il
contrasto
sia
implicito,
salva
diversa indicazione
di
legge.
Soluzione
meno
dirompente,
ma
più
praticabile -
a)
non
si
toccano le
linee
del
sistema
quale
in
generale
risultante
dal
d.lgs.
n.
165/2001,
salvo
la
necessità
di
escludere
l'operatività,
almeno nel
settore
in
oggetto,
del
citato
art.
2,
c.2,
d.lgs
. n.
165/2001,
per
evitare
troppo
facili
disapplicazioni
ed
una
specie
di
delega
in
bianco;
b)
si
interviene
con
legge
sugli
specifici
aspetti
che
interessano,
con
ciò
automaticamente
sottraendo
spazio,
pur
se
per
singoli
aspetti,
alla
contrattazione
collettiva.
LE
PROPOSTE
ADi
L'ADi e
la
decentralizzazione
A.
Cenerini:
cerchiamo
ora
di
mettere
sinteticamente
in
fila
le
proposte
dell'ADi
rispetto
alle
tre
priorità
indicate,
proposte
che
voi
avete
in
grandissima
misura
contribuito
a
elaborare.
Ricominciamo
dalla
decentralizzazione.
N.
Bottani:
Non
ci
sono
dubbi
sul
fatto
che
alcune
riforme
fondamentali,
come
quella
del
secondo
ciclo
e
dell'istruzione terziaria
non
universitaria
saranno
possibili
solo
se
si
procederà
ad
una
seria
decentralizzazione
del
sistema
istruzione.
A.
Cenerini:
Abbiamo
visto
però
con
l'
Indagine
svolta
in
15
Regioni
-un
campione
quindi
assolutamente
significativo-
che
le
Regioni
non
sono
ancora
preparate
ad
assumere
questi
compiti.
Nella
maggioranza
dei
casi
non
ci
sono
competenze
adeguate,
mancano
elaborazioni,
progetti,
e
non
si
percepisce
nemmeno
la
volontà
di
assumere
nuove
pesanti
responsabilità.
Sembra
tutto
ancora
sospeso.
C.
Marzuoli:
In
parte
questo
è
dovuto
al
fatto
che
il
Titolo
V
non
è
stato
attuato
e
che,
dopo
la
bocciatura
referendaria
della
riforma
costituzionale
del
centrodestra,
è
in
corso- parrebbe-
un
lavoro
volto
ad
“aggiustare”
la
riforma
costituzionale
del
2001.
E'
anche
vero,
però,
che
sono
trascorsi
cinque
anni
dall'entrata
in
vigore
del
nuovo
Titolo
V,
e
che
le
norme
in
esso
contenute
erano
state
in
parte
già
anticipate
dalla
legge
59/1997
e
dal
d.lgs.
n.112/1998.
In
questa
situazione
le
Regioni
hanno
lo
spazio,
se
vogliono,
per
cominciare
ad
attrezzarsi
e
ad esercitare
le
funzioni
e
le
responsabilità
che
loro
competono.
Appare
dunque
singolare
che
sia
stato
possibile emanare,
ieri,
un
atto
come
il
D.P.R.
n.319/2003,
con
cui
si
stabilizza
la
gestione
centralistica
dell'istruzione
e
si
rafforzano
i
poteri
degli
Uffici
Scolastici
Regionali,
e,
oggi,
un
atto
come
la
recentissima
“
Direttiva
sul
ruolo
e
sui
compiti
degli
Uffici
Scolastici
Provinciali”,
firmata
dal
ministro
Fioroni
il
7
settembre
2006,
con
cui
si
sono
di
fatto
riesumati
i
vecchi
Provveditorati.
Senza
un'azione
convinta
delle
Regioni
volta
a
rivendicare
i
propri
poteri
e
gli
strumenti
per
realizzarli,
la
decentralizzazione
dell'istruzione
non
può
decollare.
L'autonomia
è
come
la
libertà:
controvoglia
non
si
è
liberi,
e
nemmeno
autonomi.
N.
Bottani
:
Sono
ovviamente
d'accordo
con
Carlo,
vorrei
aggiungere
che
credo
che
si
debba
tenere
vivo
il
dibattito su
questo
tema,
che
in
Italia
è
assolutamente
asfittico.
A
questo
fine
penso
che
l'
Indagine
prodotta dall'ADi
sia
molto
importante e
vada
valorizzata.
Ma
non
ci
si
deve
fermare a
quanto
è
già
stato
fatto.
L'
indagine
è
stata
chiamata
Quick
Survey,
perché
non è
stata
concepita
come
indagine
scientifica
vera e
propria,
pur
essendo
assolutamente
attendibile.
Si è
trattato
di
una
sorta
di
sondaggio,
che
aveva
il
duplice
obiettivo
di
verificare
la
pertinenza
dei
temi
affrontati e
degli
snodi
evidenziati
e
di
raccogliere
un
paniere
accettabile
d'informazioni
per
capire
come
le
regioni
si
stessero muovendo
in
questo
campo,
senza
la
pretesa
né
di
confrontarle
tra
loro
né
di produrre
un
quadro
esaustivo
dell'evoluzione
in
corso.
Si
tratta
ora,
come
ho
sempre
detto,
di
reimpostare
le
domande,
alla
luce
delle
informazioni
e
osservazioni
raccolte,
e
di
procedere
in
modo
scientifico
ad
una
vera
e
propria
indagine
in
tutte
le
Regioni.
Questo
è
un
compito
importante
che
l'ADi
può
assumersi
per
favorire
e
sostenere
il
processo
di
decentralizzazione.
A.
Cenerini:
E'
un
lavoro
che
richiede
tempo e
molte
energie,
ma
credo
che
siamo
nelle
condizioni
di
farlo.
Ci
daremo
tempi
e
strumenti
per
realizzarlo.
L'ADi
e
l'istruzione
dai
14
ai
21
anni
A.Cenerini:
Le
elaborazioni
dell'ADi
sul
secondo
ciclo
sono
numerose.
Abbiamo
prodotto
documentate
analisi
del
decreto
226/05
seguendolo
nelle
sue
varie
fasi
di
realizzazione,
abbiamo
fatto
specifici
convegni
e
anche
esaminato
in
modo
approfondito
le
riforme
e
le
tendenze
in
atto
nei
principali
Paesi
europei
(Inghilterra;
Francia;
Spagna )
Nell'ultimo
convegno
internazionale
dell'ADi
hai
avuto
tu,
Norberto,
il
compito
di
esporre
le
tesi
dell'associazione,
quindi
a
te
la
parola.
N. Bottani:
Voglio
in
premessa
dire
che
mi
auguro
che
le
indicazioni
del
ministro,
che
tu
illustravi
all'inizio,
vengano
in
qualche modo
messe
in
discussione dalle
Regioni.
Nessuno
si
nasconde
che
il
secondo
ciclo
costituisce
uno
dei
terreni
più
scivolosi
sui
quali
opera
la
politica
dell'istruzione,
e
che
qualsiasi
intervento
è
destinato
a
suscitare
polemiche
e
reazioni.
Ma
il
ritardo
culturale,
tecnologico,
organizzativo
e
pedagogico dell'Italia
in
questo
campo
è
tale
da
non
consentire
più
rinvii
e
immobilismi.
A.
Cenerini:
Non
c'è
dubbio
che
sia
così.
Ti
chiedo
allora
di
fornire
alcune
schematiche
indicazioni.
N. Bottani:
La
questione
dirimente
è
la
centralità
dell'istruzione
tecnica
e
professionale,
un
obiettivo
che
è
al
primo
posto
nell'agenda
dei
governi
dei
principali
Paesi
europei,
e
che
in
Italia
può
attuarsi
solo
ad
alcune
condizioni,
e
cioè:
•
decentralizzazione
della
gestione
di
tutta
la
scuola
alle
regioni;
•
superamento
delle
scissioni
tra
formazione
professionale,
istruzione
professionale
e
istruzione
tecnica;
•
permeabilità
tra
formazione/istruzione
tecnica-
professionale
e
liceale;
•
costruzione
dei
curricoli
di
tutto
il
2°
ciclo
(licei
e
istruzione/formazione
tecnico-professionale)
su
un
“nucleo”
di
competenze
essenziali
comuni
fino
ai
16
anni,
che
deve
coprire
almeno
il
50%
del
curricolo
(a.lettura,
scrittura,
comunicazione
funzionale,
b.matematica
funzionale,
c.TIC
funzionali,
d.
lingua
straniera,
e.competenze
trasversali); e
su
apprendimenti
di
indirizzo,
che
sono
le
discipline
e
gli
ambiti specialistici-
riferiti
sia
alla
cultura
accademica
che
professionale-
che
differenziano
i
vari
indirizzi
liceali
o
i vari
percorsi
tecnico-professionali
e
che
devono
rappresentare
circa
i
2/3
delle
qualifiche
triennali,
dei
diplomi
quadriennali
e
quinquennali;
•
creazione
di
un
nuovo
apprendistato,
mai
decollato
in
Italia,
che
renda
accessibili
qualifiche
e
diplomi attraverso
la
formazione
duale
(
una
reale
alternanza
scuola-lavoro),
•
La
creazione
ex
novo
di
istituti
postsecondari
non
universitari
di
alta
specializzazione
tecnico-
professionale,
triennali,
che
costituiscono
un
punto
davvero
strategico
nel
panorama
italiano,
insieme
all'avvio
di
un
“nuovo”
apprendistato.
A. Cenerini:
Tutto
questo
senza
toccare,
almeno
per
ora,
e
come
ha
già
dichiarato
il
ministro
Fioroni,
i
cicli
definiti
dalla
legge
delega
53/03.
Rimane
sempre
il
problema della
conclusione
dell'istruzione
secondaria
di
2°
grado
alla
maggiore
età
(18
anni),
come
in
tutti
i
Paesi
europei.
N. Bottani:
Certo,
ma
non
è
il
problema
chiave
oggi.
Sarebbe sufficiente
per
il
momento
utilizzare
il
5
°
anno
come l'ADi
ha
indicato
nella
sua
proposta
sull'
esame
di
stato
A. Cenerini:
Per
concludere
la
questione
dell'obbligo
scolastico a
16
anni,
di
cui
abbiamo
in
parte
già
detto.
N.
Bottani:
Non
posso
che
ripetere che
l'
obbligo
“scolastico"
ai
16
anni
costituisce
oggi
un
arretramento:
è
già avviato
per tutti
il diritto-dovere
all'istruzione
e
alla
formazione
per
almeno
dodici
anni
o
sino
al
conseguimento
di
una
qualifica
entro
il
diciottesimo
anno.
Occorre
ragionare
sui
contenuti
e
non
sugli
interessi
delle
“corporazioni”
.
Associazione Docenti Italiani
L'ADI e
un
nuovo
stato
giuridico
A. Cenerini:
Siamo
arrivati
alla
terza
e
ultima
priorità:
lo
stato
giuridico
del
personale
docente
e
dirigente.
L'ADi
ha
posto
per
prima
nella
scorsa
legislatura
questo
tema,
ne
ha
fatto
oggetto
di
convegni,
di
elaborazioni
e
di
proposte. Fin
dal
2002
l'associazione
ha
potuto
usufruire
della
guida
generosa
di
Carlo
Marzuoli,
che
ha
consentito
un
approfondimento
e
una
trattazione
sempre
più
puntuale
e
argomentata
del
tema.
Nessuno
meglio
di
te,
Carlo,
può
quindi
indicare alcuni
dei
punti
salienti
di
uno
stato
giuridico
innovativo
e
adeguato
al
nuovo
assetto
costituzionale
del
sistema
d'istruzione.
Sul
tema
dirimente
legge
e
contratto
abbiamo
già
detto.
Un
altro
fra
i
punti
più
controversi
attiene
al
“datore
di
lavoro”.
Possiamo
cercare
di
fare
chiarezza
su
questo
punto?
C.
Marzuoli:
Il
modello
più
coerente con
il
carattere
non
più
statale
dell'istruzione
e
con
i
principi
di
imparzialità
e
di
buon
andamento
induce
ad
un
mutamento
del
soggetto
datore
di
lavoro
che
non
può
più
essere
lo
Stato.
L'alternativa
che
merita
maggiore
attenzione
è
quella
fra
Regioni
ed
Istituti
scolastici.
Per
poter
scegliere,
occorre
innanzitutto
chiarire
che
cosa
si
deve
intendere
per
datore
di
lavoro.
Si
intende
essenzialmente:
•
il
soggetto
titolare
di
un
potere
di
intervento
normativo,
nei
limiti
consentiti
dalla
normazione
nazionale
e con
salvezza
degli
ambiti
rimessi
alla
contrattazione
collettiva;
•
il
soggetto
che
partecipa
a
quell'organismo
che
sarà
chiamato
a
dare
direttive
per
la
contrattazione all'ARAN
e
che
partecipa
quindi
alla
determinazione,
innanzitutto,
delle
risorse
da
destinare
alla
contrattazione a
livello
nazionale.
Il
datore
di
lavoro
non
coincide
invece,
necessariamente,
con
l'organismo
presso
il
quale
si
presta
l'attività
e
dunque
con
l'organismo
da
cui
si
dipende
per
i
profili
funzionali
(concernenti
lo
svolgimento
dell'attività),
che
rimane
l'istituto
scolastico.
Con
queste
precisazioni
la
scelta
più
plausibile
cade
sulle
Regioni,
non
sull'Istituto
scolastico,
che
si
trasformerebbe
in
una
”statalità
mascherata”.
A.
Cenerini:
In
questa
ipotesi
quale
ruolo
potrebbe
rivestire
l'istituto
scolastico
nel
reclutamento?
C.
Marzuoli:
Il
problema
si
pone
in
termini
non
molto
dissimili
per
il
reclutamento e
per
i
trasferimenti.
Parlerei pertanto
in
generale
di
modalità
di
attribuzione
dei
posti.
Occorre
certamente
considerare
il
particolare
valore
dell'autonomia
dell'Istituto,
che
bisogna
però
subito
contemperare
con
l'esigenza
di
evitare
rischi
(non
secondari,
data
la
no
vità)
di
troppo
radicale
“personalizzazione”
degli
Istituti.
Per
questo
io
porrei
una
distinzione
puramente
quantitativa
(in
ipotesi
50%)
a
cui
agganciare
la
diversità
del
soggetto
responsabile
dell'attribuzione
dei
posti.
A.
Cenerini:
Quindi
la
responsabilità della
copertura
dei
posti
vacanti
(sia
per
immissione
in
ruolo
sia
per
trasferimento) sarebbe
in
parte attribuita
all'Istituto
scolastico
e
in parte
alla
Regione.
Stabilito
questo
e
la percentuale
di
posti
su
cui
i
due
diversi
soggetti
hanno
facoltà
di
intervenire,
si
tratta
di
definire
con
quali
procedure.
C.
Marzuoli:
Stabilito,
ovviamente,
che
possono
concorrere
solo
i
docenti
in
possesso
dei
requisiti
di
legge
(specifica
abilitazione),
si
tratta
di
scegliere
la
procedura
concorsuale
da
utilizzare
da
parte
della
Regione
e
da
parte
dell'Istituto
scolastico.
Per
quanto
concerne
la
Regione
si
tratta
di
un
concorso:
per
i trasferimenti
sicuramente
in
base
a
titoli,
sottoposti
a
valutazioni
non
discrezionali,
per
quanto
riguarda
l'immissione
in
ruolo
si
tratta
invece
di
ragionare
in
maniera
complessiva
su
“formazione
e
reclutamento”.
Per
quanto
concerne
l'Istituto scolastico,
la
procedura
concorsuale
non
dovrebbe
essere
dissimile
per
le
due
operazioni:
immissione
in
ruolo
e
trasferimento.
Ritengo
che
si
potrebbe
utilizzare
quella
che
all'Università
viene
definita
“valutazione
comparativa”.
La
valutazione
comparativa
potrebbe
essere
così
caratterizzata:
•
titoli
di
merito e
colloquio,
•
requisiti
di
specie
indicati
dall'Istituto,
•
commissione
di
valutazione
mista
che
si
potrebbe
ipotizzare
costituita
da
(almeno)
il
Dirigente
o
suo
delegato
e
due
docenti
di
pari
livello
e
in
prospettiva
appartenenti
alla
fascia
dei
docenti
“esperti”
(un
termine
che
qui
vuole
semplicemente
indicare
la
diversificazione
della
carriera e
delle
tipologie
di
docenti),
di
cui
uno
appartenente
all'Istituto
ed
uno
esterno
•
competenza
per
la
parte
procedurale
burocratica
alla
Regione
A.
Cenerini: Hai
toccato un
altro
dei
punti
nevralgici,
irrisolto
da
decenni,
che è
quello
della carriera docente. Su
questo
punto
si
scontrano
da
sempre
due
linee.
La
prima
ritiene
che
vada
per
così
dire
“premiato”
il
merito
all'interno
dell'”unicità”
della
funzione.
Per
intenderci
quella
che
normalmente
viene
definita
“merit
pay”.
Si
dà
cioè
un
premio
alla
“produttività”,
che
nel
nostro
caso
sarebbe
la
qualità
dell'insegnamento,
la
didattica
ecc.
Un
aggiornamento,
in
breve,
dell'antico
“merito
distinto”.
L'altra
linea,
ed
è
quella
che
ha
sempre
sostenuto
l'ADi,
si richiama
alla “
individuazione
di
nuove
figure
professionali
del
personale
docente”
previste,
ma
mai
realizzate,
dalla
legge
59/97,
art.
21,
c.
16.
C.
Marzuoli:
Teoricamente
le
due
proposte
possono
convivere,
ma
non
vi è
dubbio
che
attualmente
l'esigenza
irrinunciabile
è
la
determinazione
di
uno
sviluppo di
carriera che
abbia
il
carattere
della
stabilità,
che
comporti
diritti
e
responsabilità
ulteriori,
senza
che
questo
implichi
necessariamente
distacco
dall'insegnamento, e
che
preveda
una
retribuzione
di
base
maggiore.
In
questo
senso è
necessario
definire
una
fascia
differenziata,
quella
che
ho definito
dei
“docenti
esperti”.
Vanno
poi
determinate
le
percentuali
di
posti
da
assegnare
e
le
modalità
di
accesso.
A.
Cenerini:
Sulle
modalità
di
accesso che
ipotesi si
possono fare?
C.
Marzuoli:
Propenderei
per
l'utilizzo
della
“valutazione
comparativa”,
ma
si
può
approfondire,
ovviamente.
A.
Cenerini:
Credo
che
abbiamo
toccato
le
questioni
nodali,
prossimamente
una
definizione
puntuale
dell'intero
stato giuridico!
Un
grazie
caloroso
a
entrambi
per
questo
ulteriore
contributo
che
ci
avete
offerto,
insieme
alla
speranza
e
all'augurio
che
il
dibattito
sulle
priorità
che
insieme
abbiamo
individuato
possa
diffondersi
e
arricchirsi.