Gli atenei che non funzionano: Università col bollino rosso
Data: Lunedì, 26 agosto 2002 ore 23:15:41 CEST
Argomento: Rassegna stampa


di Andrea Benvenuti

13.08.2002 È scattata la caccia allo studente. Settantaquattro università italiane - 60 statali e 14 private - sono partite all’arrembaggio del popolo delle matricole: trecentomila studenti, freschi di maturità, che si iscriveranno a uno dei 2.665 corsi, vecchi, nuovi o trasformati, introdotti dalla riforma universitaria. Quella più nota come “3+2” (laurea triennale di primo livello e biennio di specializzazione) partita tra luci e ombre giusto un anno fa. È una vera e propria guerra commerciale quella che gli atenei si stanno combattendo a colpi di spot radiofonici, affissioni cittadine e spazi pubblicitari sulle pagine dei giornali. Ma non sarà una campagna acquisti tutta rosa e fiori. Infatti, 538 corsi triennali (oltre il 21 per cento del totale) proposti dalle università italiane nell’ultimo anno accademico e distribuiti un po’ su tutto il territorio nazionale, non hanno le carte in regola. L’allarme è lanciato dal Comitato di valutazione del sistema universitario del ministero dell’Istruzione che ha stilato, corso per corso, le pagelle dei peggiori a un anno di distanza dal loro inizio.

Sono centinaia di pagine per scandagliare l’offerta formativa del Belpaese e che “L’Espresso” è in grado di anticipare. Con tanto di “bollino rosso” per mettere sull’attenti le scelte delle future matricole. In sostanza, è stato chiesto alle facoltà degli atenei di indicare i requisiti minimi in base ai quali, nell’anno accademico 2001-2002, è stato attivato ogni singolo corso di laurea triennale: il numero di docenti, gli studenti iscritti, la disponibilità di aule, laboratori e biblioteche. Il risultato è a fosche tinte. Pur valutando positivamente l'avvio della riforma, il Comitato ministeriale sostiene che la moltiplicazione dell’offerta formativa ha provocato un’eccessiva frammentazione didattica e una di-spersione delle risorse. Il nuovo impianto viene promosso sul campo: ma i corsi - si afferma - sono troppi, non soddisfano gli standard di qualità e vanno ridotti. Rispetto al 2000-2001, infatti, l’offerta formativa è aumentata del 9 per cento senza che tutti i corsi producessero risultati positivi. Una conclusione che non piacerà ai Consigli di facoltà degli atenei chiamati in causa. Eppure, i dati parlano chiaro. Si va dall’eccellenza dell’università di Trento, dove la biblioteca rimane aperta fino all’una di notte e ci sono i primi corsi in lingua inglese con docenti stranieri, alla situazione limite dell’università di Catanzaro dove molti corsi sono senza professori e Giurisprudenza ha settecento iscritti con strutture del tutto inadeguate. Fino al Politecnico di Torino che ad Architettura prevede due corsi fotocopia: una scelta effettuata - dicono i docenti - «per non far litigare i professori».

Ci sono anche 79 corsi (vedi tabella) che non superano i cinque iscritti; ma tredici ne hanno uno solo: tra questi citiamo Manager dei flussi migratori (a Scienze politiche), Tecnologie fisiche innovative (Scienze matematiche, fisiche e naturali) ed Economia e gestione delle risorse culturali, ambientali e turistiche (Economia). Trentadue, invece, sono gli atenei che presentano facoltà con posti aula alla settimana per studente al di sotto della soglia minima delle 20 ore settimanali: la maglia nera va a Scienze della formazione (Urbino) con 4,9 ore/posto. Infine, 538 sono i corsi attivati senza il numero sufficiente di docenti (vedi tabella). Il caso limite è Catanzaro, dove a Medicina e Chirurgia sono 25 i corsi da “bollino rosso”.

Secondo gli esperti del ministero, bisogna rimboccarsi le maniche e far capire a presidi e docenti che sarà sempre più la qualità del corso e dei servizi a premiare gli atenei in termini di iscritti e bilanci in attivo. Per il futuro, dunque, non saranno più i professori il punto di riferimento del sistema universitario bensì gli utenti: quegli studenti troppo spesso bistrattati e ammucchiati in aule e laboratori striminziti, senza servizi adeguati. E, soprattutto, senza un numero di professori sufficiente allo svolgimento della didattica.

Più che di cambiamento e trasformazione, si tratta di un vero e proprio terremoto. Chi dirà ai baroni e baronetti universitari che il loro corso può essere cancellato? Che ogni docente non può pretendere di avere un territorio esclusivo e che i risultati dell’insegnamento verranno valutati in base alla percentuale di successo, e quindi di laureati di ogni singolo corso di laurea? E chi, ancora, riuscirà a far passare l’idea, ventilata dal Comitato, di ridurre l’offerta formativa delle lauree di primo livello mantenendo invece la possibilità di una maggiore scelta per il biennio di specializzazione?

Per non parlare dell’ipotesi di far svolgere i corsi di primo livello in ogni provincia, accorpando i bienni specialistici in pochi poli macroregionali. Così sembra avviarsi al tramonto l’epoca del piccolo ma bello. Le università di Macerata, Camerino, Ancona e Ascoli Piceno, per fare l’esempio delle Marche, sarebbero destinate a offrire corsi triennali di primo livello, lasciando quelli di specializzazione a città come Bologna, Milano, Torino e Pavia.

Attualmente, l’Italia rappresenta una profonda anomalia rispetto ai paesi dell’Unione europea: la popolazione studentesca si laurea molto più tardi. Soltanto quattro iscritti su dieci portano a termine gli studi. Gli esperti del comitato sostengono che abbiamo bisogno di un dieci per cento in più di laureati. Comunque, con l’avvio della riforma, si è registrato un aumento degli immatricolati: dai 280 mila di due anni fa ai 320 mila dell’anno scorso. E, per i prossimi tre anni, si prevede un flusso di 300 mila nuovi immatricolati l’anno. I saggi del Comitato di valutazione chiedono di costruire un’anagrafe nazionale degli studenti e di potenziare la Banca dati dell’offerta formativa. Il rapporto sul futuro dell’Università è stato consegnato al ministro Letizia Moratti. Ma né il ministro né il suo staff hanno mandato segnali di fumo. Troppo impegnati a far quadrare conti della scuola. L’università può aspettare.

In versione integrale, il testo del “Primo Rapporto di Valutazione dei corsi di laurea di primo livello”.

 

 







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