IL TEMA DELLA GUERRA NELLA LETTERATURA CONTEMPORANEA
Data: Giovedì, 17 agosto 2006 ore 01:09:40 CEST
Argomento: Rassegna stampa


La guerra è uno dei temi letterari più coinvolgenti e appassionanti nelle letterature di tutti i tempi e in particolare in quelle del Novecento, vista la vicinanza cronologica che comporta ferite non ancora del tutto sanate. Nell’ambito dello studio della letteratura italiana del Novecento nelle scuole secondarie superiori, si affrontano diversi autori e testi che lo trattano direttamente o indirettamente, anche perché sono libri che si prestano a utili collegamenti interdisciplinari (oltre che con le letterature straniere, con materie quali la storia, la filosofia e la religione). Si tratta di scrittori che hanno raccontato la prima (D’Annunzio, Borgese, Lussu, Gadda...) e la seconda guerra mondiale (Calvino, Pavese, Fenoglio, Meneghello, Moravia, Morante, Rigoni Stern...).
 Raramente, però, si propone la lettura di testi a tematica bellica scritti dagli autori delle generazioni successive. Eppure la guerra è una realtà che tristemente ci riguarda ancora. Questo articolo si propone di sviluppare un possibile itinerario attraverso libri più recenti, pubblicati in questi ultimi anni, che possono utilmente completare e aggiornare un percorso tematico. Procederò per campionature, scegliendo di parlare di testi che siano indicativi di particolari angolature o tendenze, quanto ai modi in cui l’argomento guerra è stato affrontato dai nostri scrittori, soffermandomi a volte su opere poco note, ma dotate tutte di sicuro interesse.

La seconda guerra mondiale
Sembra che la narrativa italiana di fine Novecento abbia chiamato se stessa a fare i conti con la storia, si sia sentita, cioè, spinta a interrogarsi sul passato, sulle questioni aperte e laceranti della memoria. Vorrei partire da un libro del 2001, quello di Umberto Piersanti: L’estate dell’altro millennio (Venezia, Marsilio). L’estate cui fa riferimento il titolo è quella del 1939: l’ultima estate prima della guerra, una stagione che solo qualche anno dopo apparirà estremamente lontana a causa della tragica drammaticità degli eventi che nel frattempo si sono consumati. Al centro della vicenda troviamo due personaggi: Marco, il protagonista, studente di Lettere ad Urbino, e Franco, suo coetaneo, contadino delle Cesane, le colline che circondano la città marchigiana. Entrambi lasceranno il loro lavoro per andare a combattere in Montenegro. Dopo l’8 settembre del ‘43 tornano a casa: Franco riprende la sua attività, mentre Marco si unisce ai partigiani, per poi scoprire con un senso di cocente delusione gli orrori della guerra civile. L’ombra della bomba atomica grava sulla speranza nel futuro, un futuro che appare sempre più cupo. Tuttavia sarà l’amore a fornire a Marco una ragione per continuare vivere.
 Anche Erri De Luca con il romanzo Tu, mio (Milano, Feltrinelli, 1998) propone, indirettamente, un esame di alcuni degli eventi più sanguinosi e irrazionali del Novecento. Lo scenario è un'isola del Tirreno; il tempo la metà degli anni Cinquanta; gli occhi quelli di un adolescente che, in un'estate, si trova a crescere con il carico di dolorosa consapevolezza che la maturità comporta. È un marinaio, Nicola, a raccontargli, pur con difficoltà (perché vorrebbe dimenticare), il passato, i fascisti, la guerra, i bombardamenti, i tedeschi, gli americani, la crudeltà, l'orrore, l'assurdità e il dolore. Ma la conclusione non è a lieto fine. Se è vero che la violenza chiama altra violenza, il ragazzo cercherà la sua personale vendetta sulle ingiustizie della storia con l'idea di farla pagare a una comitiva di spensierati turisti tedeschi, dimentichi delle atrocità compiute dal loro popolo. Un finale duro che rende non scontata, nella sua non-linearità, la parabola di questo romanzo.

La guerra civile spagnola
Su come la storia e le tragiche vicende belliche del XX secolo vanno a incidere sui destini individuali e sui percorsi privati di chi viene dopo, va a riflettere anche il romanzo d’esordio di Alberto Casadei. In La domenica di questa vita (Lecce, Manni, 2002), Casadei racconta la storia di un ritorno. Il protagonista, Aldo, uomo ormai maturo, morta la madre, decide di tornare nella casa di lei, in Romagna, allo scopo di metterla in ordine, in realtà per ricongiungersi a un passato che per gran parte non ha conosciuto. Il viaggio di Aldo nei luoghi dell’infanzia è un percorso dentro se stesso e nella propria storia. Anche perché sullo sfondo c’è la figura misteriosa del padre Nullo, con il quale ha deciso finalmente di fare i conti. Durante il ventennio fascista Nullo, allora molto giovane, era stato uno strenuo sostenitore del regime, al punto di partire volontario per combattere, a fianco dei franchisti, la guerra civile spagnola. Aldo non lo ha mai conosciuto, perché era morto nel 1937, quando il figlio era appena nato. Su Nullo, Aldo potrà formulare solo delle ipotesi, andando ad indagare nella vita interiore e sentimentale del genitore. Alla fine del romanzo, però, non è riuscito a rispondere alle mille domande che avevano mosso la sua ricerca.

La prima guerra mondiale
Del resto, se gli eventi non sono stati vissuti in prima persona dagli autori, cambierà poco se si tratta della seconda o della prima guerra mondiale. Anzi, visto che si tratta sempre di trasfigurazione in qualche misura fantastica, la maggiore distanza cronologica potrebbe addirittura essere un vantaggio. Il toscano Ugo Riccarelli con Un uomo che forse si chiamava Schulz (Casale Monferrato, Piemme, 1998) ha scritto una sorta di immaginaria autobiografia romanzata dello scrittore ebreo Bruno Schulz, nato nel 1892 e cresciuto in una sonnolenta cittadina della Galizia, prima austroungarica, poi polacca, oggi ucraina, ucciso da una pallottola della Gestapo nel 1942, e autore di un unico straordinario libro, Le botteghe color cannella. La storia irrompe con i suoi destini di sangue e l'autobiografia si fa saga familiare, vero e proprio romanzo storico, in cui le vicende private si sviluppano sullo sfondo di quelle collettive (l'attentato di Sarajevo, la prima guerra mondiale, l'avvento del petrolio e delle prime automobili, i roghi nazisti dei libri, il patto Molotov-Ribbentrop, l'occupazione tedesca), fino all'incredibile bestialità delle persecuzioni razziali. La scrittura si rivela in questo modo l'unica via di sopravvivenza alla furia della storia.

La guerra d’Etiopia
Dagli scrittori quaranta-cinquantenni agli scrittori trentenni. Il piemontese Davide Longo è autore di Un mattino a Irgalem (Milano, marcos y marcos, 2001), romanzo ambientato nel 1937 in Etiopia, subito dopo la guerra d’occupazione da parte dell’Italia (1935-1936). Il personaggio principale, Pietro Bailo, è un avvocato militare poco più che trentenne, inviato nella neonata colonia italiana come difensore di Prochet, un sergente che si è macchiato di terribili efferatezze. Sullo sfondo i vari militari, ufficiali e soldati, lì di stanza. Longo è abilissimo nel restituirci il sapore di un’epoca e nel farci percepire le sensazioni della guerra, il suo sapore ferroso, l’odore di polvere e di sangue. La guerra è un momento particolare che conferisce maggiore pregnanza, valore metaforico e spessore simbolico a degli eventi, che però non vengono mitizzati: spesso i soldati si muovono come le marionette di una recita di cui non possono conoscere il copione.

La guerra in Jugoslavia
Ma purtroppo le guerre non sono finite, e dunque quello bellico non è un tema riferito soltanto al passato in una dimensione memoriale. Di una guerra recente, come quella jugoslava, ci parla il romanzo Il soffio delle fate di Angelo Cannavacciuolo (Milano, Baldini&Castoldi, 2001). La città in cui sono ambientate le vicende è Sarajevo ai tempi del sanguinoso conflitto civile che l’ha dilaniata in anni non lontani. Il libro diventa così l’occasione per ripensare a un conflitto che abbiamo troppo presto rimosso. Tre sono i personaggi principali: il comandante Jovan, che dalle alture intorno alla città assediata non esita a sparare, con la tecnica del cecchino, a donne e bambini, magari allettato dal denaro offertogli da una troupe televisiva americana che, con cinismo terribile ma non inverosimile, vuole filmare i massacri in presa diretta; Tom, naturalizzato americano ma nato a Sarajevo, il quale di quella troupe fa parte in qualità di assistente di un tanto famoso quanto spregiudicato giornalista; Becir, musicista della Filarmonica della città, che vorrebbe continuare a suonare nonostante il continuo pericolo a cui lui e i suoi colleghi sono sottoposti. Personaggi diversi, i cui destini però a un certo punto si incroceranno in maniera decisiva. La guerra è realisticamente rappresentata nei suoi effetti di disgregazione del tessuto civile, di corruzione fisica e morale. I personaggi sono sempre in movimento, in una frenesia d’azione determinata dalla volontà di sopravvivere. La musica diventa per Becir l’affermazione dell’ordine contro il disordine, della bellezza contro il caos. Su tutto cala, e da tutto si leva, “il soffio delle fate”, come chiamano a Sarajevo la spessa bruma che copre, nasconde, svela una realtà spesso terribile.

La ‘terza guerra mondiale’
C’è poi la guerra globale o la ‘terza guerra mondiale’, che forse stiamo già vivendo, almeno da quel tragico 11 settembre 2001. Quell’evento ha sollecitato interventi ‘militanti’ da parte di scrittori e narratori. Nel maggio 2002 è uscito, presso Feltrinelli, un libro che raccoglie gli interventi letti in un convegno che si era svolto a Milano tra scrittori e critici delle ultimissime leve il 24 novembre 2001, due mesi dopo l’attentato alle Torri Gemelle di New York. Il libro, a cura di Antonio Moresco e Dario Voltolini, si intitola Scrivere sul fronte occidentale e raccoglie interventi, tra gli altri, di Carla Benedetti, Tiziano Scarpa, Piersandro Pallavicini, Marco Drago, Mauro Covacich, Raul Montanari, Andrea Bajani e Giulio Mozzi. Insomma, alcuni dei ‘nuovi scrittori’ più significativi. Si tratta di un volume che ha segnato un prepotente tentativo di riavvicinamento alla realtà da parte degli scrittori dell’ultima generazione. È un confronto serrato con l’urgenza di problemi come i vari fondamentalismi (c’è quello islamico, ma c’è anche quello capitalista-occidentale) o il terrorismo internazionale, in forma sia narrativa che saggistica: il ritorno dei nostri scrittori a una dimensione di ‘impegno’, come si diceva in passato, che non rinuncia a confrontarsi con i problemi del mondo e dunque anche con la guerra, anzi con le guerre.

 *Insegna Letteratura italiana contemporanea all’Università Statale di Milano

 Pubblicato il 24/7/2006






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