QUALI SONO I PRINCIPALI CONFLITTI IN CORSO NEL MONDO?
Data: Giovedì, 27 luglio 2006 ore 00:48:30 CEST
Argomento: Rassegna stampa


I principali conflitti in corso
di Francesca Sibani*

 

 

            

AFRICA
 La guerra nella Repubblica democratica del Congo è cominciata nel 1997 quando Laurent-Désiré Kabila, appoggiato dalle truppe ruandesi e ugandesi, s'impadronì del potere, scalzando Mobutu Sese Seko, che governava dal 1965. L'anno successivo, Kabila ha cercato di eliminare gli esponenti di etnia tutsi dal suo governo, innescando un nuovo conflitto. Il paese è diventato il teatro della prima guerra panafricana, costata la vita ad almeno tre milioni di persone: da una parte le truppe ruandesi, a sostegno dei ribelli tutsi congolesi del Raggruppamento congolese per la democrazia (Rdc), dall'altra l'esercito governativo appoggiato dai soldati mandati da Angola, Namibia e Zimbabwe. La tregua è stata proclamata solo nel luglio 1999 e nel 2000 l'Onu ha inviato una missione di peacekeeping (Monuc). Nel 2002 è cominciato il ritiro delle truppe straniere e il 30 luglio 2006 si terranno le elezioni presidenziali. Tuttavia nell'est del paese si continua a combattere. Nel Katanga, nel Kivu e nell'Ituri sono attivi diecimila ribelli ruandesi di etnia hutu, molti dei quali hanno partecipato al genocidio del 1994, e alcuni gruppi burundesi e ugandesi. Ci sono infine le milizie mai-mai, armate dall'esercito congolese per combattere i ribelli, ma che sono ormai sfuggite al controllo e hanno più volte attaccato i civili.

La Costa d’Avorio ha goduto di una relativa tranquillità fino al 2002, quando un colpo di stato fallito, ai danni del presidente Laurent Gbagbo, ha scatenato una guerra civile tra l'esercito ivoriano e i ribelli delle Forze nuove (Fn), che operano nella parte settentrionale del paese. La Costa d'Avorio è da allora divisa a metà: il nord in mano ai ribelli, il sud in mano alle forze governative. In mezzo, una zona controllata dalle truppe francesi e dai caschi blu dell'Onu. La tregua tra governo e ribelli – negoziata a Marcoussis, in Francia nel gennaio 2003 – è durata fino al 7 novembre 2004, quando alcuni aerei francesi hanno distrutto l'aviazione ivoriana, in reazione a un'offensiva dell'esercito governativo contro i ribelli. Il processo di pace è ripreso nel marzo del 2005, ma nel gennaio 2006 ci sono stati nuovi attacchi contro i caschi blu dell'Onu. Il conflitto ha fatto oltre tremila morti.

 È dai tempi della decolonizzazione che i rapporti tra Etiopia ed Eritrea sono tesi. Dopo una lunga guerra di liberazione, l’Eritrea ha ottenuto l’indipendenza da Addis Abeba nel 1993. Ma le ostilità sono scoppiate nuovamente nel maggio 1998 per una disputa di confine.
 La comunità internazionale si è attivata subito per arrivare a una soluzione diplomatica della crisi, ma nel frattempo 370mila eritrei e 350mila etiopici erano già costretti a subire le conseguenze della guerra e a fuggire dalla zone di conflitto; in alcune zone dell’Etiopia, la crisi umanitaria è stata aggravata dalla siccità e dalla carenza di cibo. Gli scontri tra le truppe si sono intensificati nel maggio del 2000, finché il 18 giugno le due parti non hanno dichiarato la tregua, accettando che una missione di peacekeeping dell’Onu (Unmee) sorvegliasse una Zona temporanea di sicurezza (Tsz) lungo il confine. Il 12 dicembre 2000, ad Algeri, i due paesi hanno firmato un Accordo di pace, che prevedeva la creazione di una Commissione per il confine tra Etiopia ed Eritrea (Eebc) per risolvere la questione in maniera neutrale. Nel 2002, la commissione ha attribuito la zona contesa all’Eritrea. Addis Abeba ha contestato la decisione e proposto un piano di pace alternativo. Nel 2005, la situazione è peggiorata di nuovo: l’Etiopia ha ammassato le truppe vicino al confine e l’Eritrea ha deciso di limitare le operazioni dell’Unmee. Il mandato dell’Unmee è stato esteso fino al 15 aprile 2006 per dare alle parti più tempo per risolvere il conflitto, ma i progressi sono pochi. Dal 1998, questa guerra ha fatto circa 80mila vittime.

 Fin dai tempi dell'indipendenza dalla Gran Bretagna nel 1960, la Repubblica federale della Nigeria è attraversata da fratture religiose ed etniche, e da tensioni tra le autorità di Lagos e le regioni. La situazione si è aggravata dopo la rielezione, contestata, del presidente Olusegun Obasanjo nel 1993. Nel maggio 2004 il massacro di seicento musulmani di etnia fulani e hausa nello stato di Plateau è stato la scintilla che ha scatenato numerose violenze negli stati di Kano, Kebbi e Adamawa. Un altro motivo di conflitto è lo sfruttamento dei giacimenti petroliferi del Delta del Niger, dove l’esercito e la polizia si scontrano con numerose milizie armate, tra cui il Movimento per l'emancipazione del Delta del Niger (Mend), responsabile di attacchi contro società straniere come la Shell. Dal 1993 sono oltre 15mila le vittime del conflitto.

 Il territorio del Sahara Occidentale è un'ex colonia spagnola che è stata annessa dal Marocco nel 1975. Da allora il Fronte Polisario si batte per creare una repubblica sahrawi indipendente. Il referendum popolare per l'autodeterminazione proposto dall'Onu nel 1992 non si è mai tenuto e ora il Marocco ipotizza di concedere alla regione un'ampia autonomia sotto la sua sovranità. Ma nell'ultimo anno si sono moltiplicate le proteste organizzate dal Polisario, che osserva una tregua dal 1991. Nella primavera del 2005 l'Onu ha deciso di prolungare la sua missione (Minurso) dopo che si sono intensificati i segnali di rivolta. Il 18 agosto 2005 il Fronte Polisario ha rilasciato, come dimostrazione di buona volontà, 400 prigionieri di guerra marocchini.

 La guerra civile in Somalia è cominciata nel 1991, dopo la caduta del regime di Siad Barre. L'assenza di un governo centrale ha lasciato via libera agli scontri tra milizie rivali che si contendono il controllo del territorio. Nel 1992 l’invio di un contingente di marines statunitensi, che doveva spianare la strada a una missione di peacekeeping dell’Onu, si è rivelato un disastro. Il tentativo delle truppe americane di catturare Mohamed Farah Aideed, il signore della guerra più potente a quel tempo, si trasformò in un massacro in cui morirono decine di migliaia di somali e decine di caschi blu e marines. Nel novembre 2004, dopo quattordici anni di anarchia e di lotte settarie, si è insediato un governo centrale guidato dal presidente Abdullahi Yusuf Ahmed, con il difficile compito di ricostruire il paese. Il nuovo presidente somalo, eletto in base a un compromesso tra i signori della guerra locali, deve riportare la pace in Somalia, dopo anni di anarchia e guerra civile. Ma nel marzo 2006 almeno sessanta persone sono morte nei combattimenti tra fazioni rivali nella capitale Mogadiscio. Le violenze hanno opposto le milizie reclutate dai tribunali islamici ai membri dell'Alleanza per la restaurazione della pace e per l'antiterrorismo (Arpct), la formazione dei signori della guerra sostenuta dagli Stati Uniti. Il 5 giugno le milizie islamiche hanno sconfitto i signori della guerra nella capitale Mogadiscio e hanno instaurato un’amministrazione basata sulla legge islamica. Le milizie si sono dirette poi verso la città di Baidoa, sede del governo ad interim. Dal 1991 sono morte più di 500mila persone.

 In Sudan, dal 1983 al 2003, si è combattuta un'aspra guerra civile fra il nord arabo e musulmano e il sud cristiano e animista, che ha fatto più di un milione e mezzo di morti. I negoziati di Naivasha, in Kenya, tra il vicepresidente sudanese Ali Ousmane Taha e il capo dell’Esercito popolare di liberazione del Sudan (Spla), John Garang, sono cominciati nell'ottobre del 2003. Il 9 gennaio 2005 è stato firmato un accordo di pace, che prevede la convocazione di un referendum per l’autodeterminazione nelle regioni del sud entro il 2008. Nel febbraio del 2003 è scoppiato un nuovo conflitto nel Darfur, una vasta regione nell'ovest del Sudan. I ribelli sono divisi in due gruppi, l'Esercito di liberazione del Sudan (Sla) e il Movimento per la giustizia e l'uguaglianza (Jem). Sostengono di aver preso le armi per difendere i diritti delle popolazioni africane oppresse ed emarginate dal governo centrale, dominato da gruppi di origine araba. Per far fronte alla rivolta, Khartoum ha mobilitato le milizie arabe dei janjaweed: 180mila persone sono morte, 200mila sono fuggite in Ciad e più di due milioni vivono in condizioni precarie nei campi d'accoglienza all'interno del paese. Gli Stati Uniti hanno dichiarato che nel Darfur è in corso un genocidio. Ad Abuja, in Nigeria, nel luglio 2004 sono cominciati i negoziati di pace, tuttora in corso.

L'Uganda ha partecipato alle guerre nella Repubblica democratica del Congo nel 1997 e nel 1998. Ma, dal 1986, il governo è impegnato anche in un conflitto nel nord del paese contro i ribelli dell'Esercito di resistenza del Signore (Lra), il movimento creato da Joseph Kony, con l'obiettivo di instaurare un regime basato sui "dieci comandamenti". L'Lra dichiara di voler difendere gli interessi degli acholi, una popolazione emarginata del nord dell'Uganda, ed è sostenuto dal Sudan. All’inizio di luglio sono cominciati a Juba, nel sud del Sudan, i negoziati di pace tra il governo ugandese e i ribelli dell’Lra, con la mediazione del governo autonomo del Sudan meridionale. Il presidente ugandese Yoweri Museveni ha promesso di concedere l’amnistia a Joseph Kony. In questi anni il conflitto ha fatto decine di migliaia di vittime, provocato quasi due milioni di rifugiati e portato al rapimento di migliaia di bambini. In Uganda, sono più di 300mila i bambini soldato reclutati negli eserciti governativi o irregolari. Solo l'Lra ha sequestrato ventimila ragazzi.

AMERICA DEL SUD
 In Colombia va avanti da più di quarant’anni una lotta per il potere tra il governo e dei movimenti rivoluzionari d’ispirazione marxista e socialista – tra cui le Forze armate rivoluzionarie della Colombia (Farc) e l’Esercito di liberazione nazionale (Eln) – che si oppongono allo sfruttamento delle ricchezze del paese da parte delle multinazionali statunitensi. Dall’inizio degli anni Ottanta, sono presenti anche dei gruppi paramilitari di estrema destra – tra cui le Autodifese unite della Colombia (Auc) – che difendono gli interessi dei grandi proprietari terrieri, che si sono scontrati di volta in volta con le Farc o l’esercito governativo. Dagli anni Novanta i conflitti nel paese sono alimentati anche dagli interessi del narcotraffico. I combattimenti hanno visto una tregua tra il 1998 e il 2002, quando il presidente Andrés Pastrana ha avviato una politica di dialogo con le Farc. Ma il processo di pace è naufragato e, da allora, la repressione del governo – che riceve miliardi di dollari dagli Stati Uniti per la lotta al narcotraffico – si è inasprita. Nel 2003 i gruppi paramilitari sono invece scesi a patti con il governo ed è in atto un programma di disarmo. Dal 1964, gli scontri in Colombia hanno fatto 300mila vittime e costretto centinaia di migliaia di persone a fuggire dalle zone dei combattimenti.

ASIA CENTRALE
 Dall’inizio degli anni Novanta il regime iracheno guidato da Saddam Hussein è sempre stato una fonte di preoccupazione per gli Stati Uniti. Dopo la prima guerra del Golfo del 1991, l’esercito statunitense è tornato in Iraq per rovesciare Saddam, accusato di dare man forte al terrorismo islamico di al Qaeda e di possedere armi di distruzione di massa. Il congresso statunitense ha autorizzato l’operazione Iraqi freedom il 16 ottobre 2002 e il presidente George W. Bush ha dichiarato la fine della guerra il 1 maggio 2003. Con la caduta di Saddam, il governo del paese è passato in mano a un'Autorità provvisoria della coalizione, che si è impegnata a rimettere in piedi le istituzioni statali, in particolare l’esercito e la polizia, coinvolgendo le varie comunità (sciiti, sunniti, curdi) del paese. Ma la resistenza irachena si è organizzata e ha combattuto contro quelli che considera degli invasori. I ribelli, tra cui gli ex fedelissimi di Saddam, si raccolgono intorno alla branca irachena dell’organizzazione terroristica al Qaeda, e all’imam radicale sciita Moqtada al Sadr, leader dell'Esercito del Mahdi. I guerriglieri, fomentati da episodi come la scoperta delle torture sistematiche nel carcere di Abu Ghraib, hanno compiuto attentati contro le truppe della coalizione e le nuove istituzioni irachene, e hanno rapito e ucciso numerosi stranieri, tra cui giornalisti e operatori umanitari.
 Il 15 dicembre 2005 si sono svolte le prime elezioni parlamentari, ma il clima è tutt’altro che sereno. L’attacco dei ribelli sunniti contro il mausoleo sciita Al Askari di Samarra nel febbraio 2006 è stato visto come il primo passo verso una vera e propria guerra civile. Il 7 giugno il terrorista giordano Abu Mussab al Zarqawi, il leader di al Qaeda in Iraq, è stato ucciso nel corso di un raid aereo statunitense a Baquba, a quaranta chilometri dalla capitale. Nel frattempo, le violenze nei confronti dei civili hanno continuato ad aumentate in maniera esponenziale: il bilancio delle vittime irachene oscilla tra i 39mila e 43mila morti. I soldati americani uccisi sono più di 2.500. Il costo della guerra per l’amministrazione di Washington cresce in maniera esponenziale e si aggira intorno ai 270 milioni di dollari.

 Nell’ottobre 2001 un’alleanza internazionale guidata dagli Stati Uniti ha attaccato l’Afghanistan. Dopo numerosi bombardamenti aerei, le truppe di terra hanno conquistato le città di Kabul e Kandahar, provocando la caduta del regime taliban accusato di proteggere il leader di al Qaeda, Osama bin Laden. Il 5 dicembre 2001 i rappresentanti delle varie etnie afgane si sono accordati a Bonn, in Germania, per dare vita a un governo di transizione. Nel giugno 2002 è stato eletto presidente Hamid Karzai (riconfermato nel 2004) e, nel settembre 2005, si sono svolte le prime elezioni parlamentari dopo trent’anni. Dal gennaio 2002 è presente nel paese una forza multinazionale di sicurezza (Isaf) che sorveglia la ricostruzione. La situazione è però ancora incerta: nel marzo 2006 i taliban hanno annunciato una nuova offensiva nel sudest del paese alla quale le forze di sicurezza straniere hanno reagito colpendo numerose roccaforti dei taliban. Il bilancio delle vittime dal 2001 è di 35mila morti.

ASIA ORIENTALE
 La Birmania (Myanmar) è retta da una giunta militare, che nel 1962 ha rovesciato il governo regolarmente eletto. Nel 1990 il regime ha fatto arrestare i membri del partito che aveva regolarmente vinto le prime elezioni multipartitiche del paese. Nel corso degli anni, nelle varie regioni del paese, si sono formate dei movimenti armati che combattono a più riprese contro il governo, tra cui l’Unione nazionale Karen, l’Esercito dello stato di Shan e Partito progressista nazionale Karenni. Non si ha un numero esatto delle vittime degli scontri degli ultimi 55 anni, ma ammontano a circa 30mila.

Nelle Filippine il governo, che rappresenta la popolazione cristiana, ha dovuto combattere negli ultimi 35 anni tre diversi conflitti. Dal 1971, quello contro i guerriglieri indipendentisti del Fronte nazionale di liberazione moro (Mnlf) che opera nell’isola di Mindanao – a maggioranza musulmana – e in seguito, contro la sua ala più radicale, il Fronte islamico di liberazione moro (Milf). Le schermaglie tra esercito e ribelli proseguono, anche se nel febbraio del 2006 sono cominciati dei negoziati di pace. Dal 1988 sono operativi anche i guerriglieri fondamentalisti islamici del gruppo Abu Sayaf, collegato ad al Qaeda e alla Jemaah Islamiyah indonesiana, che vogliono la creazione di uno stato islamico nell’arcipelago di Sulu e a Mindanao. Infine, ci sono i guerriglieri comunisti del Nuovo esercito del popolo (Npa) attivi nel nord e nella capitale. L’esercito di Manila è sostenuto da quello degli Stati Uniti. Nel complesso, dagli anni Settanta, si può parlare di 175mila morti e di 50mila sfollati.

Nell'arcipelago indonesiano, dove convivono 350 etnie diverse, sono presenti diversi focolai di conflitto. Nella provincia di Papua ovest sono attivi dal 1969 i ribelli indipendentisti del Free Papua movement (Opm) e si calcola che la guerriglia abbia fatto circa 100mila vittime in 35 anni. Ad Aceh, nel nord dell'isola di Sumatra, le devastazioni causate dallo tsunami del dicembre 2004 hanno spinto i guerriglieri del Free Aceh movement (Gam), nato nel 1976, a dichiarare una tregua unilaterale con il governo, con cui hanno in seguito firmato uno storico accordo di pace nell'agosto del 2005. Nelle isole Molucche gli scontri sono invece di matrice religiosa, tra cristiani e musulmani. Negli ultimi anni si sono moltiplicati anche gli attentati dell'organizzazione terroristica islamica Jemaah Islamiyah.

Dal 1947 India e Pakistan si contendono il territorio montuoso del Kashmir, diviso tra i due paesi ma i cui abitanti, in grande maggioranza musulmani, nutrono aspirazioni nazionaliste. Dal 1989 l’esercito indiano ha fronteggiato gli attacchi delle milizie separatiste sostenute da Islamabad. Negli ultimi anni le relazioni tra i due paesi sono migliorate, grazie anche alla collaborazione dopo il terremoto dell’ottobre 2005. Ma l’11 luglio 2006 l’esplosione di sette bombe in alcuni treni e stazioni della periferia di Bombay ha peggiorato di nuovo la situazione: gli attacchi sono stati attribuiti agli islamisti legati ai separatisti kashmiri di Lashkar-e-Taiba. Il gruppo, attivo nel Kashmir indiano, ha però smentito il suo coinvolgimento. L’Onu è presente in Kashmir con una missione di peacekeeping da 57 anni. Negli ultimi quindici anni questa guerra ha fatto più di centomila vittime.

 Dal 1996, i ribelli maoisti del Nepal portano avanti una dura lotta contro il governo monarchico. Nel 2002, con l’ascesa al trono di re Gyanendra la situazione è precipitata. La tregua unilaterale proclamata dai ribelli è caduta nell’agosto del 2003. Licenziato il governo, re Gyanendra ha dichiarato il 1 febbraio 2005 lo stato d’emergenza. Gli scontri tra polizia e ribelli si sono intensificati all’inizio dell’aprile 2006 quando i maoisti e i principali partiti d’opposizione hanno organizzato scioperi e dimostrazioni contro il governo, scatenando una dura repressione militare. I manifestanti hanno ottenuto però il ripristino del parlamento e della democrazia. In nove anni di conflitto sono morte circa 11mila persone.

 La caccia degli Stati Uniti ai militanti di al Qaeda e agli esponenti dell’ex regime afgano si è estesa in Pakistan. Nel marzo 2004 le truppe del governo di Islamabad – alleato di Washington – sono entrate in Waziristan, scatenando un conflitto con le tribù che amministrano il territorio. L’offensiva in Waziristan ha fatto un migliaio di vittime in due anni, tra civili e militari.

 Dal 1983 in Sri Lanka è in corso un conflitto interetnico che vede il governo di Colombo, che rappresenta la maggioranza singalese della popolazione, contro i ribelli di etnia tamil e di religione induista che vivono nel nordest dell’isola, organizzati sotto la sigla Ltte (Tigri per la liberazione dell’Eelam Tamil). Gli anni ottanta hanno visto la dura repressione del governo ai danni dei tamil, 65mila dei quali sono fuggiti in India. I ribelli hanno risposto con la guerriglia e gli attentati, anche suicidi. Solo nel febbraio 2002, grazie alla mediazione della Norvegia, il governo e le Tigri hanno firmato un ‘cessate il fuoco’. Ma il processo di pace è stato interrotto da una ripresa delle ostilità nell’aprile 2006. Dal 1983, il conflitto ha provocato più di 65mila morti e un milione di sfollati.

MEDIO ORIENTE
 Con la risoluzione 181 del 1947 le Nazioni Unite hanno stabilito i confini dei futuri stati palestinese ed ebraico. Tuttavia la dichiarazione unilaterale dello Stato d'Israele, il 15 maggio 1948, ha innescato una guerra tra l'esercito israeliano e le truppe di una coalizione di stati arabi. Nei decenni successivi si sono combattute altre tre guerre (nel 1956, nel 1967 e nel 1973), alla fine delle quali Israele controllava la Striscia di Gaza, la Cisgiordania, Gerusalemme est, il Sinai in Egitto e le alture del Golan in Siria. Nel 1964 è nata l'Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp), guidata da Yasser Arafat, che dall'estero ha portato avanti la causa del popolo palestinese e ha dato il via ad azioni terroristiche contro Israele. Il primo trattato di pace è stato firmato nel 1979 tra Israele ed Egitto, che ha ottenuto la restituzione del Sinai. Nel 1987 è scoppiata la prima rivolta popolare nei Territori Occupati, l'Intifada, che è durata fino al 1992 e ha fatto circa duemila vittime. Nel 1993, dopo lunghi negoziati segreti a Oslo in Norvegia, sono stati firmati degli accordi di pace tra Olp e Israele che hanno preparato il terreno alla nascita dell'Autorità Nazionale Palestinese, anche se molte questioni – tra cui il tracciato dei futuri confini, il ritorno dei rifugiati e lo status di Gerusalemme – restavano irrisolte. Negli anni successivi il processo di pace ha subìto uno stallo e nel 2000 è scoppiata una seconda Intifada. Nel 2003 è stata presentata la “road map”, un nuovo piano di pace, che fatica però a ingranare. Negli ultimi anni il panorama mediorientale ha subìto molti cambiamenti: nel 2000 le truppe israeliane si sono ritirate dal sud del Libano, l'11 novembre 2004 è morto Arafat, nell'agosto del 2005 gli israeliani si sono ritirati dalla Striscia di Gaza e nel gennaio del 2006 l'organizzazione estremista islamica Hamas ha vinto le elezioni. La situazione è precipitata nuovamente a inizio luglio. I carri armati di Tel Aviv sono tornati nella Striscia di Gaza per ottenere la liberazione di un soldato israeliano rapito dai guerriglieri palestinesi e mettere fine al lancio di razzi verso il territorio israeliano. Il 13 luglio l'aviazione israeliana ha cominciato a bombardare l'aeroporto internazionale e i quartieri a sud di Beirut in risposta all’attacco del 12 luglio dei guerriglieri sciiti libanesi dell'Hezbollah in cui sono morti otto soldati e altri due sono stati rapiti.
 Le guerre tra Israele e i paesi arabi confinanti, del 1948 al 1973, hanno causato la morte di circa centomila persone. Dall'inizio della seconda Intifada sono morti quasi quattromila palestinesi e più di mille israeliani.

EUROPA
 La Cecenia si è dichiarata indipendente nel 1991, in piena dissoluzione dell’impero sovietico. Il presidente russo Boris Eltsin, per riportare l’ordine in questa regione ricca di petrolio e di gas naturale, ha ordinato un attacco militare nel 1994. La prima guerra tra l’esercito russo e la guerriglia separatista cecena è terminata nel 1996, con il ritiro delle truppe di Mosca.
 Per alcuni anni il paese è stato governato dal moderato Aslan Maskhadov. Ma, nel 1999, i raid dei ribelli guidati da Shamil Basaev nel vicino Daghestan hanno portato a una nuova invasione da parte dell’esercito russo. Alla fine dei combattimenti, che hanno fatto decine di migliaia di vittime e danneggiato gravemente le infrastrutture e le abitazioni, il Cremlino ha favorito l’instaurazione di un governo filorusso. Si sono moltiplicati gli arresti arbitrari e le deportazioni nei cosiddetti “campi di filtraggio”, dove i detenuti erano torturati o uccisi. I ribelli, nel frattempo, sono rimasti attivi sia in Cecenia, con attacchi alle truppe russe, sia fuori dalla repubblica, con attentati e raid terroristici: nel 2002 è stato attaccato il teatro Dubrovka a Mosca e nel 2004 la scuola di Beslan, in Ossezia del nord.
 La situazione rimane incerta: gli scontri tra ribelli e soldati russi proseguono e gli episodi di violenza si moltiplicano negli stati confinanti. Nel 2003 la Cecenia ha adottato una nuova costituzione attraverso un referendum promosso da Mosca, e caratterizzato da brogli; in seguito è diventato presidente il filorusso Akhmad Kadyrov, assassinato dai guerriglieri nel maggio del 2004. Il leader ceceno Maskhadov, passato in clandestinità, è stato invece ucciso l’8 marzo 2005 dai militari russi, mentre il terrorista Shamil Basaev – responsabile, tra l’altro, della strage di Beslan – è morto il 10 luglio 2006 in un attentato organizzato dalle forze di sicurezza del Cremlino. Dal 1999 sono morti 250mila ceceni, tremila civili sono ‘spariti’ e 80mila persone sono passate per i ‘campi di filtraggio’ russi.

 Dal 1984 i guerriglieri separatisti curdi – uniti sotto la sigla del Partito dei lavoratori curdi (Pkk), fino al 1998, e Kongra gel (Congresso del popolo), dal 2002 – portano avanti una lotta armata contro il governo di Ankara. In più di vent’anni il conflitto ha fatto circa 40mila morti e migliaia di profughi. I curdi – che vivono in un territorio che si estende negli stati di Turchia, Siria, Iraq, Iran e Armenia – si battono per una maggiore autonomia dal governo turco. Nel marzo 2006 ci sono stati dei disordini nella città di Diyarbakir che sarebbero il frutto di un tentativo dei ribelli curdi di rilanciare la loro iniziativa.

La Georgia è uno stato indipendente dal 1991. Già nell’estate del 1992 è scoppiata una guerra tra l’esercito georgiano e i ribelli dell’Abkhazia, una regione dell’ovest del paese che rivendica la propria indipendenza da Tbilisi. I guerriglieri sono riusciti a mettere in fuga le truppe governative, a prendere possesso della città di Sukhumi e dichiarare la secessione. Nel 1994, le due parti hanno firmato una tregua, che ha preparato il campo all’arrivo di una missione di peacekeeping dell’Onu (Unomig), il cui mandato è esteso fino al 15 ottobre 2006. La situazione nella regione è ancora tesa, continuano a verificarsi scontri di minore entità e non si è ancora raggiunto un accordo definitivo sullo status dell’Abkhazia. Nel 2004 in Georgia si è creato un secondo focolaio di conflitto: sono scoppiati degli scontri tra i soldati georgiani e i ribelli dell’Ossezia del sud, che chiedono il ricongiungimento con l’Ossezia del nord, un territorio che fa parte della Federazione Russa. Dopo le battaglie e i bombardamenti – che hanno fatto mille morti e messo in fuga 60/70mila persone –, è in vigore una tregua che viene sistematicamente violata.

*Redattrice del settimanale «Internazionale

 Link utili

http://www.crisisgroup.org/home/index.cfm?

http://www.sipri.org/

http://www.hrw.org/

http://www.cia.gov/cia/publications/factbook/

http://www.un.org/Depts/dpko/dpko/index.asp

http://www.reliefweb.int/rw/dbc.nsf/doc100?OpenForm

http://www.peacereporter.net/

http://www.warnews.it/

http://www.internazionale.it/home/

 Pubblicato il 25/7/2006






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