LA LIBERTA' D'INSEGNAMENTO NELLA SCUOLA
Data: Luned́, 10 luglio 2006 ore 00:40:35 CEST
Argomento: Normativa Utile


Gli articoli 33 e 34 della Costituzione
 di Sergio Lariccia*

 

La Carta costituzionale prevede un sistema educativo di istruzione e formazione, consistente nel complesso di diritti, doveri e libertà previsti nei confronti di vari soggetti, pubblici e privati: gli artt. 33 e 34 devono essere considerati in coerenza con i principi contenuti in altre disposizioni costituzionali (innanzi tutto, gli artt. 2, 3 e 21) e tenendo presenti la riforma costituzionale attuata a seguito dell'entrata in vigore della legge costituzionale del 18 ottobre 2001, n. 3, che ha modificato il titolo V della parte seconda della Costituzione, e la grande importanza che assume il passaggio dal sistema della scuola di Stato al sistema nazionale di istruzione, fondato sul principio di autonomia delle scuole.

Libertà di insegnamento nella scuola
 L'art. 33, c. 1, garantisce la libertà di insegnamento, con una disposizione che, considerando tale libertà in stretta connessione con la libertà dell'arte e della scienza, non consente la previsione di limiti concettualmente incompatibili con l'arte e con la scienza.
 La libertà di insegnamento nella scuola merita una considerazione particolare rispetto alle altre libertà costituzionali, perché il rapporto di insegnamento/apprendimento presuppone una differenza di cognizioni e di preparazione tra chi insegna e chi impara che rende necessarie la tutela morale nei confronti di questa seconda categoria di soggetti e la garanzia dell'esigenza di protezione dell'infanzia e della gioventù (art. 31 cost.). Con una disposizione che assume grande importanza in materia scolastica, il legislatore, nell'art. 1 d.lgs. 16 aprile 1994, n. 297, prevede che l'esercizio della libertà di insegnamento è diretto a promuovere , attraverso un confronto aperto di posizioni culturali, la piena formazione della personalità degli alunni e che tale azione di promozione è attuata nel rispetto della coscienza morale e civile degli alunni.

Il rapporto tra istruzione pubblica e istruzione privata
 Un problema che rappresenta tuttora una delle questioni più discusse e controverse della politica scolastica del nostro paese è quello del rapporto tra istruzione pubblica e istruzione privata. La Costituzione prevede un sistema pluralistico tendente a garantire il diritto dei bambini e dei ragazzi di iscriversi alle scuole e alle università ispirate liberamente ai vari orientamenti di pensiero politico-sociali diffusi nel paese. L'ammissibilità di scuole impegnate ideologicamente, che è conforme all'orientamento pluralistico della nostra società e del nostro ordinamento, pone il problema dei criteri con i quali valutare le ipotesi di eventuale contrasto tra gli orientamenti ideologici della direzione della scuola e quelli dei docenti che prestano la loro attività all'interno della scuola: ed è questione di non facile soluzione quella di considerare quali limiti, nelle scuole private, la libertà di insegnamento possa legittimamente subire per effetto dell'obbligo contrattuale, eventualmente assunto dal docente, di orientare l'insegnamento in conformità all'indirizzo ideologico della direzione della scuola. La Corte costituzionale, con sentenza n. 195 del 1972, in relazione a un famoso caso verificatosi nell'Università cattolica di Milano, ha stabilito che sussiste il potere delle università libere di verificare la conformità degli indirizzi ideologici o religiosi del docente rispetto a quelli che caratterizzano l'istituto di istruzione e, in caso di contrasto, di interrompere il rapporto di lavoro con il docente; a mio avviso è invece più esatta la tesi che sulla libertà collettiva della scuola ritiene prevalente la libertà del docente nella scuola: un'opinione coerente con il principio, caratteristico degli ordinamenti democratici contemporanei, per quale la libertà individuale merita tutela anche nelle ipotesi in cui possa derivarne un sacrificio della libertà collettiva.
 Il costituente ha stabilito, nell'art. 33 cost., cc. 3 e 4, che gli enti e i privati sono liberi di istituire scuole ed istituti di educazione, purché non ne derivi alcun onere finanziario per lo Stato, e che le scuole private e i loro alunni hanno diritto a un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni delle scuole statali, e, nell'art. 34, che la scuola è aperta a tutti, che l'istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita, che i capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno di diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi e che la Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie e altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso.
 Gli artt. 33 e 34 cost. rappresentano la risultante delle diverse tendenze emerse all'Assemblea costituente in materia scolastica. Per quanto in particolare si riferisce al divieto di sovvenzioni alle scuole private, è da ricordare che esso è stato, sin dai primi anni dopo l'entrata in vigore della Costituzione, costantemente aggirato per ogni ordine e grado di scuola; nel periodo più recente, anche a seguito della crescente contestazione dello 'statalismo' e del 'centralismo', si è sollecitato un profondo ripensamento dei rapporti pubblico/privato nell'ambito scolastico (si ricorda a proposito l'importante legge del 10 marzo 2000, n. 62, contenente le norme sulla parità scolastica e le disposizioni sul diritto allo studio).

Intervento educativo privato «senza oneri per lo Stato»
 Ma ogni testo di legge e, a maggior ragione, il testo di una disposizione inserita in una costituzione 'rigida', qual è quella italiana, va interpretato anzitutto per quel che dice, e in modo che quel che dice abbia un significato e non si risolva in un'interpretazione esattamente contrastante con le espressioni usate nel testo. Senza vuol dire senza; scuola privata vuol dire scuola privata e non può significare scuola pubblica (non statale); e oneri per lo stato sono non soltanto i diretti finanziamenti, ma anche gli esoneri fiscali e tutte le agevolazioni che comportino un aggravio del bilancio statale.
 Qualunque riforma normativa riguardante il problema della politica scolastica deve essere impostata tenendo presente che la Costituzione disciplina diversamente la scuola pubblica e la scuola privata, che sono istituzioni obiettivamente diverse, e stabilisce che l'intervento educativo privato debba avvenire «senza oneri per lo Stato» (art. 33, c. 3): la scuola privata non ha dunque diritto a ricevere contributi economici da parte dell'erario, anche se sovvenzioni possono essere concesse per soddisfare le legittime aspettative delle popolazioni di fruire del diritto allo studio.
 É necessario, inoltre, considerare che solo nella scuola 'pubblica' possono liberamente convivere diverse posizioni culturali e ideali; ed è la scuola pubblica che, nonostante tutti i suoi malanni, resta ancora la soluzione preferibile per la formazione e l'educazione delle giovani generazioni.

 *Professore ordinario di Diritto amministrativo nell'Università di Roma La Sapienza e docente di Diritto costituzionale e di Diritto pubblico nei corsi di formazione delle SISS delle Facoltà di Fisica della stessa Università e di Giurisprudenza dell'Università di Roma Tre. Fra le pubblicazioni (vedi www.sergiolariccia.it): Diritto amministrativo, Padova, Cedam, 2006; Coscienza e libertà, Bologna, il Mulino, 1989; Stato e Chiesa in Italia, Brescia, Queriniana, 1981; Diritti civili e fattore religioso, Bologna, il Mulino 1978.






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